Silvia Romano torna tra noi
La notizia appare alle 17.17 sull’account twitter del premier Giuseppe Conte: «Silvia Romano è stata liberata! Ringrazio le donne e gli uomini dei servizi di intelligence esterna. Silvia, ti aspettiamo in Italia!». Sta bene e si trova al sicuro a Mogadiscio in un compound delle Nazioni unite.
Sono passati 535 giorni da quel 20 novembre 2018 quando la giovane cooperante che lavorava per la Onlus marchigiana «Africa Milele» in un progetto di sostegno all’infanzia e con i bambini di un orfanotrofio venne rapita nel villaggio di Chakama in Kenya, a 80 chilometri da Malindi, da un gruppo di uomini di etnia wardei.
La prima ipotesi era che si trattava di un rapimento a scopo di rapina da parte di una banda di balordi che si sarebbe risolta, per la polizia kenyana, in 48-72 ore. In seguito si è attivata una massiccia operazione interforze anche con arresti di massa che hanno creato solo altrettanti rilasci e qualche informazione preziosa secondo il capo della polizia Joseph Boinett.
Alla fine vennero arrestate tre persone implicate nel sequestro e sono ancora sotto processo. Successivamente si è cercata la collaborazione con la popolazione locale per avere informazioni e per potersi muovere in un’area di 40.000 kmq che si fa fatica a chiamare Kenya.
Dai primi mesi del 2019 è probabile che sia entrato in scena qualche altro attore: come se la banda iniziale fosse stata a sua volta catturata da qualcuno di più forte. I miliziani al Shabaab (anche se si tratta solo di un’ipotesi perché non c’è mai stata una rivendicazione ufficiale del rapimento) l’avrebbero portata, secondo ipotesi di stampa, prima nel Jubaland e poi verso le zone di Shabeelle, Jilib e Janale perché il governatore locale Ahmed Madobe – ex-al Shaabab – è poi diventato un alleato degli Stati Uniti. Oppure sarebbe sempre rimasta nella foresta di Boni, al confine tra Kenya e Somalia, dove i rapitori avrebbero smesso di scappare: hanno atteso.
Tante storie speculative si sono succedute in questo anno e mezzo, ma lentamente è subentrato il silenzio per proteggere le indagini. Lo stesso parroco di Chakama, Joseph Wesonga, lo scorso aprile aveva ipotizzato che «il silenzio sulla vicenda potrebbe essere il segno che c’è una trattativa in corso».
Fatto sta che i servizi dell’Aise, diretti dal generale Luciano Carta, hanno lavorato anche grazie alla collaborazione dei servizi turchi (che hanno una grande base militare a Mogadiscio) e di quelli somali, fino ad arrivare alla liberazione. L’operazione sarebbe iniziata lo scorso 23 aprile, quando è arrivata la prova che Silvia era viva ed è stata così avviata una trattativa per il rilascio.
La famiglia non sta più nella pelle. Il padre Enzo Romano aveva scritto una lettera commovente in occasione del 24esimo compleanno della figlia, lo sorso 13 novembre: «Questo compleanno è diverso… – scriveva tra l’altro -. Ma posso regalarti dolci pensieri, trasmetterti forza ed energia dal profondo di un cuore che soffre, ma che non ha mai smesso di credere che tornerai tra le nostre braccia». Ieri si è limitato a dichiarare: «Lasciatemi respirare, devo reggere l’urto. Finché non sento la voce di mia figlia per me non è vero al 100%».
Il presidente del Copasir Raffaele Volpi ha dichiarato che la ragazza «sta bene ed è in forma. Provata ovviamente dallo stato di prigionia. Domani alle 14 dovrebbe la famiglia potrà riabbracciarla all’aeroporto di Ciampino dove Silvia Romano arriverà, con un volo speciale. Festa e commozione tra i volontari e il mondo della cooperazione, nel quartiere di Milano il Casoretto da cui Silvia proviene hanno risuonato le campane a festa, sono state intonate canzoni per lei che «è una del quartiere, aspettavamo il suo ritorno e finalmente è arrivata la bella notizia».
Grande commozione anche a Fano dove ha sede Africa Milele e tra i tanti volontari internazionali che non «ci speravano più», lacrime di gioia e hanno attraversato il Paese.
Significativi anche i commenti provenienti dalla comunità somala in Italia, a ricordarci che «se sai gioire delle gioie altrui, sei il più degno abitante del villaggio».
La cooperante nel pomeriggio di ieri ha parlato al telefono con la madre e con il premier Conte: «Sono stata forte – ha detto – e ho resistito. Sto bene e non vedo l’ora di ritornare in Italia». Ora restiamo in attesa di nuovi motivi per fare festa, pensando a Pier Luigi Maccalli e Paolo Dall’Oglio.
da il Manifesto del 10 maggio 2020
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