Conferenza stampa Naga “Nomadi per forza” (video)
Un investimento quasi esclusivo sugli sgomberi e, più in generale, sulle azioni di contrasto agli insediamenti informali a scapito delle attività volte all’inclusione e all’integrazione.
È questo il principale dato emerso questa mattina nella presentazione del rapporto “Nomadi per forza”, un’indagine sull’applicazione delle Linee guida Rom, Sinti e Caminanti del Comune di Milano”, elaborato dal Naga.
Il rapporto, che incrocia dati ufficiali del Comune di Milano ed esperienze dell’associazione, fornisce una serie di numeri sulla popolazione Rom e Sinti del capoluogo lombardo, con un’attenzione particolare ai campi informali (irregolari) e ai CES (Centri di Emergenza Sociale), istituiti dall’attuale amministrazione, per il periodo marzo 2013- settembre 2014.
Il documento rende conto in maniera critica del percorso con cui negli ultimi tre anni è stata affrontata a Milano “la questione Rom”.
Le maggiori criticità evidenziate
Secondo i dati del Naga, a Milano abitano circa 3 mila Rom, distribuiti tra campi autorizzati (700 persone), campi informali (2000 persone), CES (267 persone), Centri di Autonomia abitativa (140 persone). A questi numeri, va aggiunta tutta quella popolazione rom “invisibile”, che vive in appartamenti o in luoghi non identificati durante l’indagine.
La drammaticità del nomadismo forzato della popolazione rom a Milano emerge chiaramente se ai dati sopra citati si affiancano i dati sugli sgomberi di campi informali registrati nel 2013 e nel 2014 (gennaio-settembre). Tra “micro” sgomberi (richiesti soprattutto da cittadini dei quartieri) e “macro” sgomberi (motivati perlopiù da urgenti lavori per l’Expo e per la “riqualificazione del territorio”), infatti, tanto nel 2013 quanto nel 2014 oltre 2200 persone su 3000 hanno subito un allontanamento dalle proprie abitazioni (case o campi che fossero).
La media di sgomberi registrata dal gennaio al settembre 2014 è stata di circa 5 sgomberi alla settimana, che hanno coinvolto perlopiù sempre le stesse persone, costrette a spostarsi di sgombero in sgombero, con evidenti drammatiche ripercussioni rispetto al processo di integrazione sul territorio, soprattutto per i minori in età scolare, costretti al “nomadismo” da una scuola all’altra.
Se da un lato il superamento dei campi, soprattutto in vista di Expo, è stato l’obiettivo prioritario perseguito per l’applicazione delle linee guida del Comune, dall’altro, agli sgomberi che hanno ripetutamente coinvolto oltre 2 mila persone, non è corrisposta la costruzione di un’offerta abitativa alternativa ai campi stessi, se non i CES che attualmente sono in grado di accogliere in forma emergenziale meno di 300 persone ( tenendo presente che in ogni stanza o container presenti ci sono da un minimo di 16 a un massimo di 30 persone e che i centri sono recintati e l’ingresso controllato 24 ore su 24 da polizia e protezione civile).
Anche a livello economico, il Naga sottolinea che “gestire la segregazione e l’esclusione è anche più costoso che promuovere l’inclusione”. E aggiunge “non solo il non investire in questi ambiti è di per sé una scelta grave, ma l’essersi concentrati nelle sole azioni di contrasto ha reso sempre più difficile il raggiungimento di quelle finalità che si focalizzano invece sulla dignità delle persone”. Basti pensare che i soli CES sono costati oltre 2 milioni (sui 5,6 provenienti dal fondo per la precedente emergenza nomadi, altrimenti nota come Piano Maroni). Soluzioni alternative meno costose e più efficaci rispetto all’integrazione sono state più volte proposte dalle associazioni e dai Rom stessi, ma sono rimaste inascoltate. Tra queste, diverse opzioni di edilizia abitativa di tipo diversificato: autocostruzioni, micro-aree, recupero di cascine e più in generale nei progetti di riqualificazione del territorio la previsione di soluzioni che tengano conto dei diversi tipi di persone.
Altro punto critico rispetto ai CES è la loro inadeguatezza rispetto al processo di integrazione che dovrebbe avere come primo passaggio successivo alla fase emergenziale post-sgombero, una seconda accoglienza che garantisca tutele sia rispetto alla questione abitativa sia rispetto all’inserimento lavorativo. Un dato tra tutti: nei CES su 127 ospiti in età lavorativa solo 43 dichiarano di avere un lavoro trovato autonomamente o con il supporto del Comune. “Di queste persone 5 hanno un contratto a tempo indeterminato, 3 una borsa di lavoro e 2 un contratto a tempo indeterminato. Dunque le altre persone lavorano in nero”.
Una grave criticità evidenziata dal Naga nei CES è la mancanza di assistenza sanitaria. Significativo il fatto che ai volontari dell’unità mobile del Naga, normalmente attivi nei campi informali, sia stata chiesto l’intervento anche all’interno dei CES stessi. Ci domandiamo a chi spetti garantire il diritto alla salute in una struttura pubblica e, sulla carta, emergenziale.
L’indagine mette inoltre in luce che il persistere degli sgomberi condotti a Milano è anche carente dal punto di vista delle norme previste dalle norme di diritto nazionale e internazionale: alcuni sgomberi avvengono all’insaputa dall’Assessorato alla Sicurezza e vengono notificate oralmente anziché in forma scritta.
A fronte di queste e molte altre criticità, il Naga propone quindi una serie di raccomandazioni, tra cui:
• la promozione della convivenza civile e il contrasto alla discriminazione;
• coinvolgere attivamente nelle fasi di progettazione, realizzazione e gestione di qualsiasi progetto i rom destinatari;
• sospendere nell’immediato ogni sgombero forzato;
• riconoscere il diritto all’iscrizione anagrafica alle persone che abitano negli insediamenti informali e nei centri di prima e seconda accoglienza del Comune;
• garantire l’effettivo godimento del dirtto alla salute;
• assicurare interventi di ristrutturazione finalizzati al rispetto del diritto alla privacy;
• riformulare i contratti di accoglienza dei CES e garantire la conoscenza delle regole (traduzione e presenza del mediatore);
• attuare nel medio e lungo periodo progetto di edilizia abitativa di tipo diversificato;
• garantire negli insediamenti irregolari la tutela dei minori e avviare progetti di inclusione lavorativa e abitativa negli insediamenti informali fino all’accesso a soluzioni abitative adeguate.
Conclude il Naga: “crediamo che l’intera questione Rom andrebbe pensata a partire da iniziative volte ad intervenire sulla società maggioritaria per costruire canali di dialogo tra mondi che poco si parlano, se non attraverso stereotipi, e per provare a definire quali elementi culturali, politici e sociali rendono ancora così difficoltoso un pieno godimento dei diritti umani per tutte le persone che condividono lo stesso spazio urbano”.
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