I comitati contro il fossile a Cingolani: «Ascoltaci»
L’orologio del clima fissato sulla facciata del Ministero della Transizione Ecologica segnava sei anni e 511 giorni prima che il mondo collassi sotto il peso dei cambiamenti climatici, ieri mattina alle 11 a Roma mentre i comitati territoriali arrivati da tutta Italia srotolavano i loro striscioni. In tutto duecento persone, in rappresentanza dei comitati che si battono contro la centrale a carbone dell’Enel di Civitavecchia, l’Ilva di Taranto e le trivelle da Ravenna a Sulmona. «Quella che vedete qui oggi è solo la punta dell’iceberg dei tanti movimenti impegnati a fermare centrali inquinanti e perforazioni petrolifere», dice al megafono il pescarese Renato Di Nicola. «Qui dentro si fanno riunioni con le multinazionali, ma non vogliono incontrare noi che viviamo nei territori interessati», aggiunge.
La manifestazione, organizzata dalla campagna «Per il clima contro il fossile», aveva come obiettivo Renato Cingolani, definito «Ministro della Finzione Ecologica» e accusato di strizzare l’occhio alle grandi compagnie. L’esponente del governo però non c’era. Ha fatto sentire la sua voce, in collegamento, solo nel teatro Apollo di Lecce, a un’iniziativa sul Pnnr organizzata dal senatore del Pd Dario Stefano. «Occorre innanzitutto cambiare metodo di produzione dell’energia primaria ricorrendo alle rinnovabili», ha detto il ministro, secondo il quale «nei prossimi nove anni dovremo produrre 70 miliardi di watt, per raggiungere quota 70 per cento di energia green: una trasformazione epocale. Solo allora potremo pensare ai mezzi di trasporto che la utilizzino, ma prima occorrerà fare un lavoro infrastrutturale incredibile». Poi, ha proseguito, «dovremo adottare pienamente il concetto del riciclo e della circolarità e arrivare almeno all’80 per cento di differenziata. Il 65 percento dei rifiuti dovrà essere completamente riutilizzato; il restante 25 andrà valorizzato (per produrre energia) e massimo il 10 percento dovrà andare in discarica. Infine c’è l’aspetto della rinaturazione: recupero dello stato salute del mare vicine le coste, soluzione del rischio idrogeologico; l’agro-fotovoltaico; il piano per i bacini fluviali; i grandi impianti per catturare la pioggia; il risanamento degli acquedotti che oggi perdono il 42 percento di acqua; la digitalizzazione dei parchi naturali e la biodiversità».
Secondo i comitati scesi in piazza a Roma, si tratta solo di «greenwashing». A loro parere, non c’è «nessuna iniziativa verso l’incremento delle fonti rinnovabili, verso le bonifiche dei siti altamente inquinati, né in favore delle comunità energetiche. Vengono completamente ignorate le spinte dal basso, come a Civitavecchia, che realizzano progetti alternativi ad emissione zero che daranno più lavoro. Al contrario, assistiamo a continui aiuti economici (20 miliardi annui) a favore di nuovi gasdotti e centrali turbogas, idrogeno blu, Ccs, trivellazioni, grandi opere inutili, non ultimo persino per proposte di ritorno al nucleare».
Nel frattempo, il Parlamento ha approvato il documento finale della pre-Cop26 di Glasgow. «Noi, parlamentari di tutto il mondo, esprimiamo seria preoccupazione poiché sta diventando sempre più urgente agire per contrastare la crisi climatica e reiteriamo gli appelli internazionali in favore di un’azione concertata e coordinata sul clima da parte di tutti gli Stati», si legge. Quello che i comitati scesi in piazza ieri mattina contestano è come tutto ciò sarà messo in pratica.
di Angelo Mastrandrea
da il Manifesto del 10 ottobre 2021
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La notizia che grazie al Comitato Sole di Civitavecchia si stia muovendo qualcosa per realizzare al largo del nostro territorio un grande parco eolico offshore con possibile cantieristica di montaggio in posto ci fa ben sperare per il futuro della transizione dal fossile. Ciò, tanto più, se si attuerà lo sfruttamento dell’energia green ricavata dal parco per un hub dell’idrogeno. Tutto bene allora? Temo di no, almeno per il momento. Prima di tutto perché non si sa bene ancora se ci sarà un finanziamento a breve e chi sarà l’investitore. Poi dovrebbe partire l’iter autorizzativo ma nel frattempo c’è il rischio che si arrivi al 2025 senza che saranno ancora partiti i lavori. Abbiamo l’esempio di Taranto, che sarà la prima città ad ospitare al largo un parco eolico galleggiante. L’impianto, di proprietà di Renexia, consiste in dieci turbine ed inizierà a produrre energia elettrica dal 2021, per una capacità di 80 gigawattora l’anno. Prima di arrivare a tutto questo, purtroppo, c’è stata una travagliata vicenda che riflette quella di molti altri impianti eolici in Italia. Il progetto nasce infatti nel 2008 ma ottiene l’approvazione della valutazione d’impatto ambientale, pensate un po’, nel 2012, ma non è bastato. Ha dovuto superare le opposizioni – per il presunto danno al paesaggio – del comune di Taranto, della regione Puglia e della Soprintendenza ai beni paesaggistici. Il fatto è che la lentezza dell’iter burocratico in Italia – minimo cinque anni – non sta al passo con l’evoluzione tecnologica, così anche il parco di Taranto è nato in realtà vecchio, visto che monta turbine da 3 megawatt, mentre quelle di ultima generazione hanno una capacità di 10-15 MW. Non solo il parco eolico di Taranto sarà il primo ad essere realizzato dopo che almeno altri venti progetti simili sono stati bocciati, ritirati o sospesi. Spero solo che la pressante iniziativa del Comitato anche l’ultima la manifestazione a Roma abbia la forza di raggiungere al più presto l’obiettivo da tutti sperato.