Lombardia – Il business del siero e il carico sul sistema pubblico
Con la liberalizzazione dei sierologici in Lombardia è partita ufficialmente la corsa al test nei laboratori privati e si è aperto un nuovo business: quello del siero. Ma mentre il mercato privato corre, quello pubblico arranca, patendo la scelta fatta dalla Regione all’inizio della crisi di non investire sui tamponi e l’assistenza territoriale. Il Presidente lombardo Fontana e l’Assessore al welfare Gallera sono stati a loro modo coerenti con il modello sanitario privatistico che da oltre vent’anni muove ogni scelta in Lombardia e che vede nell’ospedale, e solo nell’ospedale, il luogo della cura, sacrificando tutto quello che è prevenzione e medicina del territorio. Nell’emergenza Covid però gli ospedali sono diventati focolai della diffusione del virus.
Da giovedì privati e aziende possono prenotare il proprio test sierologico nelle strutture private che, secondo le indicazioni regionali, dovranno occuparsi di tutto senza gravare sul sistema sanitario pubblico, ma così non è. Prenotare il test è semplice, lo si fa direttamente con le strutture private, il costo varia da struttura a struttura, mediamente si aggira attorno ai 35-40 euro con picchi segnalati di 67. Sono già migliaia le richieste, soprattutto di singoli cittadini. Una volta prelevato il sangue la risposta arriva entro un paio di giorni. Se il test è positivo agli anticorpi significa che si è entrati in contatto con il virus, magari anche tempo fa, e la delibera regionale chiede di fare il tampone per verificare se si è ancora contagiosi oppure no. La struttura privata deve avvisare l’azienda sanitaria Ats pubblica, la persona deve mettersi in isolamento fiduciario e fare il tampone a proprie spese: 62,89 euro, come indicato dalla delibera, anche se spuntano già segnalazioni di tamponi a prezzi più alti. La Lombardia però non avendo acquistato per tempo a gennaio e a febbraio i reagenti per i tamponi, a differenza di quanto fatto ad esempio dal Veneto, è già al limite della capacità giornaliera di analisi dei tamponi. Ne riesce a processare circa 20mila al giorno e questo nuovo mercato privato rischia di ingolfare ancora di più il sistema. Per questo la Regione ha chiesto ai laboratori di dare precedenza ai tamponi pubblici destinando l’eventuale incremento di lavoro all’80% al pubblico e il rimanente 20% ai privati. Che però sono sempre cittadini lombardi, quei cittadini che la Regione ha deciso di lasciare al fai da te non testandoli con un piano pubblico uguale per tutti.
Ma c’è anche un altro problema. Chi ha sviluppato gli anticorpi come detto dovrà mettersi in isolamento, comunicarlo al medico di base, attendere l’esito del tampone. È qui che inizia il limbo a tempo indeterminato di chi attende il tampone che sta convincendo molte aziende a rinunciare allo screening per paura di avere troppi lavoratori a casa. Alcuni medici di base segnalano anche che non sanno se devono fare il certificato di malattia a questi lavoratori in isolamento, che spesso sono senza sintomi. Si chiedono: «Sulla base di cosa dobbiamo fare un certificato di malattia a persone senza sintomi, per un tempo indefinito, in attesa dell’esito del tampone?».
di Roberto Maggioni
da il Manifesto del 16 maggio 2020
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