Siria: sangue e silenzio

Da circa dieci mesi un’ondata repressiva di inaudita ferocia si è abbattuta sul popolo della Siria, paese mediorientale di importanza strategica per tutta la regione e dagli equilibri interni ed esterni delicati e complessi.

Sulla scia delle primavere arabe dell’anno scorso, la popolazione siriana ha iniziato a scendere in piazza reclamando diritti e libertà civili, e chiedendo a gran voce le dimissioni di Bashar Al Assad, presidente dal pugno di ferro al potere da anni, successore del padre.

La repressione e la violenza dell’esercito non hanno tardato a farsi sentire, in un contesto già altamente ostico verso i giornalisti e i possibili testimoni o oppositori delle violazioni delle libertà e dei dritti civili a cui la popolazione è da anni sottoposta.

Da marzo 2010 sono state più di 5000 le vittime di questa rivolta, trasformatasi mano a mano in uno scontro armato interno: più di 15.000 i feriti, tra cui donne e bambini, moltissime vittime di tortura, minaccia e abuso, e circa 8.000 sfollati fuggiti nei limitrofi Libano e Giordania, in cerca di riparo dal terrore.

Sono davvero pochi i giornalisti che possono raccontare ciò che sta avvenendo (e che spesso contrasta con le notizie divulgate dai media del regime): quasi nessuno infatti è riuscito ad entrare, e le fonti di informazione siriane corrono ad ogni genere di rischio per la loro vita e quella delle proprie famiglie.

Lorenzo Trombetta vive da 13 anni tra Beirut, Amman e Damasco. Fa il giornalista ed è appassionato della storia siriana, tanto da aver fatto la propria tesi proprio sul regime degli Al Assad (attualmente al potere). E’ fondatore e redattore del sito web www.sirialibano.com, che raccoglie le esperienze e le conoscenze di esperti, giornalisti, accademici e di giovani provenienti da altri settori lavorativi, basati in Siria e/o in Libano o comunque specializzati nella regione, per offrire un’informazione il più possibile onesta e basata sulla conoscenza diretta del terreno, della lingua e e delle categorie culturali del Levante arabo.

L’ho intervistato proprio in queste ore di estrema tensione dopo l’arrivo in Siria degli osservatori internazionali della Lega Araba e l’esplosione di due autobombe, addebitate rapidamente ad al Queida, sabato, in una quartiere centrale di Damasco.

Qual è la situazione in Siria al momento? Puoi spiegare brevemente chi è Bashar Al Assad?

“Bashar al Assad è figlio del defunto presidente Hafez al Assad. Quest’ultimo nel 1970 è arrivato al potere e nel giro di pochi anni ha fondato un sistema di potere solido e coeso, immune da facili colpi di Stato e basato su un pervasivo controllo di ogni aspetto della vita politica, sociale ed economica del Paese, dietro la facciata di una repubblica socialista dominata da un cartello di partiti-finti guidati dal Baath, di fatto il partito unico.

Bashar è arrivato al potere nel 2000, dopo la morte del padre, con una scelta molto discutibile e che ha mostrato il volto vero del potere in Siria: dominato dagli Al Assad, clan alawita, e da altri clan suoi alleati.

Gli alawiti, branca dello sciismo, non sono al potere nella multi confessionale Siria come comunità: al contrario, molti sono oppositori e dissidenti.

La percezione dei clan non alawiti è che il regime abbia in questi 40 anni discriminato i sunniti (maggioranza della popolazione) a favore degli alawiti e delle altre minoranze (cristiani, drusi, ismailiti), considerate fedeli al regime perché da questo protette di fronte a una presunta minaccia fondamentalista.

Con l’arrivo al potere, Bashar si è presentato come un riformatore. Tuttavia le sue riforme sono state per lo più cosmetiche. La natura del regime è rimasta quella di sempre – repressiva – ma in una forma “moderna”. “

La situazione è paragonabile a quella delle altre “primavere arabe”? Quali sono le differenze?

“Le differenze principali sono la posizione geografica e politica della Siria (al centro del Medio Oriente, così vicina a Israele e al Libano filo-iraniano. Troppi gli interessi in gioco, e troppi gli attori coinvolti) e la coesione del regime, dove non è ipotizzabile una scissione dell’esercito dal resto del potere.

Le forze armate in Siria, a parte i ranghi medio bassi a maggioranza sunniti ( tuttavia mal pagati e male armati) sono fedeli al raìs per legame di sangue e comunitario. I manifestanti hanno provato all’inizio a ripetere una Tahrir a Damasco, Daraa e a Homs, ma a differenza del Cairo hanno trovato di fronte a loro una repressione con ogni mezzo necessario.”

