NO TEM: ridefiniamo il concetto di grande opera – Intervista al Consigliere Provinciale Massimo Gatti
Circa 70 chilometri di asfalto tra autostrada e interconnessioni accessorie, 3 corsie per senso di marcia e il traffico di 75 mila auto al giorno. Il tutto per la modica cifra di 2 miliardi di euro e per un pedaggio – il più caro d’Europa – pari a poco meno di 5 euro per trenta chilometri.
Sono questi gli allarmanti numeri della TEM – la tangenziale est-esterna milanese – l’ennesimo grande progetto che, insieme a BreBeMi e Pedemontana, minaccia il territorio milanese e lombardo. Ma non è solo una questione di cifre. Perché in gioco, insieme alla difesa di un territorio già martoriato dal cemento, ci sono la democrazia, la sovranità dei cittadini, la salute, il lavoro e la legalità.
È una storia che si ripete, nel tempo e nello spazio: dagli ecomostri incompiuti lascito di grandi eventi del passato come Italia ‘90, alle speculazioni edilizie legate a colossali appuntamenti del futuro come Expo 2015; dall’alta velocità in Val di Susa, al fantomatico ponte sullo Stretto di Messina.
E così, mentre il prezzo di benzina e gasolio sale alle stelle, mentre i servizi di trasporto pubblico diventano ogni giorno meno affidabili, mentre Milano tassa i propri cittadini contro l’inquinamento e mentre ovunque cresce l’interesse per l’agricoltura urbana e periurbana, gli amministratori lombardi decidono di investire in autostrade. Perché?
È una domanda reale e legittima. Che dovrebbe far riflettere chi sbrigativamente liquida le proteste dei cittadini che difendono il proprio territorio accusandoli di essere affetti dalla sindrome di NIMBY. Per dare una risposta a queste domande, MilanoInMovimento ha incontrato Massimo Gatti, consigliere provinciale a Milano, che alla TEM si oppone ormai da anni.
Buongiorno, prima di tutto descriviamo lo stato di salute del territorio lombardo. Secondo l’ultimo rapporto del Centro di Ricerca sul Consumo di Suolo, ogni anno in Lombardia, Friuli, Emilia e Sardegna il cemento inghiotte 10 mila ettari di territorio…
La situazione è preoccupante. Nonostante la crisi economica, la tendenza è quella di fare bottino con la terra, dando un contributo micidiale al consumo di suolo, peggiorando la situazione per le generazioni future e aumentando le disuguaglianze. La nuova autostrada – perché la TEM, con il pedaggio più caro d’Europa, sarà di fatto un’autostrada – rappresenta un vero e proprio affare, un sogno per gli speculatori, che noi speriamo di trasformare in incubo. Da sottolineare che passerà anche per il Parco Sud, dove oggi, con 47 mila ettari, sopravvive una grande riserva agricola che garantisce la produzione di beni primari e che dà ossigeno alle nostre città. I dati degli agricoltori e delle associazioni sono univoci: con questa opera 60 delle aziende più produttive della Pianura Padana sarebbero annientate e circa 200 sarebbero compromesse.
Qual è il suo giudizio rispetto ai piani urbanistici del Comune di Milano e della Provincia in merito al consumo di suolo?
È necessario invertire tendenza perché al momento rischiamo una reale compromissione dell’agricoltura. Il Comune di Milano ha ereditato il Pgt della Giunta Moratti e speriamo che la nuova amministrazione lo modifichi radicalmente. La provincia sta per portare in consiglio il Piano territoriale di coordinamento che, aldilà del termine asettico, è importante perché dovrebbe consentire di definire ad esempio gli ambiti agricoli, dove deve essere previsto il rilancio dell’attività produttiva primaria. Se in questo senso il Piano dovesse abdicare, ancora una volta non si farebbe l’interesse generale dei cittadini, bensì si andrebbero a creare ulteriori sofferenze alla parte più debole della popolazione. E come è noto quella legata alla tutela del territorio non è solo una questione estetica.
