E’ partita l’operazione “Salviamo Fontana”

La Giunta regionale lombarda e la Lega si mostrano sicuri, ma dietro le dichiarazioni stile “non abbiamo sbagliato nulla” si cela qualche evidente preoccupazione. E non perché in giro ci sia un odio anti-lombardo, come tentano di accreditare le destre e qualche importante organo di informazione, ma semplicemente perché sono troppe le cose che non hanno funzionato e che non funzionano, nella gestione concreta dell’emergenza sanitaria e nel “modello lombardo” di sanità, che poi sarebbe più corretto chiamare con il suo vero nome, cioè “modello Formigoni”. E, soprattutto, quelle cose sono manifeste, nella strage nelle Rsa, nella gestione della Val Seriana, nelle denunce dei parenti delle vittime, nelle inchieste giornalistiche e della magistratura, nell’abbandono dei medici di base, nell’ospedale in Fiera, nelle desolanti gaffe dell’assessore alla sanità eccetera.

Insomma, bisogna fare qualcosa, perché non si può mica mettere a rischio il governo delle destre della regione più ricca d’Italia, che dura dall’ormai lontano 1995 e che da vent’anni comprende la Lega. E così, dietro l’apparente tranquillità inizia a muoversi qualcosa. La chiameremo operazione “Salviamo Fontana”, perché nelle regioni siamo in regime di elezione diretta del presidente e questo significa che, se per qualsiasi motivo si dovesse dimettere il Presidente, non potrebbe esserci sostituto, ma andrebbe sciolto anche il Consiglio regionale e verrebbero convocate nuove elezioni.

Certo, è pur vero che questo non significherebbe automaticamente perdere le elezioni, come ci ricorda la vicenda della fine dell’era Formigoni, provocata da un accumulo di casi di corruzione, ma poi le elezioni le vinsero ancora le destre, semplicemente con qualche riequilibrio interno, cioè più Lega e meno Cl. Ma questa volta le cose sono forse più complicate.

Il primo segnale di qualche aggiustamento di tiro è arrivato un paio di settimane fa, con la diffusione dei rumors circa una possibile defenestrazione di Gallera. Poi, qualche giorno fa, in un’intervista sul Corsera, Fontana ha dichiarato “volete un mea culpa? Forse abbiamo trascurato i medici di famiglia”, che contrasta così radicalmente con il tracotante “nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base?” dell’allora sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Giorgetti. Infine, è arrivato l’annuncio che cadrà la prima testa: il direttore generale dell’assessorato alla Sanità, Luigi Cajazzo, sarà “spostato” e sostituito con Marco Trivelli.

Altri cambiamenti arriveranno in questi mesi e l’occasione sarà la già programmata rivisitazione della cosiddetta riforma Maroni della sanità lombarda, che implicherà probabilmente anche qualche cambio nella struttura dell’attuale assessorato al Welfare. Cioè, sarà un’occasione per “spostare” anche Gallera.

In sintesi, cedere qualcosina sui medici di base, senza mettere in discussione il modello pubblico-privato esistente, e offrire all’opinione pubblica qualche capro espiatorio. In altre parole, cambiare qualcosina per non cambiare nulla.

Per noi, questo significa non cascare nel tranello, non accontentarci di qualche capro espiatorio che viene “spostato”, perché quello che è successo in questi mesi di emergenza sanitaria ha evidenziato, senza possibilità di appello, l’insostenibilità sociale del modello sanitario pubblico-privato e ospedale-centrico esistente e la necessità di investire invece in un sistema pubblico, dove la medicina di prevenzione e di base riacquistino il loro ruolo. Non è solo un problema della Lombardia, ovviamente, ma qui è particolarmente accentuato ed è qui che va preso per il petto.

E poi, francamente, c’è anche una questione di responsabilità politica (quella giudiziaria la lasciamo alla magistratura) e se ci sono stati degli errori e delle decisioni sbagliate, allora non si può dire che è tutta colpa di qualche direttore o di qualche assessore. Siamo in regime presidenzialista, appunto, con tutto quello ne consegue.

Sarà questa la sfida delle prossime settimane e dei prossimi mesi. Quindi, ben vengano le mobilitazioni, non per odio, ma perché serve un cambiamento vero.

Luciano Muhlbauer

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