Via Idro, Milano_Cosa succede quando chiude un campo rom?
Non lo sanno nemmeno i diretti interessati, persone che vivono da 26 anni in via Idro raggiunte da un ultimatum del Comune per non aver accolto una proposta davvero irricevibile.
Quello che il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite definisce sgombero forzato al Comune di Milano si chiama “proposta di accoglienza in un Centro di Emergenza Sociale”. Significa, in sostanza, che presto un centinaio di persone dovranno lasciare per sempre il campo dove risultano regolarmente assegnatarie di alcune piazzole e saranno costrette a spostarsi da un giorno all’altro negli spazi che l’Assessorato ha stabilito per loro. Luoghi totalmente inadeguati ad ospitare famiglie, con servizi carenti che a nessun’altra comunità verrebbero offerti. Solo nei primi nove mesi del 2014 sono stati sgomberati a Milano oltre 2200 rom e sinti, confermandosi il capro espiatorio perfetto, come li ha definiti qualche mese fa Luigi Manconi su Internazionale.
Un ricorso al Tar presentato da Naga e Opera Nomadi la settimana scorsa ha permesso al dibattito in corso di allargarsi oltre viale Padova e conquistare le pagine dei quotidiani locali. Repubblica ha ha pensato bene di corredare l’articolo sul ricorso con l’immagine di un altro insediamento che qui nessuno riconosce. Dopo aver dato ampio spazio alle intercettazioni che hanno svelato come ci siano decine di persone coinvolte in giri di affari fatti sulla pelle di rom e richiedenti asilo, e non viceversa, Repubblica decide che non vale nemmeno la pena di fare una tappa in via Idro 62 e di rivolgere un paio di domande ai residenti e scattare qualche foto: dato che quasi nessuno conosce questa realtà chi potrà mai dire che un buon articolo di De Vito è accompagnato dalla foto sbagliata?
MARINA SOCIAL CLUB
Ed è proprio questa la prima cosa che ci dice Marina quando arriviamo al campo: Pur non vivendo in una casa vera e propria – alcuni qui hanno un container, altri hanno piccole case in legno, nessuna però è la baracca della foto vista su Repubblica – lei non sopporta l’idea che la sua condizione debba essere falsata dai media, magari al fine di suggerire ai milanesi prossimi al voto che questa via sarebbe meglio deserta. Quando le confidiamo un dubbio, ovvero che questo terreno possa interessare costruttori pronti a farne con buone probabilità un nuovo centro commerciale o chissà che altro, Marina risponde che no, secondo lei non ci sono obiettivi particolari, e l’unica volontà finora emersa è cacciare chi ci vive. Qualcuno qui ci è persino nato, come due delle sue tre bambine che poco distanti ci osservano, quasi sempre sorridendo, come quando erano più piccole e la mamma studiava per prendere la licenza di scuola media: “è fondamentale per me che tutti loro completino gli studi. E a scuola si trovano benissimo. Io sono l’unica della famiglia ad aver chiesto la carità.”
Marina è una persona con cui si potrebbe parlare per ore senza accorgersi del tempo che passa. Veniamo interrotti di tanto in tanto dall’arrivo di altri Amici di via Idro, un gruppo di cittadini attivi al loro fianco. Si sono conosciuti per caso anni fa ad una Festa dell’Unità in via Agordat e non hanno mai smesso di frequentarsi. Il più assiduo era Fabrizio Casavola: grazie a lui nel campo sono stati organizzati decine di incontri, serate musicali e danzanti, biciclettate, proiezioni di film, attività e feste per bambini e ragazzi. Che ci si trovasse in dieci o in cento, a preparare la festa era sempre Marina. Per questo qui tutti sanno cosa sia il Marina Social Club. Il primo a chiamarla così pare sia stato Fabrizio, che è mancato recentemente. Fabrizio aveva un blog in cui raccoglieva documenti, interviste e testimonianze sulle diverse comunità rom, tuttora consultabile on line (www.sivola.net/dblog/ ). Un capitolo di Storia che è insieme rom e milanese, caro a studiosi che navigandolo hanno deciso di dedicare la propria ricerca o tesi di laurea a queste famiglie. Nelle scorse settimane alcuni di loro si sono di nuove messe in contatto con le persone che avevano intervistato. Si sono trasferiti fuori Milano, alcuni all’estero, e non possono credere che un’amministrazione di sinistra si possa ancora definire tale dopo aver preso simili irrevocabili decisioni per la vita di adulti e minori.
DI SGOMBERO IN SGOMBERO RIPETENDO LO STESSO MANTRA: “SUPERARE I CAMPI”
Mentre i bambini disegnano e giocano (“Dopo la notizia che abbiamo ricevuto è importante che almeno loro riescano a distrarsi”, commenta una nonna) Marina e suo marito Lisse spiegano come da agosto abbiano cercato invano soluzioni per convincere l’Amministrazione che non può essere lo sgombero la via per chiudere la “questione rom”, né per “superare i campi”. Si potrebbe aprire una riflessione su come quest’ultima espressione sia ormai stata fatta propria da tutte cariche politiche. A destra come a sinistra nessuno ammette di accettare l’idea che ci siano persone senza casa, ma se alcuni ne parlano usando termini quali dignità o civiltà, altri si rifanno alla dicotomia degrado vs sicurezza (dove la sicurezza da salvaguardare è ovviamente solo quella dei non – rom). Nessuno però ha finora chiarito come si possa “superare” i campi se non si assegnano case.
