La pistola e il vigile di quartiere
L’Italia è uno dei paesi con il maggior numero di forze dell’ordine divise tra i più disparati compiti e le più diverse mansioni: esercito, carabinieri (che sempre un ramo dell’esercito sono), polizia, guardia di finanza, polizia locale ecc…
Nonostante le diverse competenze, tutti questi corpi sono dotati di un simile armamentario: pistola, manganello, manette.
Il tragico avvenimento di qualche giorno fa, che ha visto morire assassinato un giovane sudamericano, dovrebbe far riflettere tutti sul ruolo che ciascuna forza deve ricoprire e sull’atteggiamento che spesso e volentieri viene tenuto dai “difensori della sicurezza”: il nome adatto è abuso di potere, un’espressione che troppe poche volte viene utilizzata preferendo versioni meno forti del concetto.
Il Vigile in questione ha sparato e il racconto colorito e falso che ha dato dei fatti dimostra che il suo non è stato un tragico errore dettato da chissà quale paura. L’ha fatto perché POTEVA farlo.
Ha ucciso un uomo e dopo averlo fatto ha montato una storiella che parlava di legittima difesa.
Fortunatamente il sentimento di fratellanza e cameratismo visto in A. C. A. B non sempre regna tra i colleghi, che questa volta hanno dato diversa testimonianza dell’accaduto.
La vicenda, almeno per una volta, ha forse la possibilità di essere dipinta con toni veritieri e, sempre per fortuna, non siamo costretti ad assistere all’ennesima storia infangata, dove il civile muore e lo “sbirro” resta impunito.
Rimane però da riflettere come cittadini a che tipo di sicurezza auspichiamo. Resta da capire se davvero crediamo che il nostro sentirci “in salvo” debba e possa realmente essere determinato dal fatto che le nostre strade siano stracontrollate da uno dei sistemi più avanzati di video – monitoraggio, e dalle pattuglie che girano ininterrottamente.
Le strade dovrebbero essere vissute, la notte attraversata dalla possibilità di potersi rifugiare in un bar o in un posto caldo, di poter tornare a casa con i mezzi di trasporto (che pretendiamo aumentino e ci siano durante tutta la notte) le persone avere l’opportunità di non sentirsi mai sole.
Lambrate, la zona dove è successo il fattaccio, è un bellissimo quartiere di Milano.
Un tempo considerata area fuori città, oggi è una delle periferie più vivibili del capoluogo lombardo: la vita diurna scorre tranquillamente, il traffico non è insopportabile, le aree verdi sono numerose e di ampio respiro, le realtà sociali che lavorano nel territorio lo fanno con impegno e costruiscono tutti i giorni relazioni di ogni tipo (al mercato, tra i venditori ambulanti, nei bar, al consgilio di zona, negli aperitivi sociali, ai gruppi di acquisto solidale…)che aiutano il benessere sociale del quartiere.
Vivendo La mbrate quotidianamente e comprendendone la composizione antropologica e sociologica, si può affermare senza nessuna remora che l’ultima cosa che servirebbero sono i vigili che credono di essere rambo e che non vedono l’ora di usare un’arma per sentirsi alla pari dei cugini poliziotti.
La sicurezza non dipende da una pistola.
Durante la campagna elettorale, il sindaco aveva presentato un piano che prevedeva la figura del “vigile di quartiere”, persone competenti in psicologia a livello generale, educazione civica, autodifesa. Il vigile di quartiere dovrebbe essere quella figura di riferimento in una zona, il tramite tra cittadini e comune.
Un ruolo tutto sommato “utile”, nel momento in cui si ferma alla consulenza ed all’aiuto per risolvere reali problemi che coinvolgono la cittadinanza. Un ruolo che dovrebbe essere ben lontano dal toccare “fuoco”. Non si può essere aiutanti sorridenti di giorno e terminator di notte.
Viene da chiedersi infatti perché questa figura continuerà ad essere equipaggiata con tutto l’occorrente, armi letali comprese.
Non è semplificazione, ma una realtà di fatto. La sicurezza intesa come viene pensata in Italia spesso fallisce e lascia vittime.
Occorre ripensare alla salute e incolumità delle persone seguendo altri parametri, perché, per l’ennesima volta, il sistema ha fallito.
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