Lombardia, la controriforma Moratti un attacco alla sanità pubblica

È iniziata la discussione della nuova legge sulla sanità in Lombardia nella forma di emendamenti alla precedente legge Maroni che a sua volta emendava le norme che dal 1997 determinano lo sbilanciamento verso il privato di finanziamenti ed erogazione dei servizi – fino al 100% per quelli più profittevoli. Norme che hanno costruito un ospedalocentrismo esasperato (distruzione della medicina territoriale e dei distretti con effetti tragici sulla diffusione del Covid), l’assenza di partecipazione e democrazia anche nel settore pubblico con direttori generali che non guardano al territorio e al miglioramento della salute collettiva ma agli obiettivi dell’assessorato, con logiche identiche al privato.

Hanno fatto un deserto della sanità pubblica e l’hanno chiamato parità pubblico/privato e libera scelta. La narrazione della maggioranza si concentra sulla libera scelta del cittadino rispetto all’erogatore del servizio; in soldoni significa che puoi scegliere il pubblico subendo liste di attesa di mesi o il privato in poco tempo pagando: una sanità che discrimina per reddito come prima del 1978. Infatti, nella proposta normativa ulteriore spazio è dedicato a mutue, assicurazioni e al welfare aziendale contrattualizzato dai sindacati. Tutto senza programmazione e senza alcun obiettivo di miglioramento della salute, solo per incrementare il fatturato.

Il risultato di questo percorso autonomo della Lombardia? Dal 1997 sono stati cancellati 22.239 posti letto nel pubblico mentre nel privato sono aumentati di 2.553 o trasformati in altre forme di assistenza. Il privato (2017) copre il 54% degli acquisti di servizi sanitari e si mangia il 62% degli investimenti strutturali della regione. Gli operatori sanitari pubblici sono diminuiti di 11.768 unità dal 1997 al 2017 (-12%, la media italiana è -7,3%). Vi è carenza di medici di base: nei prossimi 5 anni ne mancheranno 4.167 per pensionamento. Eppure l’assessore Moratti riduce il problema a percezione e a difficoltà organizzative causate dagli stessi medici. Dalla parità si passerà all’equivalenza pubblico/privato, nuovo ircocervo che farà scuola in Italia, tanto più se avvelenato dall’autonomia differenziata. È in discussione una non-riforma che prevede il ritorno dei distretti (aboliti di fatto dalla legge Maroni) e l’introduzione di case e ospedali di comunità dichiarando adesione al principio della medicina di prossimità, ma nel concreto prevede che tutti questi ambiti potranno essere privatizzati, finendo per far transitare i fondi del Pnrr dal pubblico al privato.

Anche le Case della comunità sono proposte in modo deviato rispetto all’idea originaria di Giulio Maccacaro: quel che emerge è un utilizzo di fondi per scopi edilizi con lo spostamento dei servizi esistenti anziché la previsione di una diversa consistenza e finalità della medicina territoriale – che ha bisogno di operatori e di lavoro d’equipe non solo di macchine o telemedicina.
Contro questa ulteriore deriva i rappresentanti di 57 associazioni e realtà sociali, opposizioni consigliari incluse, si sono trovati il 23 ottobre in piazza Duomo per presentare 22 proposte alternative e ora intendono incalzare la Giunta su temi concreti e d’immediato interesse per i cittadini che non sono clienti di prestazioni sanitarie ma portatori del diritto costituzionale alla salute, quindi di un servizio sanitario pubblico all’altezza dei bisogni collettivi e individuali.

Serve un forte governo pubblico della sanità, basato su una chiara programmazione; la medicina territoriale va organizzata con bacini d’utenza limitati per rispondere in modo mirato ai problemi di salute dando priorità alla prevenzione delle malattie attraverso la partecipazione della cittadinanza. Le Case e gli Ospedali di Comunità devono essere pubblici affinchè siano perseguiti risultati di salute, non di rendita. Le liste d’attesa devono essere trasparenti e il loro contenimento un obiettivo primario. Va eliminata la libera professione, intramoenia, nelle strutture pubbliche.

Le Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa) e le Residenze Sanitarie per Disabili (Rsd) devono essere parte del servizio sanitario nazionale e va ritirata la richiesta di autonomia differenziata. Le monarchie dei direttori generali vanno superate a favore di scelte partecipate dal territorio. Gli obiettivi di salute vanno individuati e verificati con gli strumenti dell’epidemiologia anziché col mantra del pareggio di bilancio: la salute non è la sommatoria delle prestazioni sanitarie disponibili. Occorre agire su tutti i determinanti di salute coordinando l’azione dei diversi enti: sicurezza sul lavoro, condizioni residenziali e di vita idonee, tutela ambientale. Non si tratta di fare qualche aggiustamento alle norme vigenti, Urge una vera nuova riforma sanitaria a livello regionale e nazionale attualizzando i principi già contenuti nella riforma del 1978.

di Marco Calrdiroli, Presidente Medicina Democratica – Tecnico della Prevenzione

da il Manifesto del 21 novembre 2021

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