Gli effetti secondari della “guerra al terrore”

Non si placa ma, anzi, sembra crescere di ora in ora l’ondata di violente proteste contro il film americano-israeliano “L’innocenza dei musulmani”, che ha già causato la morte di un membro dell’ambasciata americana di Bengasi, in Libia.

Il film, lanciato nei giorni scorsi nelle sale, rappresenterebbe un insulto all’Islam per l’ambigua rappresentazione della figura di Maometto.

Episodi simili sono già avvenuti nel 2005, quando, a seguito della pubblicazione di alcune vignette (che ritraevano Allah) su un giornale danese, vi furono violenti scontri e assalti incendiari proprio nella città di Bengasi (durante la visita di Calderoli, allora ministro).

Sono passati 11 anni dall’11 Settembre 2001, data che ha segnato l’inizio della “guerra al terrore”, la contrapposizione tra il bene e il male, identificato con il terrorismo. La strumentalizzazione di questa dicotomia rappresentata, grazie ai media e alla politica, dal BENE identificato con l’Occidente e il MALE identificato con l’Islam, non ha fatto altro che aggravare le conseguenze già negative e pesanti di azioni come la guerra all’Afghanistan, l’invasione dell’Iraq e l’occupazione militare di questi paesi in nome della “democrazia”.

L’odio e l’intolleranza sociale verso l’Islam sono state diffuse nelle società di tutto il mondo, andando così a giustificare sempre di più operazioni militari a scopi politici ed economici che non avevano nulla a che vedere con obiettivi di stabilità, benessere e diritti delle popolazioni.

Gli eventi di oggi si inseriscono pienamente in queste dinamiche ormai purtroppo consolidate e divenute prassi: provocazioni da parte di personaggi anti-islamici che, trovando terreno fertile alla risposta nei gruppi religiosi, provocano le ritorsioni su simboli dell’Occidente come le ambasciate, facendo innalzare la tensione internazionale e dando un peso “politico” ad azioni che in realtà non hanno alcun significato se non quello della provocazione e istigazione dell’odio inter-religioso.

E’ importante considerare come le conseguenze di queste azioni abbiano ripercussioni anche su dinamiche interne e regionali complesse, su delicate e non sempre facili convivenze tra popolazioni, tra fazioni e gruppi, in contesti in cui spesso la strumentalizzazione politica della religione e dell’appartenenza identitaria è purtroppo una pratica consolidata.

Non è difficile immaginare come paesi come la Libia, l’Iraq e l’Afghanistan  (nei quali hanno convissuto per anni popolazioni diverse, religioni differenti e dagli equilibri non facilmente comprensibili né spiegabili) si trovino ora, dopo gli “interventi di democratizzazione” portati avanti dall’Occidente, con maggiori difficoltà nel ristabilire, o forse, ricostruire questi equilibri, ma anche nel gestire forme nuove di estremismo, a volte di resistenza, o di radicalizzazione religiosa o politica. A volte queste forme di “estremismo”, dipinte dai nostri media come pericolosi mostri, sono state addirittura appoggiate o sostenute dai governi e dalle coalizioni occidentali, quando si trattava di destituire il precedente governo.

Spesso, inoltre, forme di radicalismo sono il naturale frutto di un processo di resistenza a occupazioni militari, ma anche dell’instabilità politica, della povertà o della mancanza di stabilità e di gestione del territorio.

Altre volte, infine, anche senza una “mano” occidentale più o meno celata, gli stessi processi di rivolta interna e di cambiamento politico portano all’emergere di forze religiose-politiche, adatte ad attrarre consenso e sufficientemente solide per proporsi come soggetto politico, come sembra stia accadendo in Siria, e come accaduto, parzialmente, in Libia.

Gli eventi di queste ultime ore e di questi ultimi anni sono la dimostrazione che non solo la guerra “al terrore” dell’Occidente contro l’Islam (e viceversa) non è finita, ma che le sue ripercussioni sulla stabilità del mondo intero non saranno facilmente governabili, sia nel presente che nel prossimo futuro.

 

Per approfondire:

http://nena-news.globalist.it/

http://www.aljazeera.com/news/africa/2012/09/2012912144149580926.html

 

 

 

 

 

 

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