Venezia – Un giorno da leoni – rassegna stampa

Alcuni articoli sulla giornata di ieri a Venezia caratterizzata dall’occupazione del red carpet della Mostra del Cinema per chiedere giustizia climatica.

Tappeti rossi per il clima. Fridays For Future occupa il Red Carpet

Un giorno da Leoni – Protesta simbolica di centinaia di giovani alla mostra del Cinema, poi marcia in Laguna contro cambiamenti climatici e Grandi navi.

Un flash mob, una marcia, l’occupazione del red carpet e pure una battaglia navale. Il Climate Camp non si è fatto mancare nulla e ha voluto dimostrare al mondo che alle parole debbono seguire i fatti. Tante le iniziative di lotta che hanno colorato il primo campeggio climatico di Venezia: dal flash mob stesi per terra con la mascherina al viso, organizzato dalle ragazze e dai ragazzi di Fridays For Future e messo in scena davanti ai cancelli della 76esima Mostra del Cinema di Venezia il 28 agosto, giorno dell’inaugurazione, sino alla grande e partecipata marcia per il clima che si è svolta nel pomeriggio di ieri, lungo i viali alberati del Lido.

Le bandiere lagunari dei No Navi hanno sventolato assieme agli striscioni ambientalisti di tanti comitati come Ende Gelände, il movimento tedesco che si batte contro la miniera di carbone in Vestfalia. A far da colonna sonora, i giovani di Fridays For Future che si sono ingegnati con tamburelli e altri percussioni. Ad aprire il corteo composto da migliaia di persone e dar voce all’impianto di altoparlanti, il furgoncino messo a disposizione dagli spazi sociali del Veneto. Furgoncino, ovviamente ad energia solare, «perché le parole e le azioni – hanno detto gli attivisti – vanno supportati con mezzi coerenti».

Una battaglia emblematica questa dei No Navi perché contrappone la tutela della salute dei cittadini e della difesa della città e dell’ambiente, ai profitti miliardari delle compagnie di crociera. Una battaglia che, in fin dei conti, è la stessa di tutti i movimenti dal basso e di tutti i tanti comitati che difendono il territorio. Magliette, cartelloni, striscioni e bandiere che coloravano il corteo, rappresentavano le tante battaglie che si stanno combattendo in Italia e in Europa, da quelle contro i Pfas e la Tav a quelle contro le autostrade e l’estrattivismo.

La marcia si è conclusa davanti ad un serrato spiegamento di forze dell’ordine che ha impedito ai manifestanti di raggiungere il palazzo della Mostra del Cinema. «La polizia ci sbarra la strada, ma non tiene conto che sul Red Carpet ci siamo già stati stamattina!» hanno ironizzato gli ambientalisti.

La manifestazione pomeridiana infatti è stata preceduta nella mattinata da una vera e propria occupazione del Tappeto Rosso dove i divi fanno passerella. Tappeto che per ben sette ore si è colorato di verde. Prima dell’apertura dei cancelli della mostra, qualche centinaio di giovani con la tuta bianca era riuscita a raggiungere ed a sedersi sopra il famoso tappeto, preparandosi ad una azione di resistenza passiva. Man mano che la notizia girava sui social, gli attivisti sono stati raggiunti subito da altre centinaia di simpatizzanti, sino a coprire tutto il Red Carpet, prima che la polizia stringesse i cordoni, impedendo anche l’arrivo di rifornimenti come l’acqua e il cibo.

Parole di supporto e di incoraggiamento ai manifestanti sono arrivate da vari artisti presenti alla Mostra tra i quali Roger Waters e Mick Jagger. «Sto tutto dalla parte dei ragazzi che protestano – ha dichiarato la stella dei Rolling Stones – saranno loro che erediteranno il pianeta».

Silenzio imbarazante invece da parte dei vertici della Mostra che non si sono neppure degnati di commentare l’iniziativa. Ma per ben sette ore le ragazze ed i ragazzi hanno tenuto duro, senza mollare un solo centimetro di tappeto. È la prima volta, in tutti i 76 anni di storia della Mostra, che degli attivisti riescono a mettere piede sopra il Red Carpet dei divi. Ci sono riusciti ieri per dare voce ad una battaglia, quella per il clima, che non dovrebbe essere ignorata da nessuna istituzione perché è la battaglia per il futuro della terra. «Il nostro pianeta sta bruciando! – hanno urlato al megafono – È il momento di mobilitarci tutti, di prendere veri provvedimenti, di reclamare a gran voce e senza sconti giustizia climatica e sociale». L’occupazione del Red Carpet è stata preceduta il giorno prima, venerdì 6, da una azione altrettanto clamorosa e portata a termine per di più sotto un autentico nubifragio.

