Emergenza sempre e comunque: e se fosse una trappola?

Emergenza.

Questa parola mi ossessiona da tempo.

A volte mi fermo a riflettere.

Quando mi sono formata, professionalmente, nel settore umanitario, mi hanno insegnato che emergenza e sviluppo avevano due accezioni molto differenti: l’aiuto umanitario di emergenza, infatti, portava con sé molti elementi negativi rispetto a quello “strutturale”, di sviluppo.

Il primo elemento, era l’aspetto della “sommarietà”: in emergenza non si ha tempo di fare le cose “bene”, e dunque, per esempio, di analizzare i contesti locali, di fare un serio studio di fattibilità, di monitorare la qualità degli interventi. E’ urgente, dunque si fa alla “bell’e meglio”. E la fretta, si sa, come dice il proverbio “fa fare alla gatta i gattini ciechi”…

Il secondo elemento degli aiuti di emergenza è la scarsa trasparenza. Gli aiuti infatti sono massicci (campagne mediatiche di emergenza = tanti soldi in poco tempo) e dunque lo stanziamento massiccio fa sì che i fondi spesi siano spesso poco tracciabili: inoltre, dovendo fare tutto in fretta e furia molto spesso ci si “dimentica” qualche fattura….

Terzo elemento, pericoloso. In emergenza saltano le regole. Regna l’eccezione. Dunque, se si ha, normalmente, una serie di regole, sull’assunzione di personale, sulla rendicontazione dei fondi, sulle modalità di intervento… beh, in emergenza, l’unica regola è quella dello “strappo alle regole”.

L’emergenza, inoltre, porta con sè passività. I beneficiari stanno ad aspettare l’aiuto, essendo in condizioni di impotenza di fronte a un evento più grande di loro. Non vi è partecipazione, ruolo attivo, e scatta un meccanismo unilaterale di aiuto (aiutante verso aiutato) che crea gravi squilibri e attitudini dannose, se protratto nel tempo.

Mi è stato insegnato che lo sviluppo è bene, l’emergenza è male.

Dopo un po’ di anni, e dopo aver lavorato in entrambi i contesti (emergenze, progetti di sviluppo, e anche tanti ibridi), posso dire che entrambi gli aiuti hanno dei difetti. Purtroppo c’è un problema alla base, e la questione non è sviluppo o emergenza, ma aiuto esterno o non aiuto esterno. Dipendenza o indipendenza. Ingerenza o autodeterminazione. Insomma, le questioni sono altre.

Però, non posso fare a meno di notare la mentalità da emergenza anche qua in Italia. Sempre. Ovunque. E mi chiedo se non sia anche questo, culturalmente, socialmente e politicamente, uno dei nostri problemi, alla base della paralisi italiana.

E’ sempre emergenza, in Italia: al di là delle continue catastrofi (terremoti, alluvioni, ecc.) , per le quali si spendono migliaia di euro che potrebbero essere meglio impiegati in attività strutturali e di prevenzione (e che, stranamente, portano spesso con sé corruzione o operazioni politiche), non posso fare a meno di ritrovare spesso, nella mia vita quotidiana, la mentalità emergenziale.

Sul lavoro. “Vogliamo risolvere il problema?”. “No, lascia stare, questa è un’emergenza.” “No, adesso no, adesso abbiamo quest’altra emergenza”. “Non è risolvibile, era un’emergenza, un caso a parte”.

Nelle discussioni. “Analizziamo cosa è successo.” “Non si può, era un caso particolare, era un’emergenza, un caso unico”.

Nel mondo dell’informazione: tanto spazio alle notizie di emergenza, che poi cadono nel dimenticatoio per anni… e dei problemi non se ne parla più (finché non si ripresentano).

La crisi politica è un’emergenza, la crisi economica è un’emergenza: persino il caldo e il freddo sono comunicati, e dipinti, come delle emergenze. I rifiuti un’emergenza… e così via. Poco o nessuno spazio ai perchè, alle possibili soluzioni, alla prevenzione. Nessuno spazio a “cosa possiamo fare”.

Spesso è questa mancanza di analisi che ci frega, in Italia. Perchè dalle emergenze non si impara nulla. Manca tutto il faticoso ma importante lavoro di costruzione di esperienza, capitalizzazione e soprattutto analisi.

Saltano le regole: e questo fa di certo comodo a qualcuno. Si fa meno fatica. Si nascondono dubbi e domande, responsabilità. Non si è costretti a migliorare, nè a porsi delle domande.

La mentalità emergenziale, nella politica come nella vita quotidiana, nel settore economico, ambientale, sociale, ci allontana, secondo me, dai tentativi di far fronte alla realtà: e così i problemi  si ripetono, da anni, senza trovare soluzioni.

Ci rende passivi, spettatori perenni di spettacoli che, quasi, sembra che non ci appartengano più.

 

 

 

 

 

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