Edward Said e Abdullah Öcalan hanno dimostrato che la soluzione dei due Stati porta a violenza continuativa

Nato nel 1935 a Gerusalemme, Edward Said e nato nel 1947 a Urfa, Abdullah Öcalan, hanno storie molto diverse, ma idee simili.
Said diventò professore di letteratura inglese presso la Columbia University negli Stati Uniti, Öcalan dopo studi interrotti di legge e poi di scienze politiche, diventò il leader del PKK.
Le sue idee politiche non sono maturate all’università, ma in carcere, dove si trova fin dal suo sequestro in Kenya nel 1999.
Entrambi gli intellettuali vedono il cuore del problema della violenza ancorato nell’idea dello Stato-Nazione e delle sue politiche di identità escludenti. Entrambi vedono la soluzione nel rafforzamento del principio di cittadinanza, che è possibile solo insieme agli altri. Non separatismo, ma coesistenza.

Nel suo articolo “La soluzione di uno Stato Unico” del 1999, l’intellettuale palestinese Edward Said afferma che la continuazione del colonialismo di insediamento israeliano e la resistenza palestinese che vi si oppone, peggiorano le prospettive di vera sicurezza per entrambe le parti. In questo contesto, Edward Said rigetta risolutamente l’idea di Stati separati per ebrei e palestinesi rappresentata dalla soluzione dei due Stati degli Accordi di Oslo. Afferma che non c’è una giustificazione valida per perseguire l’omogeneità, un’idea che sta dietro alla soluzione dei due Stati, di cui la suddetta Legge dello Stato-Nazione ebraico è la logica conseguenza.

Said chiede un riorientamento politico radicale e ci ricorda che anche un selezionato gruppo di influenti pensatori ebrei, tra cui Judah Magnes, Martin Buber e Hannah Arendt, lo hanno sostenuto in precedenza. La chiave per il progresso, argomenta, sta nella pratica della cittadinanza, lo strumento primario di auto-realizzazione per una vera autodeterminazione e coesistenza. Crede che questo possa essere raggiunto nel modo migliore in uno Stato laico condiviso, in cui ebrei e palestinesi sono uguali.

Il leader curdo Abdullah Öcalan segue un ragionamento simile. Ispirato dal filosofo politico Murray Bookchin, vede una soluzione in nuove forme di cittadinanza, ma 20 anni dopo Said, pone l’enfasi su una forma di cittadinanza oltre lo Stato. In carcere, preparandosi per i processi che si sono tenuti contro di lui, Öcalan ha sviluppato la critica dello Stato. Lo Stato-Nazione, afferma, è un centro di politiche identitarie ossessive e distrugge la pluralità che dovrebbe formare la base di una democrazia.

In accordo con Edward Said, Öcalan non chiede una soluzione di due Stati per turchi e curdi, ma una democratizzazione della Turchia in cui una definizione etnica di cittadinanza dovrebbe essere sostituita da una definizione civile. Mentre l’attuale definizione etnica di cittadinanza vede espressioni di identità diverse da quella turca come una minaccia esistenziale, una definizione civile accetta che cittadini della Turchia possano avere diverse identità, compresa quella curda. Inoltre argomenta che la via all’autodeterminazione è rendere più profonda la democrazia attraverso l’auto-organizzazione. Vede la vera coesistenza emergere in una democrazia partecipata basata sui principi di uguaglianza di genere.

Sia Said sia Öcalan concludono che ci sono due opzioni: la continuazione dei conflitti che stanno diventando sempre più intensamente settari e in cui la sopravvivenza di un gruppo è data dalla distruzione dell’altro, o la ricerca attiva di percorsi di coesistenza. Le prospettive sempre più minacciose di pulizia etnica rendono le loro proposte più rilevanti che mai, ma nella violenza retorica della realpolitik, sono anche meno percettibili di quanto dovrebbero essere.

Joost Jongerden è un professore associato del Dipartimento di Sociologia Rurale all’Università di Wageningen.

Fonte: retekurdistan.it (traduzione inglese)

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *