Intervento letto al corteo del 16 febbraio a Roma per la liberazione di tutte e tutti i prigionieri politici

Tra il 3 e l’8 gennaio le procure di Torino e Cagliari hanno convocato in udienza sei di noi, “accusati” di aver fatto parte delle Ypg o delle Ypj e di aver combattuto contro il jihadismo e lo Stato islamico in Siria. In verità, l’udienza cui siamo stati convocati non apre alcun processo e non va verso nessuna sentenza, poiché nei nostri confronti non c’è nessuna ipotesi di reato. Aver combattuto con le Ypg non è un reato per la legge italiana o internazionale. In effetti l’udienza per cui noi siamo stati convocati a Torino il 23 gennaio, e saremo riconvocati il 25 marzo, e quella di fronte alla quale il compagno Luisi dovrà comparire a Cagliari il 21 febbraio, non sono che sedute alla fine delle quali dei giudici potrebbero applicare un provvedimento di restrizione della libertà personale per mero decreto.

Ciò che è stato chiesto nei nostri confronti è la sorveglianza speciale, misura che lo stato applica alle persone che considera “socialmente pericolose”. Divieto di uscire dal comune di residenza, obbligo di pernottare a casa, presentazione all’autorità giudiziaria, divieto di riunirsi con più di due altre persone, divieto di esprimere pubblicamente opinioni politiche, revoca della patente e del passaporto, obbligo di tenere in tasca un libretto su cui la polizia può annotare tutto quello che vuole. Il tutto senza accuse o processo, e quindi senza la possibilità di difendersi, perché si tratta di misure attuate sulla base di fascicoli compilati dalla polizia politica, detta anche Digos. Di cosa sa tutto questo? Sa di fascismo. E in effetti fu sotto la tirannia di Benito Mussolini, nel 1931, che questa possibilità fu introdotta in Italia all’interno del Codice Rocco.

Ci dicono che siamo socialmente pericolosi perché le Ypj e le Ypg ci hanno insegnato a usare le armi. Tutti e sei siamo stati in Siria e tutti e sei siamo entrati dal Rojava, dove siamo stati la maggior parte del tempo. Ma come tutti coloro che hanno fondato o abbracciato la causa della rivoluzione confederale, abbiamo attraversato anche le terre arabe. Siamo stati in Siria quando già Kobane e Tell Abyad erano state liberate. Siamo stati a Manbij, a Raqqa, a Tabqa, a Deir El Zor, ad Afrin. Crediamo di non aver fatto altro che ciò che compete a tutti gli esseri umani su questo pianeta: fare quel poco che si può, ognuno secondo le sue possibilità, per aiutare il prossimo. Anzi. Riformuliamo. Fare ciò che si riesce per restare, da figli involontari del continente del colonialismo e del genocidio di tanti popoli del pianeta, sulla soglia della decenza.

Ai poliziotti che vogliono metterci al confino per aver combattuto il califfato in Siria; al Ministro dell’Interno che detiene il comando di chi ci bolla come pericolosi perché abbiamo voluto restituire ai jihadisti almeno un po’ della sofferenza che hanno portato in Europa (spezzando la vita anche di tante italiane e italiani) vorremmo chiedere: avete idea di cos’ha patito il popolo curdo nell’ultimo secolo? Avete idea di qual è stato il destino, negli ultimi anni, delle migliaia di cristiani della Siria e dell’Iraq? Avete idea dell’oppressione, dello sfruttamento e della povertà che conducono in Siria, in Palestina, in Iraq milioni di arabe e arabi alla disperazione? Non hanno forse i nostri stati – non solo la Francia! – depredato le risorse umane e naturali di quelle terre? Non continuano forse a farlo? Con quale faccia definite oggi, nel 2019, il gesto di chi tende la mano a quei popoli dall’Italia “socialmente pericoloso”?

Voi che rappresentate lo stato e non, come noi, l’esperienza splendida di un movimento che non ha stato e non vuole padroni, rispondete: non ha forse l’Italia contribuito alla criminale occupazione dell’Iraq in cambio dello sfruttamento da parte dell’Eni dei pozzi di Nassiriya? Non vende forse l’Italia aerei e bombe all’Arabia Saudita perché possa impunemente massacrare migliaia di civili, tra cui moltissimi bambini, in Yemen? Non fa forse l’Italia commercio di elicotteri da guerra ed altre armi con la Turchia, che le usa per colpire i curdi del Pkk che resistono sulle montagne contro l’annientamento sociale e culturale del loro popolo e contro l’involuzione islamista del paese in cui sono nati? Non rivendicate forse un giorno dì e l’altro pure di condurre una battaglia di interessi petroliferi con la Francia in Libia, quasi fossimo tornati al 1913, o forse non fossero bastate due guerre mondiali a ricordarci dove porta una politica fatta soltanto di armi, di denaro, di inganno e di disprezzo per i popoli del pianeta?