Forse oggi come non mai, le grandi opere sono al centro dell’attenzione di tutti, basti pensare alla TAV e, sul territorio lombardo, a TEM, BreBeMi e Pedemontana. Aldilà delle valutazioni ambientali e sociali, quello che viene messo in discussione è prima di tutto l’utilità di queste infrastrutture. Se non servono, quali sono gli interessi che muovono chi ne sostiene la realizzazione?
Siamo reduci da un ventennio di sbornia liberista e di mercato, che ha impoverito l’Italia. Prima di tutto credo sia importante ridefinire il concetto di grande opera. In Lombardia, ad esempio, già tanti anni fa si diceva che la più grande opera di questa regione avrebbe dovuto essere l’assetto idrogeologico. Bene, quella idea si è smarrita. Ma è inutile che al Nord si faccia gli spiritosi quando in Calabria o in Sicilia succedono disastri, perché il rischio idrogeologico c’è anche qui. Basti pensare al Seveso e al Lambro, o a quello che è successo in Liguria e in Veneto. Investimenti in questo senso sarebbero realmente utili al territorio e creerebbero lavoro in modo davvero diffuso. Ma una grande opera dovrebbe essere anche la sistemazione di tutto il patrimonio scolastico. Oppure pensiamo ai treni dei pendolari, i cui vagoni sono spesso chiusi perché non agibili o perché non c’è riscaldamento. Le risorse sono state investite nell’alta velocità, che non ha portato alcun miglioramento nello stato generale di viaggio dei pendolari. Lo stesso si rischia con la Tem, che toglierebbe risorse ad esempio all’ampliamento della linea metropolitana. Insistere in questa direzione significa arrendersi a una situazione che meriterebbe di essere ribaltata. Invece di fare propaganda sarebbe ora di fare qualcosa di serio.
Quali interessi ci sono dietro la TEM?
Ci sono le grandi banche, c’è Intesa per esempio, c’è il signor Passera che ha un conflitto di interesse a cui non possiamo guardare con simpatia. La partecipazione dei cittadini per la difesa dei beni comuni che ben si è espressa con il referendum ci dà molta fiducia per andare avanti, anche se gli ostacoli sono molto potenti. E gli interessi che stanno dietro molto forti. Le grandi opere, quando non sono inquinate, e lo sono, da infiltrazioni mafiose, rischiano nella migliore delle ipotesi di essere monopolio di grandi potentati e grandi imprese che arrivano con le loro macchine e lavorano senza dare nessun beneficio all’occupazione locale. Basta guardare i bollettini delle camere di commercio per rendersene conto.
Uno degli slogan dei comitati che si oppongo alla nuova tangenziale est è “No Tem, Sì Metro”, che fine ha fatto il progetto di prolungamento della metropolitana fino a Paullo?
Fuori dai confini di Milano con l’eccezione di Rho-Pero, dove il metrò si è costruito in due anni perché c’erano gli interessi della Fiera e dei potentati economici, abbiamo una situazione di trasporto pubblico molto critica. Per la TEM è prevista una spesa di due miliardi di euro, il 95% dei quali non è ancora stato trovato. È intollerabile che il sistema bancario, anche pubblico, come la Cassa Depositi e Prestiti, anziché finanziare la metropolitana pensi di essere coinvolta nel finanziamento di opere private. Il costo della metropolitana Milano-Paullo è stato stimato intorno ai 600 milioni di euro, la stessa cifra con cui è stato costruito il nuovo Palazzo della Regione. Questa cifra e il fatto che sia stata usata per quel palazzo, che oltretutto ha coperto il bosco di Gioia che era un patrimonio, è la dimostrazione che si fa l’opposto di quello che serve. Dobbiamo dimostrare che la TEM non deve partire, perché prima bisogna fare il trasporto pubblico.
Ci può parlare del project financing?
