Sudafrica, ma non solo

La strage dei minatori in Sudafrica di poche settimane fa ha fatto rapidamente il giro del mondo, anche se, purtroppo, suscitando non molto interesse (articolo di Milano In Movimento).

L’eccidio di 44 lavoratori delle miniere di platino, è stato compiuto dalla polizia sudafricana, poiché i minatori si rifiutavano di sciogliere un picchetto di protesta per domandare un aumento dei salari.

Di oggi la notizia che la Lonmin, azienda che gestisce la miniera di Marikana, dove è avvenuta la strage, ha dichiarato che chi, dei lavoratori, non rientrerà a breve al lavoro, verrà licenziato: un atteggiamento duro, dunque, e che pone le necessità di produzione e guadagno davanti non solo ai diritti dei lavoratori, ma anche davanti alle loro stesse vite.

Il caso Sudafricano non è isolato.

Sono migliaia le aziende, spesso straniere (europee, americane, cinesi o indiane) che da anni sfruttano le immense risorse naturali dell’Africa: minerali, diamanti, oro, platino, rame, petrolio ma anche legno, acqua, terreni. L’Africa è di fatto ripiombata da molti anni in una forma di colonialismo diverso, celato, ma in realtà poco difforme da quello che ne ha caratterizzato la storia: le imprese straniere sfruttano le risorse, controllano spesso i governi e esercitano forti ingerenze nella politica locale. L’ultima catena di questi processi di controllo e abuso sono le persone, i lavoratori che, vivendo spesso in contesti in cui i diritti non sono legalmente garantiti (si pensi agli Stati instabili, o con dittature, o semplicemente carenti di legislazioni in merito), si trovano in condizioni di vulnerabilità estrema, addirittura di impossibilità di ribellarsi alle azioni delle multinazionali.

Il lavoro minorile è altamente utilizzato (soprattutto nelle miniere o nelle cave, come quelle del Congo), gli affari spesso illeciti e influenti sulla politica nazionale e internazionale fomentano guerre (sempre la Repubblica Democratica del Congo ne è un esempio con il coltan) e, infine, non si esita spesso a schierare eserciti privati o pubblici in difesa della produzione sfrenata delle aziende (come accaduto in Sudafrica).

La globalizzazione ha favorito la delocalizzazione delle imprese di tutto il mondo, e dunque spianato la strada a molti di questi processi: i media internazionali e l’ombra che nasconde le connessioni tra sfruttatori (aziende straniere) e governi locali, fanno il resto.

Ci si domanda che cosa aspetto l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) a fornire un codice di comportamento per le aziende che delocalizzano, e che cosa aspettino le Nazioni Unite o la Commissione Europea ad aprire uno dei loro “files” sulle violazioni dei diritti e le ingerenze nella politica locale delle imprese multinazionali presenti nei paesi.

Molti paesi dell’Africa (ma non solo) sono ormai società in cui convivono squilibri insopportabili, grazie alle possibilità di arricchimento per pochi portate da queste aziende, che ben poco beneficiano il “semplice” lavoratore di manodopera: di fatto in molti contesti le “opportunità” portate dagli sfruttatori hanno creato una classe padronale nuova, con stili di vita europei, altamente difformi dal resto del popolo. Gli unici beneficiari di questa economia risultano essere strette minoranze, spesso legate a famiglie potenti o a gruppi politici ben definiti, che arrivano ad avere stili di vita di estremo lusso, impensabili per il resto della popolazione: spesso queste persone vivono “a metà” tra Europa (o America, Cina..) e il loro paese, portando, tra l’altro, molte delle proprie ricchezze e risorse (tra cui spesso, l’istruzione dei propri figli), altrove. E’ raro anche se sarebbe auspicabile, che i “nuovi ricchi” legati alle multinazionali in Africa investano parte del proprio guadagno per opere a beneficio delle loro comunità.

Era già ora di fermarli molto tempo fa: dopo il 16 Agosto 2012, in Sudafrica e altrove, è diventato urgentemente necessario.

 

Per approfondire:

http://www.aljazeera.com/news/africa/2012/08/201282765540987613.html

http://it.wikinews.org/wiki/Le_potenze_asiatiche_e_lo_sfruttamento_dell%27Africa

 

 

 

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *