Succede solo da McDonald’s?
Da una questione riguardante il mondo del lavoro è diventata una questione di “colore”…
L’improvvisa e inaspettata chiusura del McDonald’s di Piazza San Babila a Milano ha conquistato le prime pagine della stampa cittadina.
Non tanto per i posti di lavoro a rischio o per le modalità della chiusura del negozio.
Ma perché, in questo angolo di Milano, nei primi anni ’80, nacque il primo Burghy.
Burghy fu la prima catena di fast-food italiana e aprì il suo primo negozio nel 1981 (poi rilevata da McDonald’s a metà anni ’90).
La aprì in una città in pieno riflusso (che in realtà, spesso e volentieri, stava a significare arresti e dilagare dell’eroina). In una piazza che per Milano, per tutto il decennio precedente, aveva avuto tutt’altro valore.
San Babila era infatti la piazza dei fascisti (i sanbabilini). Solo dopo anni di scontri durissimi gli antifascisti milanesi
erano riusciti a rendere San Babila una zona in cui si poteva transitare per andare in Statale senza il rischio di essere aggrediti.
In questa piazza dunque aprì Burghy che divenne in poco tempo centro di una delle mode più diffuse del decennio del riflusso: i Paninari. Ancora qualche anno e la metropoli meneghina sarebbe diventata la “Milano da bere”: quella degli yuppi e della passione per Piazza Affari, quella della moda e del Biscione, quella dei socialisti e delle tangenti su qualsiasi appalto, ma anche quella delle periferie svuotate dalla partecipazione del decennio precedente e affogate nel noto derivato della morfina…
Ma queste sono appunto, le note di colore. Torniamo a parlare dei lavoratori e di quello che è successo negli ultimi giorni.
Domenica 19 Luglio, a fine turno, l’azienda comunica ai dipendenti (una cinquantina) che da lunedì il negozio avrebbe chiuso per sempre.
Questo perché il contratto d’affitto non sarebbe stato rinnovato.
Da qui lo smistamento all’ultimo secondo dei lavoratori negli altri negozi della catena sul territorio metropolitano.
Una modalità di comunicazione della chiusura del McDonald’s di San Babila, quella messa in campo dall’azienda, che solleva più di una perplessità e che non ha permesso in alcun modo ai lavoratori di “prepararsi” alla situazione o di poter metter sul tavolo controproposte.
E’ pratica abbastanza diffusa nelle aziende, quella di comunicare all’ultimo ai lavoratori questioni che li riguardano, anche relative ai trasferimenti. Ma qui si sta parlando della chiusura di un punto vendita.
Sorge qualche sospetto che tanto ritardo sia una conseguenza del riuscitissimo sciopero di Maggio (finito su tutti i media) sulla questione degli stipendi e dell’utilizzo massiccio dei part-time.
Anche perché, al di là del “glamour” legato alla storia di Burghy e dei Paninari, la storia di questa catena di fast-food è anche la storia di una sindacalizzazione abbastanza solida.
E’ di ieri la notizia del licenziamento dei due delegati sindacali di San Babila (fonte la Filcams Milano) e di scioperi di solidarietà negli altri negozi di catena.
La vicenda sembra tutt’altro che conclusa.
Continueremo a seguirla.
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