Rilanciamo Città Studi: cosa significa?
Ci siamo lasciati lo scorso 25 Settembre con l’ultimo Consiglio d’Amministrazione del rettorato di Vago e l’ultimo tentativo di quest’ultimo di vincolare quanto possibile il trasferimento a Rho di tutti i dipartimenti di Città Studi. Come è noto, il Consiglio d’Amministrazione non ha fatto in tempo a portare in votazione un bando di gara, e dunque ha lasciato ancora margini d’intervento sull’operazione del trasferimento. (1)
Abbiamo seguito con attenzione la campagna per l’elezione della nuova governance dell’ ateneo e le successive dichiarazioni del nuovo rettore Elio Franzini, noto principalmente per essersi opposto alla linea del suo predecessore sul tema Expo, posizione che si è rivelata vincente anche dal punto di vista elettorale (2). Questa fase di transizione è stata caratterizzata da prese di posizione talvolta confuse, talvolta ambigue o minacciose da parte delle autorità coinvolte: università, comune e regione.
Da un lato Franzini apre una fase di reale discussione all’interno dell’università in nome del rispetto delle volontà dei dipartimenti, auspicando la stesura di un vero piano per Città Studi (3); dall’altro il comune di Milano cerca di defilarsi dalle proprie evidenti responsabilità, facendo però pressioni affinché si proceda in fretta sul trasferimento, forse spaventato dalla prospettiva della nascita di un meccanismo più democratico all’interno dell’università. (4) (5)
In questo contesto crediamo che sia più che mai necessario ritornare alle origini del dibattito analizzando la situazione di Città Studi su un piano diverso dalla semplice contrapposizione tra contrari e favorevoli al trasferimento.
La battaglia si gioca, in realtà, tra chi ha un reale interesse al miglioramento delle condizioni dell’università e del quartiere di Città Studi e chi ha soltanto l’interesse che ventimila persone vadano a popolare un non luogo, avendo come obiettivi primari quelli di indirizzare la ricerca dell’ateneo secondo criteri aziendalistici che non le appartengono e di valorizzare ad un’area per nulla appetibile (6).
Incidentalmente, c’è un punto di contatto tra noi e la triade Vago-Sala-Fontana: Città Studi al momento attuale non è un polo universitario all’altezza di questo nome, ma ha bisogno di un reale piano di sviluppo e di rilancio. La differenza attorno a questa posizione sta nell’utilizzo strumentale e ipocrita che la precedente amministrazione ne ha fatto per anestetizzare le polemiche sulla mancanza di progetti alternativi al trasferimento.
A differenza di quanto raccontato da Vago & Co. in Città Studi non è tutto da buttare (si consideri ad esempio il nuovo dipartimento di informatica) ma è assolutamente necessario rimettere al centro del dibattito quelle che sono le reali esigenze degli studenti, dei ricercatori, dei lavoratori, dei docenti e dei cittadini. In altre parole, rimettere al centro le persone e non gli interessi mediatici della politica e quelli economici dei vari soggetti che si spartiranno l’area Expo. D’altronde, il motivo profondo che sta dietro al no lanciato finora da tutti coloro che si sono opposti all’operazione Expo altro non è che una forte rivendicazione del rilancio di Città Studi.
Vogliamo ora fare uno sforzo di analisi nel merito della nostra visione su Città Studi, a partire da quelle che sono le maggiori criticità. È sotto gli occhi di tutti che le condizioni lavorative in dipartimenti come Chimica e Farmacologia siano inaccettabili: studenti e ricercatori lo denunciano da ben prima che fosse sul piatto l’opzione Expo, e la risoluzione di questo problema si sta rimandando da troppo tempo. La costruzione di un nuovo edificio per questi dipartimenti è senz’altro una soluzione auspicabile e ciò consentirebbe ulteriori possibilità di sviluppo in Città Studi in seguito ad un abbattimento di strutture che sono in condizioni irrecuperabili, come quella di via Venezian.