Spesso dietro alla lingua inglese si nasconde ciò che non si vuole spiegare. Il “progetto di finanza” per la TEM prevede che questa autostrada sia pagata da investitori privati. Ma dopo 10 anni, dopo che sono già state spese decine di milioni di euro tra consulenze e altro, quello che succede è che i 1700 milioni di euro preventivati sono diventati due miliardi di euro, e che il 95% dei finanziamenti ancora non è stato trovato. La finanza di progetto è fallita e gli imprenditori stanno chiedendo prestiti alle banche (addirittura alla Cassa Depositi e Prestiti controllata dal Ministero del Tesoro) per potere costruire l’opera e poi incassarne gli utili dal pedaggio, con l’unico interesse di fare aumentare il traffico, a discapito della salubrità dell’aria e della salute dei cittadini.
Il cantiere TEM porterà occupazione?
In una situazione di crisi economica è un’argomentazione che spesso viene citata a sostegno delle grandi opere. Ma bisogna fare attenzione per molte ragioni. Ad esempio l’esperienza del cantiere Fiera ci dice che i benefici per un’occupazione locale e stabile in quel caso sono stati pari a zero. Per il fatto che le grandi opere spesso vengono iniziate ma non vengono finite, per il fatto che in questi cantieri la manodopera è in subappalto e quindi c’è il massimo dello sfruttamento e della rotazione, i risultati di occupazione sono molto scarsi. Inoltre l’autostrada interromperà una serie di attività, come quelle delle piccole aziende agricole, che vanno avanti da generazioni e generazioni.
Anche perché le grandi infrastrutture si portano da sempre dietro i grandi poli logistici…
Terragni continua a sostenere che le grandi opere occupano poco spazio in termini di superficie del territorio, ma da che mondo è mondo accanto alle autostrade proliferano le cattedrali del terziario, come i centri commerciali. Ci sono intere zone dismesse. bisogna avere il coraggio di capovolgere la gerarchia delle priorità.
Come è stata gestita dal punto di vista dell’informazione la questione TEM?
Dal punto di vista informativo è gravissimo che sia calato il sipario sul fatto che nel 2007 era stato siglato un accordo di programma che prevedeva che la costruzione dell’autostrada sarebbe stata accompagnata da un impegno concreto per il potenziamento del trasporto pubblico, delle stazioni e soprattutto delle metropolitane verso Paullo e Vimercate. Ora, a cinque anni di distanza, questa parte degli accordi è stata completamente cancellata. Adesso che tutti parlano di legalità e di rispetto della legge è importante richiamare l’attenzione su questo punto. E bisogna evitare che la difesa dei beni comuni sia tradotta dai mezzi di informazione in un problema di ordine pubblico. Se il territorio chiede trasporti collettivi, va ascoltato. L’informazione ci deve aiutare perché se il modello imperante dice che bisogna fare autostrade per l’interesse di pochi e a discapito dell’interesse di molti, significa che chi ha la responsabilità di decidere oggi è poco libero di scegliere sulla base della ragionevolezza. Non c’è bisogno di essere rivoluzionari, se una cosa ragionevole non viene approvata, significa che le istituzioni hanno perso la capacità di decidere prima delle banche e di chi si spartisce il bottino.
Che cosa possono fare gli amministratori locali e i cittadini per fermare la TEM?
Nel breve termine abbiamo una scadenza ravvicinata legata all’approvazione da parte della Corte dei Conti della delibera del progetto e la sua pubblicazione. Dal tre marzo i Comuni, le Associazioni, gli agricoltori, i piccoli imprenditori hanno sessanta giorni di tempo per fare ricorso contro quella delibera. Siamo in un momento decisivo. Bisogna produrre quante più azioni di contrasto è possibile, anche perché in quella delibera è contenuta non solo la distruttività del progetto autostradale che contrasta interessi del territorio, ma anche il respingimento delle 400 osservazioni che sono state presentate dai cittadini.
Anna Pellizzone
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