Non avete forse deciso che il Pkk è un’organizzazione terroristica, mentre i clan curdi conservatori dell’Iraq, che hanno permesso il massacro di migliaia di ezidi, sono comodi partner commerciali? Non legittimate forse orde di criminali e islamisti in Libia, pur di tenere nelle loro grinfie migliaia di africani innocenti e non vederli dirigersi verso le nostre coste? Non avete forse regalato sei miliardi di euro dei contribuenti europei al tiranno islamista Erdogan, purché chiudesse le coste verso la Grecia alla tratta dei profughi musulmani, ezidi e cristiani provenienti dalla Siria e dall’Iraq? Non avete forse espulso Abdullah Ocalan dall’Italia nel 1999, consegnandolo di fatto ai servizi turchi e alla prigionia vergognosa cui è costretto da vent’anni? Non restate forse del tutto indifferenti alle migliaia di prigionieri politici che si battono fino allo stremo delle forze in Turchia? Non siete forse complici? Non siete forse persone lontanissime dal possedere una coerenza e un’etica? Non siete forse gli alleati concreti nell’oggi di chi sta preparando i tanti “Isis” di domani?

I curdi ci hanno insegnato, in Rojava, quanto profondamente loro comprendano l’ingiustizia della prevaricazione tra popoli, essendo stati colonizzati tanto dal’Europa quanto dagli stati mediorientali. Ciononostante è in loro seno che si sono sviluppati movimenti socialisti nuovi, in grado di teorizzare la questione anticoloniale e nazionale fuori dalle contrapposizioni identitarie, religiose o razziali. Oggi l’Italia e l’Europa non devono avere la tracotanza di togliere la libertà e la parola a chi ha provato ad apprendere qualcosa dai curdi, ma devono ascoltare i curdi. Cosa sta facendo lo stato italiano, che tanto parla di allarme terrorismo e radicalizzazione islamica, per supportare chi combatte l’Isis e gli altri gruppi jihadisti in Siria? Nulla! Ha partecipato a tutte le missioni internazionali organizzate dagli Stati Uniti, anche le più criminali, tranne l’unica – l’azione della Coalizione contro l’Isis in Siria – dove per puro caso avrebbe sostenuto un partner locale in grado di offrire una vera soluzione politica, oltre che militare, al problema del fondamentalismo.

Con quale sprezzo del ridicolo questo stato, che per anni ha ingannato la popolazione italiana circa il supporto dato ai “ribelli” in Siria (molti dei quali altro non erano, e non sono, che i jihadisti che le Ypg e le Ypj hanno dovuto combattere, si chiamassero Isis o in altro modo), si permette di definire “pericolosi” gli internazionalisti e le internazionaliste delle Ypg e delle Ypj? Con quale totale assenza di senso della vergogna arriva ad accusare di terrorismo le Ypg e le Ypj, come ha fatto la procura di Cagliari contro Luisi ed altri due internazionalisti? Noi non permettiamo che si metta una macchia sulla reputazione delle Ypg e delle Ypj, delle Forze siriane democratiche, di tutti gli internazionalisti e di tutti i siriani che combattono e hanno perso la vita per una società più giusta e pacifica, per la libertà religiosa, per la libertà delle donne, per la libertà dei lavoratori e dei giovani.

Vorremmo concludere questo intervento mandando un messaggio a chi non è tornato: a Giovanni Asperti. Giovanni, non ti abbiamo conosciuto, ma siamo fieri di te e dell’uniforme che hai scelto di indossare, dell’esercito cui hai deciso di appartenere, del fronte che hai cercato e dei popoli sulle cui terre hai trovato la fine.

Vorremmo mandare un messaggio anche a chi non è tornato ancora: a Gabriele Micalizzi, coraggioso fotoreporter gravemente ferito mentre documentava l’avanzata delle Ypg negli ultimi scampoli di territorio rimasti all’Isis.

Ma il pensiero più importante è per chi è laggiù, e resiste: a Heval Tekosher, a Heval Egid, a Heval Gaetano, Heval … , a tutte e tutti gli italiani impegnati nell’impresa più difficile e più nobile della nostra generazione, nella rivoluzione della nostra epoca, nello sforzo che ci accomuna per il riscatto storico dell’idea rivoluzionaria. Sappiate che, sebbene siamo preoccupati per tutti voi, siamo orgogliosi di tutti voi; vorremmo rivedervi sani e salvi il prima possibile, e abbiamo un’ammirazione profonda per voi.

Viva la resistenza delle Ypj!
Viva la resistenza delle Ypg!
Viva la resistenza delle Forze siriane democratiche!
Viva la rivoluzione!”

Jacopo Bindi
Luisi Caria
Davide Grasso
Fabrizio Maniero
Maria Edgarda Marcucci
Paolo Pachino

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