Venti di guerra tra Sahara e Marocco

In Africa i confini deli Stati-Nazione sono stati disegnati a tavolino durante molteplici congressi nel corso degli anni, e la questione Sahara Occidentale-Marocco ne è un esempio evidente.

Il Sahara Occidentale è un territorio prettamente desertico ma ricco di giacimenti di fosfato, molto redditizio e utilizzato nel campo dell’agricoltura e negli alimenti umani e degli animali da allevamento; le coste saharawi inoltre – grazie a particolari correnti atlantiche – risultano molto pescose.

Per capire la contesa di questi territori bisogna tornare al 1884, quando alla Conferenza di Berlino fu attribuita alla Spagna la zona costiera dell’attuale Sahara Occidentale.
Come da decisione delle diplomazie europee durante la Conferenza, oltre a sancire i confini territoriali, la Spagna ottenne le due aree Sagui el-Hamra e Rio de Oro per controbilanciare la presenza francese nel Maghreb. La colonizzazione iberica procedette fino alla fine del 1960 quando, con l’indipendenza algerina, ebbe inizio il processo di decolonizzazione.
Contestualmente, il Marocco chiese all’ONU di poter annettere il Sahara per presunte ragioni storiche e culturali.

I venti anticolonialisti iniziarono così a soffiare anche nel Sahara Occidentale con le prime rivolte armate contro gli occupanti spagnoli da parte di nuclei composti da membri delle tribù autoctone.

Nel 1973, i giovani si organizzarono in un vero e proprio movimento di resistenza anti-colonialista di ispirazione socialista: il Fronte Polisario. La Spagna, alle prese con i problemi interni, subì numerose sconfitte sul campo e decise, nel febbraio ’76, di lasciare finalmente il Sahara Occidentale. Appena prima di abbandonare però, gli spagnoli si accordarono in gran segreto con il Marocco e la Mauritania per la cessione dei territori e la loro spartizione.

Il Fronte Polisario si organizzò per fornire sostegno alle popolazioni locali che fuggivano in massa, e venne così allestito un primo campo profughi presso l’oasi di Tindouf, al confine con l’Algeria. In tale occasione, dichiararono l’indipendenza del Sahara e la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), con capitale la stessa Tindouf.

Nel 1979 il Marocco invase tutto il Sahara Occidentale, senza considerare alcuna norma di diritto internazionale.
Proprio durante la guerriglia degli anni ‘80 tra Polisario e Marocco, quest’ultimo decise erigere un muro di 2.720 km.
I saharawi ancora oggi, di fatto, vivono in una striscia di deserto tra l’oasi di Tindouf ed il muro stesso, difeso da quasi 10 milioni di mine anti-uomo e migliaia di metri di filo spinato e bunker. Sono tantissime le persone morte a causa di queste mine.

Per far sì che gli scontri cessassero fu necessario l’intervento nel 1991 delle Nazioni Unite, con l’operazione MINURSO, conclusasi in un accordo per cui sarebbe stato indetto un referendum, con il beneplacito di Rabat e della RASD, e con un cessate il fuoco.
La popolazione sarebbe stata chiamata a scegliere tra l’indipendenza o l’integrazione del Marocco. Questo referendum non ebbe mai luogo poiché le due parti non si sono mai accordate su chi avesse il diritto di voto.

E arriviamo quindi ad oggi.
Venerdì 13 novembre il Marocco ha effettuato un’aggressione militare nella regione di El Guerguerat, a sud-ovest del Sahara occidentale, dove civili saharawi manifestavano dal 21 ottobre per impedire il passaggio attraverso il percorso nel deserto che collega il Marocco alla Mauritania, strada fondamentale per il traffico dei mezzi che transitano verso i Paesi della regione.

L’agenzia saharawi SPS ha riferito che le forze marocchine hanno aperto tre brecce nella regione di El Guerguerat, dove hanno effettuato aggressioni contro i civili saharawi per permettere il passaggio di 200 camionisti bloccati da giorni e riabilitare la strada commerciale. Le manifestazioni delle ultime tre settimane, hanno dichiarato gli/le attiviste all’agenzia, sono intese come mezzo per chiedere l’organizzazione del referendum di autodeterminazione, obiettivo per il quale è stata creata la Missione delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale (Minurso).
Inoltre, i manifestanti chiedono l’immediato ritiro delle truppe marocchine dai territori saharawi e di rivelare il destino dei dispersi e il rilascio di tutti i prigionieri civili e politici detenuti nelle carceri marocchine.

Appena poche ore dopo l’operazione militare marocchina, il Qatar, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e la Giordania e persino l’Oman, hanno dato il loro sostegno al Marocco, mentre l’Algeria chiede alle due parti, il Regno del Marocco e il Fronte Polisario, di mostrare senso di responsabilità e moderazione, e di rispettare, nella sua interezza, l’Accordo militare N1, firmato tra loro e le Nazioni Unite 24 anni fa.

Il presidente saharawi Brahim Ghali, ha annunciato ufficialmente sabato con un decreto presidenziale, la fine dell’impegno di cessate il fuoco firmato tra il Fronte Polisario e il Regno del Marocco nel 1991.

Per le Nazioni Unite, lo status del Sahara occidentale è ancora di “territorio non-autonomo” in assenza di un accordo definitivo con il Marocco, che ad oggi si trova nella posizione di Stato occupante.
Bisogna continuare a evidenziarlo, le richieste di queste due intità sono differenti perchè mentre il Polisario chiede un referendum di autodeterminazione, il Marocco – che controlla già più di due terzi di questo vasto territorio desertico – propone un piano di autonomia sotto la sua sovranità.
Annettere definitivamente con l’uso della forza un popolo che da tempo ha già trovato un equilibrio di vita sociale, politica ed economica significherebbe accettare la sottomissione dei popoli a cui non viene concesso il riconoscimento di confini statali;
I/le saharawi hanno infatti alimentando un’organizzazione sociale attraverso la diffusione e valorizzazione delle iniziative educative e di formazione, contenendo il tribalismo religioso e favorendo l’emancipazione delle donne.
Il ruolo delle donne era già centrale nella vita pre-coloniale e coloniale, ma fu rafforzato durante gli anni della guerra (1975–1991), quando le donne Sahrawi gestivano la gran parte delle attività amministrative dei campi mentre gli uomini erano impegnati al fronte.
Le attività che impegnano le donne fin dall’inizio della fondazione dei campi profughi erano rivolte principalmente all’educazione e alla formazione dei bambini e dei giovani, alla prevenzione e assistenza sanitaria nelle strutture specifiche e nelle famiglie, alle attività amministrative e organizzative dei servizi di base alla collettività (distribuzione delle provviste, raccolta e smaltimento dei rifiuti). Queste attività, unite all’alfabetizzazione e alla formazione professionale, hanno favorito una maggiore considerazione del ruolo delle donne nella società Sahrawi. Ancora oggi le donne gestiscono la maggior parte delle attività amministrative ed organizzative dei campi-villaggi, e l’Unione nazionale delle Donne Sahrawi (UNMS) è molto attiva nel promuovere il ruolo attivo nella società.

Nassi

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