Lovecraft country . Quando il razzismo fa più paura dei mostri
Un gruppo di astronavi sorvolano il cielo, marziani sparano raggi laser annientando tutto. Sullo sfondo un gigantesco mostro tentacolare, creatura tipica dei racconti di Lovecraft, sta per inghiottire Atticus, il protagonista, un ragazzone nero reduce della guerra di Corea.
L’uomo si risveglia in fondo ad un autobus, in uno di quei posti destinati ai neri, tipici dell’America razzista degli anni ’50 e qui il suo incubo si trasforma, non è più Cthulhu a volerlo distruggere ma uomini bianchi, nazionalisti e suprematisti. Non è più un incubo da cui ti puoi svegliare ma la realtà. E fa molta paura.
Lovecraft Country – La terra dei demoni è una serie in 10 episodi, in onda su Sky Atlantic, basata sull’ omonimo racconto di Matt Ruff in cui un ragazzo di colore, Atticus, si mette alla ricerca del padre, Montrose, di cui si sono perse le tracce, insieme allo zio Jeorge e all’amica d’infanzia Leti. Nonostante Jeorge sia l’autore di una guida turistica che aiuta i neri a viaggiare in sicurezza (The Safe Negro Travel Guide), il loro viaggio sarà tutt’altro che tranquillo; nell’America di quegli anni infatti, ci sono sceriffi che ti inseguono per ucciderti se sei nero, quando il sole tramonta e scatta il coprifuoco. Ci sono gruppi armati di nazionalisti che ti danno la caccia se entri nel locale sbagliato e poi ci sono bianchi, membri di sette esoterico suprematiste, che lanciano inquietanti incantesimi, mostri con cento occhi che mangiano esseri umani e fantasmi di vite passate.
Il razzismo che fa da sfondo alla storia non è la classica narrazione di gruppi del KKK che vanno alla ricerca dell’uomo o della donna di colore per abusarne e sancire la violenta predominanza della razza bensì è un razzismo strutturato, quello della porta accanto, quello che può capitarti in una rivolta come se vai a scuola come in un normale controllo di polizia.
Dall’altra parte gli afroamericani non sono sprovveduti, sono solidali, si spalleggiano, si difendono, si armano per fare da barriera a quelle violenze razziste.
Ci sono due piani imprescindibili in questa serie: quello che usa l’immaginario proprio dei racconti di Lovecraft, maestro di un genere peculiare che unisce horror e fantascienza, e la destrutturazione del razzismo dello stesso scrittore, usata per raccontare la rivincita di quegli stessi personaggi che nelle sue storie sono i mostri, di quelli che, nella classicità di questo genere sono sempre stati, al massimo, delle comparse.
Invece qui i mostri sono i bianchi, subdoli e crudeli mentre gli afroamericani, anche forti della volontà di rivalsa sui soprusi che durano da generazioni, sono i protagonisti forti, retti, furbi e intelligenti.
Ma ci sono altri elementi che danno forza alla serie: uno è sicuramente la musica che diventa narrazione sonora del razzismo nella storia americana. Colonna sonora che va dai classici del soul e del jazz (Nina Simone, Etta James) ad artisti contemporanei come Rihanna o Marilyn Manson e che, per la prima volta, è stata realizzata a distanza, da artisti che si trovavano nelle proprie case, nel mezzo della pandemia. Il secondo sono le registrazioni vocali che, insieme alla musica accompagnano alcuni momenti cruciali della storia.
Si tratta di monologhi rappresentativi della lotta al razzismo come quello tratto dall’opera teatrale For colored girls who have considered suicide/when the rainbow is enuf di Ntozake Shange o la poesia “Tulsa, 1921: Don’t Catch the Fire” di Sonia Sanchez, attivista del Black Movement Arts, nell’episodio che racconta il massacro razziale di Tulsa nel 1921 da parte del KKK.
I temi trattati nella serie non possono che riportarci ad eventi attuali, alla morte di George Floyd per mano di un poliziotto e le conseguenti manifestazioni di rivolta che si sono presto estese a tutto il Paese. Non solo ce lo ricordano le violenze e le sopraffazioni degli uomini in divisa ma anche la costante rabbia e la voglia di rivalsa di cui è pervaso tutto il racconto fino ai monologhi i quali, in effetti, pare siano stati ispirati dai fatti accaduti dopo l’omicidio di Floyd.
Misha Green, già sceneggiatrice del bellissimo Sons of Anarchy, riesce a raccontare attraverso questo particolare genere, che non possiamo che definire lovecraftiano, una realtà americana, purtroppo, ancora troppo poco lontana, mescolandola con elementi splatter, incubi e visioni terrificanti arrivando ad un prodotto notevole nonché originale.
Un ottimo cast e una buona fotografia per raccontare una storia, paradossalmente molto reale, in cui fa più paura incontrare un poliziotto bianco che un mostro tentacolare.
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