Escuelita Zapatista: La Realidad parte 1 – emozioni
Una serie di racconti perché le cose da dire sono tante. Tantissime. Questo scritto di botto, di getto, senza bloccare il flusso di sensazioni del momento.
10 ore di viaggio per arrivare alla Realidad. In carovana, 7 combi. Noi siamo in 17. Non c’è spazio per dormire. Si rompono 2 mezzi. Le ultime 2 ore nella selva sono fatte con due carri da lavoro, risultato in tanti si sta in piedi sotto l’acqua, e da dopo Guadalupe Tepeyac anche alla polvere della strada sterrata.
Arriviamo al Caracol. Ci attendono 2 ali di folla, festante che è lì per applaudirci e gridare “que viva las y los estudiantes de la escuelita”. L’emozione è enorme e non sarà nemmeno il momento più emozionante. Anzi fanculo al racconto. Parliamo di quello che ho sentito in questi 4 giorni. Ho vissuto emozioni fortissime, a volte inspiegabili, sicuramente inaspettate. Oramai coperto da un coltre di menefreghismo per i rapporti umani il mio guardiano e la mia famiglia zapatista mi hanno fatto vedere come l’umiltà, i sorrisi, la dignità e la disponibilità siano una forma di lotta e di trasmissione di energia senza pari. Ancora adesso mentre scrivo gli occhi sono umidi e la testa mi dice che ho perso alcuni anni di vita. La semplicità dei gesti di chi però vive da 30 anni un conflitto reale e cruento, fatto di clandestinità, guerra, scontri con paramilitari ed esercito ma anche di dolorose separazioni all’interno della comunità e la semplicità con cui ti raccontano tutto questo fa vedere il lato umano delle persone e il lato vero di cosa vuol dire lottare. Il resto noia e tempo perso.
Il mio guardiano non fa parte della famiglia, è così per tutti. 2250 persone hanno un “votan” oltre 2000 famiglie si danno disponibili ad ospitare votan e studente.
Ha 22 anni, è nato 2 anni prima iniziasse la parte pubblica della lotta. Le differenze di esperienza tra lui e il padre di famiglia sono notevoli, non gli sguardi, la gentilezza, l’umiltà e la disponibilità. Mi emoziono ancora l’ultima sera a Casita quando il mio votan (no non scriverò nomi, si sono messi un passa montagna per non avere volto e nome, adesso per qualcuno ne hanno uno, ma solo per chi c’è stato, credo che tutelare l’anonimato in questi casi sia oltre il fondamentale) è triste durante la festa. Gli chiedo perché e lui dice “perché domani vai via”, Io penso beh sarà che non mi conosce, ma poi penso anche alla forza dei sorrisi e di quanto a volte essere un giullare di corte, mettere in chiaro le proprie debolezze e giocarci valga molto più di libri letti, viaggi già fatti e chissà quale altra teoria da militante. Mi emoziono molto. Mi emoziono a pensare che possa essere triste perchè se ne va una persona che conosce da 2 giorni, una persona che è lì a Casita per imparare delle cose e vederne delle altre non certo per portare qualcosa. Mi emoziono quando a notte mi raccontano del Moy, del Sup Marcos e soprattutto del Sup Pedro. Mi viene la pelle d’oca quando il padre di quella famiglia che non mi ha fatto mancare nulla per quelle 3 notti e due giorni passate assieme si lascia scappare un commento su Pedro dicendo “muy buena gente”, ma mi viene la pelle d’oca quando mi saluta e mi ringrazia per essere stato suo ospite.
Faccio il giullare per l’ultima volta, salutando tutti in Tzeltal prima di prendere il ponte che mi porterà a prendere il carro che ci riporterà alla Realidad.
Me ne vado da Casita portardomi via emozioni a non finire, energia, dignità e semplicità. Ma me ne vado via soprattutto con altre sensazioni:
1- I migliori insegnanti sono quelli che le cose che ti insegnano le hanno fatte, le fanno, se le vivono e se le portano dentro, te le insegnano in maniera indelebile, molto meglio che un intellettuale teorico.
2- La famiglia ed il votan mi hanno dato molto di più ed in maniera molto più netta e profonda che il paio d’incontri che mi e’ capitato di avere con un paio di quelle persone che qui nel sud-est messicano tutti vorrebbero avere. Non lo dico per scherzo o per mitizzare la situazione, ma la rilassettezza e la semplicità dei dialoghi così come l’umilità nell’approccio da in somma una comunicazione dall’intensità enorme.
3- I sorrisi e le emozioni che mi hanno trasmesso queste giornate hanno aperto un vortice di ragionamenti che le 11 ore del viaggio del ritorno non hanno nemmeno dato il tempo di snodare. La certezza che spesso ci si prenda troppo sul serio, ci si appesantisca su cose su cui si dovrebbe solo dire “bene, andiamo avanti”, che dire “noi” non è cosa facile e che obblighi a prendersi responsabilità alla quali bisogna avere la forza ed il coraggio di rispondere, e per rispondere bisogna avere l’umiltà e l’energia necessaria, senza pretendere nulla in cambio. Ma la presa di responsabilità è’ l’unico modo che esista per creare una collettività paritaria.
4- Essere allegra ribellione è metodo per poter passare sopra a tutte le difficoltà, essere comunità la base da cui partire, riconoscendosi e riconoscendo quello che gli altri fanno per gli altri.
5- Un sorriso, una risposta umile, il silenzio, il sapersi prendere i tempi per fare politica, lavorare, avere rapporti umani, vivere, lottare e sognare sono una formula magica che forse va cercata sempre, sapendo che non e’ un gioco ma che tutto deve avere il suo posto alla fine delle giornata.
Forse non dovevo venire qui per capire queste cose, ma questa lotta e queste persone hanno il pregio di rubarmi tutto quello che sono. Prenderlo, mescolarlo, portarlo alla luce. Non ho ma avuto dubbi ma la lotta ZAPATSITA è la cosa più grande in cui mi sono imbattutto e con la quale mi sono confrontato. Non il Sup Marcos ma le persone, i bambini, le anziane, le donne e gli uomuni che giornalmente la portano avanti sono una potenza della natura. Senza mitizzare nulla perché di difetti, problemi, incongruenze, lati oscuri è pieno anche questo movimento, ma le cose perfette non esistono, esistono esempi reali che si possono vivere e provare a capire, non per copiarle ma per farne tesoro.
Scusate il testo poco politico, scusate il racconto che non parla dell’autonomia zapatista, delle Giunte del Buon Governo, della clandestinità, delle risposte che ci hanno date, scusate il racconto soggettivo, ma non pensavo di potermi ancora emozionare qui nel sud-est messicano, non pensavo di tornare qui per dire arrivederci, non pensavo di tornare con la sensazione che mai altre volte in un caracol o in una comunità ci sia stata la possibilità di scambiarsi tante cose, insomma non pensavo che la più grande cosa che mi avrebbe dato l’escuelita sarebbe stato un lato umano di ripensamento del mio agire politico.
Così è stato. A domani per la prossima puntata. Al secondo livello dell’escuelita per nuove emozioni.
“Porque la rebeldía, amigos y enemigos, cuando es individual es bella. Pero cuando es colectiva y organizada es terrible y maravillosa. La primera es materia de biografías, la segunda es la que hace historia.” (Subcomandante Marcos)
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