The Society, tutto il potere ai giovani
L’uomo determina la società o la società l’uomo?
“L’uomo produce il male come le api producono il miele“. Questo sosteneva lo scrittore William Golding. E da questa affermazione si può partire per la recensione di oggi.
Riprendiamo infatti la nostra rubrica sulle serie tv per recensire The Society, la serie originale Netflix di cui per il momento è disponibile la prima stagione (la seconda è stata annunciata per un non meglio definito 2020) direttamente ispirata al celebre Il signore delle mosche, romanzo del già citato William Golding da cui sono stati tratti l’omonimo film diretto da Peter Brook (UK, 1963) e il suo remake diretto da Harry Hook (USA, 1990). Altro punto di partenza della serie statunitense del 2019, creata da Christopher Keyser e diretta da Tara Nicole Weyr e Marc Webb, è dichiaratamente la fiaba tedesca Il pifferaio di Hamelin.
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Ci troviamo nel New England, nella cittadina fittizia di West Ham che nella realtà corrisponde al comune di Lancaster, Massachusetts. La prima puntata si apre con una problematica persistente e apparentemente inspiegabile che attanaglia da giorni West Ham: una terribile, insopportabile puzza.
Fortuna vuole che il periodo sia quello della fine delle scuole, nonché quello del viaggio annuale degli studenti del liceo, ragion per cui tutti i ragazzi dai 16 anni in su vengono caricati su una serie di pullman con destinazione le Great Smoky Mountains, dove è previsto che campeggeranno per una settimana.
Mentre ci si avvicina alla partenza, ci vengono presentati i giovani campeggiatori, che risultano da subito essere i protagonisti della serie. Abbiamo Cassandra e Allie, coppia di sorelle con la seconda abituata a stare nell’ombra della prima, Will ragazzo orfano abituato a spostarsi da una casa famiglia all’altra e abituato a cavarsela in ogni situazione, Harry ragazzo tanto brillante quanto fragile figlio di una famiglia agiata e star della cittadina, la sua fidanzata Kelly molto popolare a scuola, ma che nasconde un lato riflessivo e profondo, Helena una ragazza profondamente religiosa e strutturata nelle sue convinzioni, i fratelli Sam e Campbell Eliot, il primo sordomuto e apertamente omosessuale, il secondo personalità borderline estremamente intelligente e manipolatrice; troviamo poi Elle, fragilissima ballerina di origini irlandesi impaurita da tutto e da tutti, i quattro della squadra di football della scuola tra cui spiccano Luke, il quarterbeck, tipico bravo ragazzo, e Grizz estremamente intelligente e tagliente e infine Becca, la migliore amica di Sam, decisa e forte, ma che nasconde un segreto. Attorno a loro gravitano una miriade di altri personaggi.
Ebbene, vediamo i ragazzi partire per il viaggio a bordo dei tipici bus scolastici americani. A un certo punto la carovana di mezzi si ferma facendo marcia indietro a causa di una non meglio specificata frana e in piena notte i ragazzi si trovano scaricati al punto di partenza, West Ham, la loro cittadina.
Qui però li attende una dolorosa scoperta. Anzi due. La prima è che gli adulti sono totalmente scomparsi lasciandoli soli. La seconda è che la città è completamente isolata telefonicamente e priva di connessione al di fuori dei suoi confini e non solo: West Ham è circondata da una fitta foresta che rende impossibile qualsiasi spostamento e contatto con il “fuori”.
Quello che ne segue, dopo la fase di smarrimento iniziale, è il tentativo di sopravvivere e adattarsi alla nuova, estrema condizione in cui i giovani si sono trovati improvvisamente immersi. Lentamente, ci si rende conto che l’unica modalità di sopravvivere è quella di darsi una struttura collettiva e cooperativa, data la limitatezza delle risorse alimentari ed energetiche. Questo nuovo stile di vita e il suo precarissimo equilibrio creano ovviamente tutta una serie di tensioni continue agite dai tanti che sono riluttanti al nuovo ordine sociale.
Di puntata in puntata si alternano vorticosamente i grandi temi che agitano la società americana: le armi, la pena di morte, il femminismo (le donne emergono senza ombra di dubbio come le figure più forti della serie), la violenza di genere, le diseguaglianze, la paura dei ricchi di perdere i propri privilegi e così via.
Altri due elementi che sembrano emergere con forza dalla sceneggiatura sono la convinzione che una gestione cooperativa della vita sociale sia possibile solo in situazioni di emergenza, momenti in cui ogni singolo individuo è più disponibile a cedere un po’ del proprio (in tutti i sensi) per sopravvivere e in cui gli equilibri collettivi sono talmente delicati da poter funzionare solo data almeno una di queste due premesse: che tutti comprendano quale sia il fine ultimo più alto o che pochi singoli si sacrifichino per il bene collettivo.
Ed è proprio in rapporto ai temi del potere e del vivere sociale che emerge forse l’errore iniziale fatto dalla comunità delle ragazze e dei ragazzi di West Ham: quello di darsi una guida carismatica affidata a una singola persona senza una struttura legittimata di consultazione e controllo capace di fare da garanzia e cuscinetto tra l’incudine delle tensioni provenienti dalla massa dei giovani e il martello di chi esercita il potere con il relativo carico di solitudine che questo ruolo porta con sé.
Dopo una fase iniziale di rodaggio della vita cooperativa è un omicidio e la successiva punizione del colpevole a essere il punto d’inizio del progressivo avvitamento degli eventi, come si trattasse del primo masso a staccarsi di una gigantesca frana.
Proprio il doppio evento concatenato dell’omicidio-dimostrazione di forza mettono in evidenza come alcune scelte di potere vengano fatte a prescindere dalle convinzioni di chi governa. È come se fosse il potere stesso, con tutta la forza attrattiva che esercita, a decidere per gli uomini.
Nel progressivo precipitare della situazione saltano all’occhio altri due elementi: come una decisione apparentemente di buon senso nella mente di chi l’ha presa possa essere interpretata e vissuta in modi diametralmente diversi a seconda dei vari punti di vista da cui la si osserva e come gli individui cui viene delegato l’uso della forza legittima in una comunità (sì, perché all’interno della piccola società di giovani c’è una “Guardia” cui è delegato l’ordine pubblico) via via diventino un corpo autonomo privo di controllo (il celebre: “chi controlla i controllori”).
Insomma, tanti sono i temi assolutamente attuali che agitano le prime 10 puntate di The Society, temi che sottintendono sempre quella riflessione iniziale: può essere che l’uomo sia sempre e inevitabilmente spinto a produrre il male, anche quando crede di perseguire il bene? O è possibile che ci sia chi, per natura o volontà, è in grado di sottrarsi a questa condanna, producendo il bene per il bene?
Se possiamo muovere una critica è quella di una iniziale difficoltà a entrare in empatia con i personaggi, una debolezza che forse si trasforma in forza con lo scorrere delle puntate, dal momento che di volta in volta ci si trova a empatizzare o, viceversa, a giudicare le scelte e i personaggi stessi, cosicché risulta quasi impossibile scegliere un proprio personaggio “preferito”.
Un aspetto che ci sentiamo di sottolineare, che la dice lunga su come i tempi negli Stati Uniti siano decisamente cambiati, è come le ragazze e i ragazzi di West Ham parlino apertamente di “socialismo” e tentino di costruire una società per molti aspetti d’ispirazione socialista (nel senso migliore del termine), cosa che fino a 30 anni fa sarebbe stata inaudita negli States.
Posto che siamo in attesa della nuova stagione e non possiamo dunque immaginare quale sarà le “lezione” che gli autori vogliono impartirci con il loro lavoro, l’unica cosa che ci auguriamo è che la serie continui a riflettere sulle sfaccettature dell’animo umano, sui temi della libertà e del dominio, della cooperazione e della competizione senza scadere in un eccesso di fantascienza che rischierebbe di mettere in secondo piano tutti questi elementi che ci hanno fatto così appassionare alla serie.
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