Una ventina di barche, con a bordo una delegazione internazionale, è salpata dal Lido di Venezia per dirigersi lungo il canale della Giudecca e compiere una direct action, come hanno chiamato l’azione di disturbo, nei confronti della Msc Lirica, una delle tante Grandi Navi che continuano a scorrazzare impunemente dentro la laguna, nonostante l’inquinamento comprovato, gli evidenti rischi per la città storica, la devastazione del delicato equilibrio che regola l’ecosistema lagunare e le inutili dichiarazioni e le ancor più inutili promesse di trovare una soluzione di tanti ministri e governi. L’arrivo delle barche della polizia che hanno cercato di allontanare le imbarcazioni degli ambientalisti ha scatenato una sorta di battaglia navale in una laguna per di più movimentata dal brutto tempo e dall’incessante moto ondoso. Nel frattempo, dal molo del Lido, alcune centinaia di attivisti rimasti a terra gridavano «Fuori le navi dalla laguna».

È questa e solo questa infatti la soluzione che i veneziani chiedono. E non certo lo scavo devastante di altri canali o la realizzazione di altre strutture portuali. La politica delle Grandi Opere ha già fatto troppi danni. Ora è tempo difendere quel che rimane dell’ambiente e di chiedere per tutto il pianeta giustizia climatica.

di Riccardo Bottazzo

da il Manifesto dell’8 settembre 2019

I cinque giorni dell’altro Lido, il campeggio a impatto zero

Un giorno da Leoni – Al meeting veneto dei ragazzi di Fridays For Future forum su Grandi opere, migrazioni e ecofemminismo.

Batteria Ca’ Bianca è una grande area demaniale abbandonata situata proprio nel bel mezzo del Lido di Venezia. Ai tempi della prima guerra mondiale, era un forte militare e dalle grandi finestre di marmo bianco uscivano minacciose le bocche dei cannoni. Ai tempi nostri, solo un nutrito branco di grosse capre selvatiche riesce a farsi largo tra le grandi erbacce che hanno conquistato tutti i muri e nessuno direbbe che, solo a poche centinaia di metri qui, scintillano le luci della Mostra del Cinema di Venezia ed i grandi divi fanno passerella tra gli ammiratori a caccia dia autografi.

«C’è voluto una settimana di lavoro ai nostri quaranta attivisti, per ripulire tutto, fare amicizia con le capre e rendere l’area utilizzabile – spiega Anna Irma Battino di Global Project -. Come se non bastasse, all’ultimo momento abbiamo dovuto occupare un terreno qui vicino perché l’area che avevamo previsto per il campeggio si è rivelata insufficiente. Attendevamo 800 partecipanti ed invece sono arrivati in mille. Ragazze e ragazzi da tutta Europa. Germania, Austria e Spagna, in particolare. Comunque, quando finalmente abbiamo appeso il grande striscione con la scritta ‘Climate Campo Venezia’, è stata una bella soddisfazione per tutti».

È stato inaugurato così, mercoledì 4 settembre, il primo campeggio internazionale di Venezia dedicato al grande tema dei cambiamenti del clima. O meglio, della giustizia climatica, come preferiscono puntualizzare le ragazze ed i ragazzi di Fridays For Future e del comitato No Grandi Navi che hanno organizzato questa «cinque giorni» di campeggio che si è concluso ieri pomeriggio. Giustizia climatica perché, senza inserirlo in un contorno più ampio di lotta contro un sistema economico basato sul solo profitto e sulla mercificazione di beni comuni e diritti umani, l’ambientalismo – come spiegava Chico Mendes – non sarebbe che giardinaggio. E al giardinaggio si sono già abbondantemente dedicati ripulendo tutta quell’area! Tre sono stati i grandi temi in cui si sono sviluppati i seminari e le discussioni del Camp: grandi opere, migrazioni ed ecofemminismo. I tre principali scenari in cui si svilupperà la battaglia per la giustizia climatica.

Una battaglia che vede Venezia in prima fila. E non solo perché sarà la prima città italiana a patire gli effetti di un innalzamento del livello del mare. «Da questa città in cui i finanziamenti destinati alla salvaguardia sono stati dirottati alla realizzazione di una grande opera come il Mose che, oramai è chiaro a tutti, si è rivelata fallimentare e devastante per l’ambiente; da questa città dove le grandi ed inquinanti navi da crociera continuano a transitare indisturbate a pochi metri da piazza San Marco – ha spiegato l’attivista Marco Baravalle – proprio da questa città fondata su un irripetibile equilibrio tra mare e terra, vogliamo lanciare un appello affinché venga invertita una rotta che non porta verso nessun futuro, fermando la politica delle grandi opere e del consumo indiscriminato del suolo, per tutelare l’ambiente e la biodiversità. Perché, proprio come non abbiamo un pianeta B, non abbiamo neppure una Venezia di riserva».

