Abitare a Milano – Corteo per il diritto alla Casa

Sabato 4 febbraio si è svolto a Milano un corteo per il diritto alla casa organizzato dal Comitato Abitare in Via Padova, composto da diverse realtà di quartiere. Di seguito, il discorso dei/delle compagne e i compagni della brigata Lena Modotti, Associazione Mutuo Soccorso Milano e Centro Sociale Lambretta:

Ringraziamo il Comitato dell’abitare in via Padova per l’organizzazione di questa passeggiata e tutte le realtà e associazioni che oggi convergono per lottare per la casa. 

Per noi lottare per la casa significa lottare al fianco di tutte le persone che una casa ce l’hanno, ma non basta; per tutte le persone che una casa ce l’hanno, ma gli sta per essere tolta; per le persone che una casa non ce l’hanno e forse a Milano oggi non ce la potranno mai avere; significa lottare per cambiare la narrazione e lottare per progettare un’alternativa. 

Da quando abbiamo iniziato ad agire in questo quartiere, in queste vie, in particolare in via Arquà e in via Clitumno, ci siamo resi conto di come l’insostenibilità dell’abitare sia peggiorata con il covid e che se non ci si aiutava tra di noi, non ci avrebbe aiutano nessuno.

Oggi siamo consapevoli di vivere in una trappola perché il costo della casa condiziona tutto il resto della nostra vita. Questo problema è ed è sempre stato un problema strutturale per tutte le persone che qui vivono. E tante persone che abbiamo incontrato e che ora non vivono più qui si sono portate dietro il peso di non poter più stare dove si vuole stare, sono state espulse e decentrate. Le stesse persone che in città lavorano, producono e generano ricchezza.

Foto di Gianfranco Candida

Mohamed viveva in via Clitumno, un posto letto in una casa condivisa con persone che non conosceva. Ha perso il lavoro, precario e indecente, e è stato costretto a lasciare il posto letto, gli amici, la brigata. Ora vive a Trezzano e cerca lavoro a Milano e se gli capita di fare qualche colloquio quando dichiara di vivere fuori Milano, il lavoro non c’è più. 

E allora in questi casi come si fa? Come si esce dall’assurdità di non poter avere una casa senza lavoro e di non poter lavorare senza una casa? La libertà è solo di chi possiede una casa e decide a chi e come affittarla?  

E’ chiaro che la casa è al centro di una contraddizione insanabile: è uno spazio fisico, è uno spazio di cura e di riproduzione sociale ma è anche merce di speculazione.

Fatma ha tre figli, vive in Clitumno e tra pochi mesi le scade l’ultimo contratto di affitto. Non vuole rinnovare nella stessa casa perché si sta stretti e l’insicurezza regna sovrana. Ha fissato tanti incontri per andare a vedere una casa e ogni volta è costretta ad andare da sola perché suo marito fa due lavori e non ha tempo per fare le visite. Bene, arriva agli incontri con i vecchi contratti di affitto, il contratto di lavoro di suo marito e la speranza che questa sia la volta giusta. Però indossa il velo e questo la rende inappropriata, una futura inadempiente, un problema che è meglio evitare. 

Allora noi ci chiediamo insieme a voi: qual è la forma che si vuole dare a questo spazio indefinito di controsensi, ingiustizia e rassegnazione? 

Foto di Gianfranco Candida

Una cosa è certa: noi non vogliamo cedere ad una narrazione che molto spesso ha caratterizzato questa città. Difendere il diritto all’abitare per noi non significa spettacolarizzare la multiculturalità del quartiere. Per noi la diversità culturale non è un’attrazione. Per noi la multiculturalità è la libertà di poter scegliere liberamente chi essere, che professione esercitare, dove abitare e dove mandare a scuola i nostri figli. 

Chi difende la “vivacità culturale” del quartiere ha fatto per anni le lotte per il “decoro”, e oggi si accorge che il decoro che chiedeva è diventato vuoto e che il vuoto è diventato speculazione privata.  Ecco noi non vogliamo questo, a noi questa narrazione non piace. Noi non crediamo nei processi di “valorizzazione” dei quartieri, quei quartieri che vengono presentati abbandonati e degradati, quando non lo sono affatto. Noi crediamo che questa narrazione sia prodotta da precise strategie di abbandono messe in campo dalle amministrazioni che preparano il campo per l’arrivo dei grandi investimenti, di un quartiere all’altezza di un nuovo Piazzale Loreto.  Vuoto, efficienza, pigrizia, concetti di una stessa narrazione che hanno prodotto una lista lunghissima di norme contro chi è in povertà come appunto quelle per il “decoro urbano”.

Quello che chiediamo è che si cambi la narrativa della lotta, che si cominci a riflettere seriamente su come il nostro modo di parlare della gentrificazione possa riprodurre i modelli coloniali di pensiero e di presenza sul territorio, che si inizi a parlare di “giustizia dell’abitare”, che a chi fa due lavori per mantenere una famiglia venga data la possibilità di scegliere liberamente dove crescere i propri figli, che si smetta di considerare la povertà abitativa un problema individuale e lo si consideri un problema della collettività. Perché il problema della casa non riguarda solo gli ultimi, ma la nostra visione di comunità! E questa visione di comunità non si può ridurre ad interventi di riqualificazione urbana, a qualche piazze a pois, a un po’ di panchine colorate e a qualche murales sotto i ponti. Lo spazio deve essere pianificato considerando le condizioni socioeconomiche di chi ci vive e le politiche sociali devono tenerne conto!

Noi vogliamo immaginare modelli alternativi di sviluppo dei quartieri che non si basino su l’allontanamento degli abitanti e lo faremo attraverso un’azione che è e sarà sempre intersezionale, guardando a tutte le forme di disuguaglianza, perché per noi è chiaro che le conseguenze specifiche dei processi di gentrificazione dipendono dalla posizione delle persone rispetto ai sistemi di potere legati a classe,  genere, etnia, sessualità, età e abilità.

Noi (non tanti piccoli io, ma un noi mutualistico) rivendichiamo fondi, servizi, e giustizia sociale, imponendo un nuovo rapporto di forza con le istituzioni, perché non vogliamo essere la “cittadinanza attiva” o un ente del Terzo Settore che alimentano un sistema che si regge sul lavoro volontario come supplenza di politiche pubbliche, perché sappiamo che in questo campo di battaglia vinceranno sempre le parti economiche più forti. 

Noi oggi siamo qui perché vogliamo partecipare, programmare insieme e uscire dalla retorica milanese della partecipazione senza potere, quella che promuove patti di collaborazione per la cura delle aiuole o quella che propone i tavoli istituzionali dove a parlare siamo in tanti ma ad ascoltare nessuno, perché questa serve ad annullare il conflitto. E a noi il conflitto ce piace!

Se la città ci spinge fuori, noi resistiamo!

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