Si tratta di manifestazioni spontanee della popolazione o di gruppi armati come vuole fare credere il regime siriano? Secondo te c’è il rischio o si è già in una situazione di guerra civile? Quali sono i possibili sviluppi (ad esempio rispetto a un possibile intervento internazionale)?

“All’inizio e per lunghi mesi si trattava di manifestazioni pacifiche. Dalla fine di Ramadan, a fine agosto, e con l’inizio dell’autunno (dopo il massacro di Hama, primi di agosto, con un centinaio di morti in un giorno) e con il proliferare delle diserzioni di coscritti dell’esercito, si sono creati dei gruppi di resistenza armati (disertori e civili) in alcune zone più colpite dalla repressione: Idlib, Daraa, Homs. La loro presenza vicina al confine le rende più esposte al contrabbando di armi, che comunque rimane minimo e di armi leggere. Lo squilibrio di forze in campo rimane a favore del regime.

Non vedo la possibilità di una guerra civile, intesa come il proliferare di milizie davanti a uno sgretolamento dello stato. Un conflitto civile invece è già in atto. I siriani lealisti sparano ai siriani sin dal 15 marzo. Gli anti-regime hanno cominciato a rispondere al fuoco dopo mesi. E ora siriani sparano contro altri siriani, ma in regioni circoscritte.

All’orizzonte non ci sono segnali di una volontà straniere di intervenire. Anche a lungo termine è un’opzione remota. Si tratta quindi di una lunga “guerra” d’attrito in cui il regime finirà per mostrare alcune cruciali crepe. “

Parlaci degli attentati di sabato, avvenuti proprio il giorno dell’arrivo degli osservatori internazionali a Damasco e subito addebitati ad Al Qaida.

“Molti indizi fanno pensare che al Qaida non sia dietro gli attacchi come invece ha subito detto il regime: un minuto dopo le esplosioni le autorità avevano già trovato il colpevole, e gli attentati sono stati compiuti il primo giorno della missione degli osservatori.

Inoltre la notizia di al Qaida in Siria era stata preparata dal Libano con dichiarazioni del governo, vicino a Hezbollah (alleato di Damasco e Teheran).Il giorno dopo il regime ha tentato di attribuire in modo goffo gli attacchi ai Fratelli musulmani (gruppo da decenni ostile al regime), ribadendo la pista fondamentalista.

Infine, per quattro giorni non sono state diffuse le generalità delle vittime. Inizialmente si è parlato di numerosi civili, solo oggi si è appreso che i civili sono 7 mentre i restanti 37 uccisi sono agenti delle due agenzie di sicurezza le cui sede sono state colpite dagli attentati. Tutti questi elementi fanno sembrare molto “artificiale” la tesi del terrorismo di matrice islamica diffusa dal governo.”

Come viene percepita la situazione in Libano? E come valuti la posizione internazionale, anche italiana, rispetto alla situazione siriana e ai suoi possibili sviluppi?

“In Libano c’è molta apprensione da parte dei gruppi favorevoli al regime siriano e molta euforia da parte degli altri. I primi, tra cui Hezbollah, temono un rimescolamento delle carte regionali qualora dovesse cadere il regime, che per decenni è stato il vero arbitro della politica di Beirut e che con la sua alleanza con l’Iran assicura una profondità logistica al movimento sciita. Quest’attesa nel guardare gli eventi siriani si riflette in Libano con un’apparente calma: nessun attore sa cosa fare e non ragiona più a lungo termine. Nessuno ha voglia di esporsi o di mostrare i muscoli sul territorio. Paradossalmente è forse uno dei periodi più tranquilli del Libano degli ultimi otto anni.

Come ho scritto in un precedente post, http://www.sirialibano.com/siria-2/siria-lesercito-dei-lealisti-italiani-sostiene-la-repressione.html. alcune voci italiane sono spesso inesatte e contraddittorie rispetto alla complessa situazione siriana. Anche grazie al silenzio o la banalizzazione dei media, la gente sa poco o niente di Siria e di Medio Oriente usa le sue lenti (antimperialismo, antiamericanismo) per esaltare il ruolo del regime siriano in un contesto internazionale finendo per giustificare ma molto spesso per negare quanto sta avvenendo nel Paese, giudicandolo frutto di una manipolazione straniera. Sono gli stessi che condannano i crimini in Palestina, la repressione in Egitto o in Bahrain, ma che hanno osannato Gheddafi come martire della Nato.”

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