Una posizione articolata e complessa è quella di Fisica, che soffre molto l’assenza di un reale progetto scientifico, sia per quanto riguarda Città Studi sia per l’area Expo; in parecchi si sono sforzati di rendere il progetto non soltanto un trasloco ma un vero miglioramento delle condizioni universitarie, attraverso l’implementazione di un acceleratore di particelle e una piastra di laboratori realmente funzionale, oltre che di strutture didattiche adatte a tutte le esigenze. Ad ora, forse non c’è neppure bisogno di dirlo, queste richieste rimangono lettera morta.
Un aspetto per noi fondamentale è quello di una reale interazione con il quartiere e un miglioramento concreto delle condizioni degli studenti. È del tutto inaccettabile che gli spazi a disposizione per lo studio siano costituiti principalmente dai corridoi, come lo è l’assenza in molti dipartimenti di reali luoghi di socialità e di scambio. Lo stesso quartiere di Città Studi presenta diverse carenze: dall’ateneo c’è urgente bisogno di massicci investimenti in welfare studentesco, a partire dalla costruzione di nuove residenze universitarie a prezzi accessibili, di una calmierazione degli affitti per gli studenti, dell’aumento delle agevolazioni per il trasporto pubblico. È necessaria anche una maggiore attenzione all’organizzazione di eventi di carattere scientifico e culturale, affinché l’università diventi molto di più che un’opportunità economica per il quartiere. In questa direzione occorre aprire gli edifici della Statale a studenti e cittadini nelle ore serali e nei fine settimana (il Politecnico già lo fa, praticamente a costo zero) e fornire agli studenti spazi che possano essere gestiti in totale autonomia. L’esperienza universitaria è molto di più che andare a lezione, preparare esami e tornare a casa propria!
Tutti i punti sovraesposti sono più che realizzabili, anzi, vanno proprio nella direzione delle migliori università del mondo, alle quali ci raccontano di ispirarsi per il progetto Expo. La realtà dei fatti ci mostra che finora la necessità di coprire il buco di Expo e la gestione antidemocratica del trasferimento internamente ed esternamente all’ateneo non ha fatto altro che mettere da parte le reali esigenze delle persone, paralizzando la Statale per anni. I 130 milioni a disposizione da parte del governo sono stati presentati solo come un aut-aut e non come un’opportunità da discutere con tutti per trovare la soluzione più intelligente.
Tra l’altro, osservando la situazione da una prospettiva allargata, si tratta di un finanziamento una tantum ad un singolo ateneo italiano, con modalità discutibili, indirizzandone la ricerca secondo logiche esterne al mondo della ricerca stessa. Le “scienze della vita”, nome utilizzato a più riprese a fini propagandistici, non hanno particolare dignità rispetto ad altri settori di ricerca, ne incontrano interessi generali all’interno dell’ateneo, e nemmeno a priori suscitano un particolare interesse tra I futuri universitari. Sono semplicemente un probabile ambito di sviluppo del settore tecnologico- industriale nostrano. All’interno del quale si vorrebbe indirizzare una significativa fetta della ricerca nel nostro ateneo. Le recenti uscite dell’attuale ministro dell’istruzione riguardo alla necessità di rafforzare il rapporto tra dottorati di ricerca e industria dimostrano quanto scritto (7)
Ribadiamo infine che un concreto sviluppo della Statale non può avvenire se essa continua ad essere succube di influenze esterne. L’università non può e non deve rincorrere le necessità di politicanti o affaristi, né le smanie di protagonismo di qualche dirigente. Deve piuttosto rivendicare con forza il proprio ruolo di motore scientifico, culturale e sociale nel tessuto urbano, pretendendo finanziamenti che latitano da troppo tempo e avendo un ruolo attivo e indipendente sulle scelte che la riguardano. Altrimenti non solo la Statale ma anche il sistema universitario nazionale è destinato inesorabilmente a decadere.
Lasciamo quindi questi spunti di riflessione in vista dell’assemblea pubblica che terremo ad Informatica il 09/10 alle 17.30 e chiediamo con forza che diventino la base per la discussione sul futuro della nostra università e del nostro quartiere, sia per il nostro nuovo rettore sia per le istituzioni politiche spesso silenti e spesso complici della disgregazione dell’università.
8 Ottobre 2018
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