«Da oggi tutti più liberi». Fine vita, per la Corte un aiuto si può dare
Sentenza storica su Dj Fabo, ma la Consulta detta le condizioni Cappato esulta: «Non soffrire era un suo diritto costituzionale».
«Da oggi in Italia siamo tutti più liberi anche quelli che non sono d’accordo. Ho aiutato Fabiano perché ho considerato un mio dovere farlo. La Corte ha chiarito che era anche un suo diritto costituzionale per non dover subire sofferenze atroci. È una vittoria di Fabo e della disobbedienza civile, ottenuta mentre la politica ufficiale girava la testa dall’altra parte». È grande, emozionata, la soddisfazione di Marco Cappato, il militante radicale che nel febbraio del 2017 aveva «aiutato» dj Fabo a realizzare la sua scelta di porre fine alle sue sofferenze accompagnandolo in una clinica svizzera. Poi si era autodenunciato. Rischiava dodici anni di galera, almeno fino a ieri sera. In un processo sospeso da un quesito rivolto alla Corte costituzionale sulla legittimità dell’articolo 580 del Codice penale: in sostanza doveva decidere se «aiuto» al suicidio era come «istigazione». «Oggi è un bel giorno», dice Valeria Imbrogno, la compagna di dj Fabo, «Dà ragione ad una battaglia di libertà che io e Fabiano abbiamo iniziato anni fa insieme», e non possiamo neanche immaginare le «sofferenze» di cui racconta.
Invano la Corte 11 mesi fa aveva chiesto al parlamento una legge. La nuova sentenza, che per ora conosciamo solo attraverso un comunicato, è arrivata ieri sera. Per i giudici chi «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli» può non essere punibile. A certe condizioni, per evitare abusi: la piena consapevolezza del malato, il «rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua», la verifica «di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale» e infine il «parere del comitato etico territorialmente competente».
Si verdrà poi se queste condizioni sono state «sostanzialmente» rispettate nella vicenda di dj Fabo. Cosa che fa dire a Maria Antonietta Farina Coscioni, presidente dell’Istituto Coscioni e dirigente del partito radicale, che in realtà la Corte non è stata «troppo coraggiosa, il confine indicato è limitato a casi ben definiti. E quindi è troppo ristretto».
La Consulta comunque chiede ancora una legge, («è indispensabile», mette di nuovo nero su bianco), ma la avvia per la prima volta sui binari che fin qui nessun parlamento e nessun governo era riuscito a costruire.
La politica si divide, tornano i tempi bui dei«valori non negoziabili». Fatta la sentenza, ora i parlamentari si attaccano dagli opposti fronti, autodegradandosi dalla funzione di legislatore, che hanno fin qui evitato, a quella di commentatore.
Ma è una giostra inguardabile e non potrà andare avanti all’infinito. Una legge dovrà arrivare, spiega l’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Coscioni e coordinatrice del collegio di difesa di Cappato. Capofila, l’uno e l’altra, di una battaglia che viene da lontanissimo e che già nel 2013 era diventata legge di iniziativa popolare. «Mi auguro che finalmente il parlamento si faccia vivo», attacca, «Noi andremo avanti».
Esultano i parlamentari laici, per lo più del Pd e delle sinistre. Di «sentenza storica» parla anche il padre di Peppino Englaro, padre di Eluana, la ragazza morta nel febbraio 2009 dopo 17 anni di stato vegetativo per interruzione della nutrizione artificiale. Di «scelta liberale» della Consulta parla il costituzionalista Stefano Ceccanti (Pd), «a certe condizioni lo Stato rinuncia a punire, rinviando per il resto al Parlamento». Il deputato ieri mattina aveva ottenuto un confronto all’ufficio di presidenza della commissione affari costituzionali della camera invitando la commissione «a riprendere la propria competenza».
Ma una parte del mondo ecclesiastico arrivano parole dure. La Conferenza episcopale esprime «sconcerto» e cita Papa Francesco: «Si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato». La destra si sente autorizzata a annunciare una guerra santa: «Contrasteremo in ogni modo la legge», avverte Massimo Gandolfini, capo del Family Day, di «suicidio di stato» parla Gaetano Quagliariello (suo il grido «Assassini» al senato il giorno della morte di Eluana). Le stesse parole del leader leghista Salvini.
In Parlamento si scavano già trincee. Ci sono fossati fin dentro le forze politiche, gli stessi che hanno bloccato da sempre la legge, da ultimo anche dopo la richiesta della Corte .
Non sarà una passeggiata di salute per la nuova maggioranza. I 5 stelle salutano con favore «la sentenza storica» e si augurano la «massima convergenza». Andrea Orlando, vicesegretario Pd, usa parole cautissime, segno della grande preoccupazione del Nazareno: «Mi auguro che non si crei un bipolarismo etico», «Ci troviamo davvero a dover colmare un vuoto di cui siamo tutti responsabili, una sconfitta per la politica è quando questa materia è disciplinata da una sentenza». I dem sanno già di essere nei guai: «Non so se ci sarà una posizione Pd perché si tratta di un tema di coscienza», conclude.
di Maria Teresa Accardo
da il Manifesto del 26 settembre 2019
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