Israele, una nazione-esercito

israeleIn Israele una certezza è il servizio militare dopo le scuole superiori. Per tutti, uomini e donne; i primi tre anni e le seconde due. Esentati praticamente solo gli ebrei ultraortodossi, per motivi religiosi e gli arabi israeliani.

Per i genitori dei figli maschi è un momento abbastanza penoso: i rischi del mestiere sono alti. Per le donne considerevolmente meno. Tra le frasi fatte israeliane, assieme a “non ci sono più le mezze stagioni”, c’è anche “abbi almeno una figli femmina”.

Quando vengono convocate la prima volta, alle reclute viene consegnato una sorta di questionario puramente indicativo. I neo-soldati e soldatesse scrivono le loro preferenze, sapendo che potrebbero finire a fare l’esatto opposto. Poi vengono assegnati ai loro incarichi, chi in un ufficio a Tel Aviv e chi in territori palestinesi.

Poi ciascuno gli anni del servizio se li vive a modo suo. In un certo senso è come la scuola; puoi trovarti bene o male, avere compagni più o meno gradevoli, professori bravissimi o pessimi e via dicendo.

Tutti noi ora, se ci venisse chiesto un aneddoto sui nostri anni di liceo, ne sforneremmo immediatamente un paio. A prescindere da come sono andate le cose, gli anni di scuola sono qualcosa che ci accomuna. In Israele il servizio militare ha una funzione analoga. Tutti lo hanno fatto, tutti hanno dei ricordi di quel periodo.

C’è però qualcosa di più, in questa esperienza. L’esclusività e l’eccezionalismo.

Con esclusività intendo l’ingresso nella “comunità adulta israeliana”. A volte, pensando agli arabo-israeliani che vengono esentati dal servizio militare, si pensa che questo trattamento costituisca una sorta di privilegio. In realtà la questione è un più complessa. Nell’esercito non si impara solo a sparare ma si stringono anche forti amicizie; è in quel contesto che ragazzi e ragazze di diverse città ed estrazione sociale si ritrovano improvvisamente a collaborare. Queste amicizie sopravvivono alla fine della leva, e diventano quello che gli americani chiamano “networking”. Inoltre, quando si interagisce con una nuova persona, che sia il vicino di ombrellone, l’amico dell’amico che incontri a una cena o un potenziale datore di lavoro, tra le domande di circostanza c’è: «Tu che facevi nell’esercito?». Se uno risponde ammettendo che il servizio militare non l’ha fatto cala l’imbarazzo. Immaginiamo una conversazione tra due sconosciuti, dove uno chiede all’altro «Dove abiti?». Che effetto avrebbe una risposta tipo «Sotto il ponte»?

E’ per questo che l’esonero dal servizio militare è una sorta di esonero dalla piena integrazione nella comunità. Gli arabi israeliani sono la fascia più povera della popolazione; generalmente le loro prospettive di ascesa sociale sono basse. Il discorso degli ultraortodossi è diverso: sono infatti, per definizione degli israeliani stessi, una specie di stato nello stato. Hanno le loro scuole, i loro negozi e la polizia non si addentra nei loro quartieri. Spesso sono molto poveri; gli uomini non lavorano per dedicarsi agli studi religiosi, solo le donne contribuiscono economicamente nelle ore in cui i loro (tanti) bambini sono a scuola. Gli altri israeliani generalmente non hanno un’alta opinione di loro, più nello specifico li considerano un mix di fanatismo e parassitismo.

Con il termine eccezionalismo mi riferisco ai forti caratteri distintivi dell’essere israeliano. Tra questi c’è la sensazione di essere sotto assedio. Ho sentito bambini dirmi: «Quando torni in Europa, di a tutti che le cose brutte sul paese non sono bugie»; la sensazione che gli Arabi li eliminerebbero dalla faccia della terra e tutti gli altri li considerino dei guerrafondai è forte. Generalmente gli israeliani sono persone molto cortesi, ma quando si parla di argomenti “sensibili” il tema dell’accerchiamento emerge, sia che parli con conservatori che con esponenti della sinistra pro-pace. Cambiano i toni e l’approccio, ma la sensazione di assedio è comune a tutti.

A questo si aggiunge il fatto che la guerra, o qualcosa che gli assomigli, l’hanno vista tutti. Tutti hanno indossato gli anfibi e la divisa verde, tutti sanno montare e smontare rapidamente un’arma. In ultimo, tutti sono stati soldati. Si arriva alla particolare situazione di una “nazione in armi sotto assedio”, che sente di avere tanti nemici e nessun amico “sicuro”.

E che deve formare dei cittadini-soldato pronti a difenderla.

 

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