Venezia ed ambiente è un binomio di sicuro impatto e che non poteva non trovare eco alla Mostra del Cinema. Tra gli artisti che hanno sottolineato la loro vicinanza al Camp, va ricordato l’intero cast di Effetto domino, il film di Alessandro Rossetto, che sono saliti nella pedana delle premiazioni con la maglietta No Grandi Navi. Tra i relatori che hanno animato i pomeriggi e le serate del Camp, contribuendo ad assegnargli una vera patente di internazionalità, citiamo Moira Millán, portavoce del popolo mapuche della Patagonia e coordinatrice del «Movimiento Mujeres Indigenas por el Buen Vivir», il filosofo austriaco Gerald Raunig e il suo conterraneo Oliver Ressler, l’attivista climatico nigeriano Nnimmo Bassey, la spagnola Margalida Maria Ramis Sastre del gruppo Defensa de la Naturalesa e l’italiano Marco Armiero direttore dell’Environmental Humanities Lab del Royal Institute of Technology di Stoccolma.

Tutti insieme per cinque giorni, a discutere in inglese, spagnolo, francese e italiano, trascorrendo le serate a guardare film o a cantare in spiaggia dietro ad una chitarra. Il tutto, c’è bisogno di dirlo?, ad impatto zero. Cucina vegana, stoviglie e bicchieri monouso da lavare con detersivi ecocompatibili, energia fotovoltaica e raccolta differenziata. Erbacce a parte, anche la flora del litorale è stata rispettata. E anche la fauna, vale a dire le capre, sono state ben contente di accettare il pane che avanzava dalle mani dei loro ospiti umani.

di Riccardo Bottazzo 

da il Manifesto dell’8 settembre 2019

L’eco di Venezia, un grido di rabbia tra terra e mare

Un giorno da Leoni – L’intreccio di locale e globale, a Venezia, è inscritto nella natura stessa della città. Sul filo del mare, ne registra le variazioni in tempo reale. La più nota e proverbiale massima veneziana è, non a caso: «sìe ore ea cala, sìe ore ea cresse», sei ore cala e sei ore cresce, la marea, che i veneziani conoscono con esattezza primordiale e matematica insieme (perché a Venezia tutto è matematico e primordiale al tempo stesso).

Azioni dirette, quindi, come oggi. Lotte virtuose e furiose (giustamente) non solo contro i nemici dichiarati o camuffati dell’ambiente e dell’umanità ma anche per l’inanità delle predicazioni ecologiste senza vera capacità di cambiare le cose, le politiche. Questo è il vero, deprecabile «buonismo» del nostro tempo: il sentimentalismo a buon mercato verso l’ambiente – chiacchiere, buoni vacui propositi, canzonette, cartoline sul brutto e sul bello (ah, quant’era verde la mia vallata…), che lasciano le cose come stanno, cioè le lasciano andare alla catastrofe.

Pochi luoghi lo mostrano bene come Venezia, teatro della protesta, ma anche protagonista della medesima, perché i promotori del Climate Camp e della marcia finale, insieme a FridaysForFuture, sono proprio i movimenti lagunari per un’altra Venezia, diversa da quella del Mose, delle mega navi, della speculazione e della rendita, diversa da quella stessa che si è arresa alle forze, effettivamente potentissime, che stanno provando a mangiarsela tutta.

L’intreccio di locale e globale, a Venezia, è inscritto nella natura stessa della città. Sul filo del mare, ne registra le variazioni in tempo reale. La più nota e proverbiale massima veneziana è, non a caso: «sìe ore ea cala, sìe ore ea cresse», sei ore cala e sei ore cresce, la marea, che i veneziani conoscono con esattezza primordiale e matematica insieme (perché a Venezia tutto è matematico e primordiale al tempo stesso). Ebbene, anche questa sperimentata conoscenza «locale» è ora sbalestrata dal clima globale «fuori di sesto».

D’altra parte, la laguna, porto tranquillo e storicamente àmbito sicuro, è stata prima stravolta dalle manomissioni novecentesche (nuovi canali a immettere acqua in eccesso per quantità e velocità, e interramenti a restringerne il perimetro, e sversamenti chimici a insidiarne il corpo liquido e terrestre) e poi solcata dalla prepotenza fuori scala delle mega navi e brutalizzata dall’insulso meccanismo già arrugginito del Mose: non solo corruzione ma ottusità di visione, una pseudo medicina superata dalla malattia che vorrebbe curare (se il livello del mare crescerà, sarà inservibile: o la marea lo scavalcherà o, se resta poco sotto l’altezza delle paratoie, posto che reggano la pressione costante, la chiusura continua farebbe della laguna uno stagno morente).

Luogo più opportuno per la più necessaria protesta della nostra epoca non potrebbe quindi esserci, anche se l’intreccio di globale e locale è ormai «costituente» ovunque, in ogni punto del globo. Ma in «questo» punto, luogo delle meraviglie di un intero ciclo di civiltà e luogo, quindi, del suo rischio più struggente, ha certo un senso speciale e crea un’eco maggiore.

Ha scritto una volta André Chastel che «Venezia è diventata il simbolo delle nostre responsabilità. La sfida veneziana non è che l’episodio centrale della crisi del mondo moderno, il quale dovrà rivedere il suo stile di vita». Non è film, anche se ieri lo hanno ripetuto con chiarezza su un tappeto prestigioso del cinema mondiale.

di Gianfranco Bettin

da il Manifesto dell’8 settembre 2019

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