Diversi abitanti di via Idro hanno rivolto domanda per ottenerne un’abitazione tramite regolare assegnazione, ma non sono mai stati presi in considerazione e lo scorso luglio hanno saputo dalla stampa che entro la fine di dicembre il campo non esisterà più. Nemmeno le giunte Albertini e Moratti erano arrivate a tanto. Le informazioni sulla loro sorte sono sempre scarse, mai definitive. È stata una delibera del 17 agosto a sancire il loro allontanamento, a dirgli di levarsi di torno in silenzio, senza che si renda necessario un intervento delle ruspe promesse dall’onnipresente Salvini.
Solo una decina di giorni fa i residenti di via Idro e alcuni amici hanno potuto fare un sopralluogo nella terra promessa, ovvero al Centro di Autonomia Abitativa di viale Marotta 8 (CEAS, al Parco Lambro), dove hanno constatato come questa sia totalmente inadeguata ad ospitare famiglie. È stato intimato loro di comunicare entro 24 ore la decisione (a carattere vincolante) di trasferirsi lì, oppure il rifiuto. Poco dopo la stessa offerta è stata fatta ad un gruppo di rom harvati, che non ha ad oggi comunicato la propria scelta.
Ma perché mai Marina e gli altri dovrebbero accettare di vivere in una condizione peggiore rispetto a quella che nel tempo e nonostante tutto si sono creati? E ammesso che accettino, cosa ne sarà delle altre persone che vivono nel campo (97 in totale, secondo un censimento del Comune, per un totale di 24 famiglie) che sono tenute a liberare il campo entro fine anno? A chi giova sapere che molti potrebbero trovarsi a dormire per strada? Perché chiudere il campo se la data di arrivo dei container viene già ipotizzata come successiva alla chiusura? Perché fissare persino degli orari di entrata ed uscita dai container per chi ci dovrà vivere? Chi mai vorrebbe vivere in un container di appena 12-15 metri quadri calpestabili insieme ad altre sei o sette persone, con cucine e bagni che un’ASL farebbe subito chiudere, e con le alluvioni che d’abitudine colpiscono viale Marotta? E perché continuano a mancare quelle garanzie in termini di inserimento sociale e lavorativo previste da protocolli nazionali ed europei che permetterebbero ai rom di non essere più percepiti solo come un problema da un candidato alla poltrona di sindaco
Alberto Ciullini di Sel riferisce inoltre che ai consiglieri di Zona 2 erano state mostrate in passato strutture diverse rispetto a quelle che gli abitanti di via Idro hanno effettivamente visitato: “Era una casetta per cinque famiglie, mentre questi sono container. La proposta è indubbiamente peggiorativa”. E se la delibera mette in guardia da possibili rischi idrologici, problemi di salute e di sicurezza urbana, non dice invece che l’area che dovrebbe ospitarli è stata colpita più volte da alluvioni.
“Dopo il 3 novembre, entro venti giorni il Comune darà un’ordinanza di spostamento delle famiglie presso i Centri di Emergenza Sociale. Se non lasceranno il campo ci sarà lo sgombero”, aveva promesso l’Assessore Granelli. Quel giorno è arrivato, il countdown per l’ordinanza è partito. Ma com’è che nell’era della politica esibita sui social network non è possibile mostrare a tutti cosa troverebbero Marina e gli altri al nuovo indirizzo?
E dire che Milano in questi giorni è stata definita capitale morale d’Italia, come se qui favoritismi e tangenti non fossero mai stati una realtà quotidiana in grado di rovinare la vita di tanti cittadini. Come se l’attuale Giunta non fosse più la stessa che aveva accolto positivamente le Linee Guida per Rom Sinti e Caminanti (2012) in cui si parla di rendere possibili periodiche consultazioni con le famiglie abitanti, nonché di sperimentare l’autocostruzione di case “con caratteristiche che le differenzino sensibilmente dal modello-campo”. E dire che l’ultimo Forum delle Politiche Sociali era stato chiamato Tutta la Milano Possibile (Tutta tutta, rom esclusi). Probabilmente non è un caso che il candidato a sindaco Pierfrancesco Majorino abbia scelto come logo per la sua campagna una freccia che va decisamente verso destra. E forse alle Politiche Sociali anche altri sono convinti che Marina e le sue figlie non sappiano leggere e scrivere. Non è così. Marina, che ha lavorato anche come mediatrice in una scuola in cui non ha mai subito episodi di discriminazione, ha seguito in prima persona le varie fasi della vicenda. Spera che il ricorso degli avvocati del Naga e Opera Nomadi al Tar possa essere giudicato ammissibile, ed è grata a chi ha contribuito, ma è anche consapevole di come in passato ci siano stati casi in cui si è proceduto a sgomberi nonostante sentenze favorevoli per gli abitanti. I nomi dei protagonisti di questo film a episodi li ricorda perfettamente: l’Assessore Granelli e la sua squadra, Alessandra De Bernardis, Donatella De Vito, Azzolini (Ceas), Salvatore Mirante, i consiglieri di zona 2. E poi qualcuno incrociato agli appuntamenti del Tavolo Rom, risultato fallimentare.
Cosa succederà nei prossimi giorni? Lunedì scorso le famiglie di via Idro hanno saputo da funzionari del Comune che verrà fatto un nuovo censimento “per registrare le famiglie rimaste e a queste verrà notificata, probabilmente all’inizio della settimana prossima, l’ordinanza di sgombero con indicazione dei tempi di esecuzione” – come riporta il Naga.
Presto o tardi, al massimo entro due mesi, nessuno di loro avrà più un posto che si possa chiamare casa.
Chi volesse rimanere aggiornato sull’evoluzione della situazione può iscriversi al gruppo Facebook “Via Idro, che fare?”
Link per approfondire:
L’articolo di Repubblica: http://milano.repubblica.it/…/ricorso_al_tar_fermate_lo_sg…/
http://www.internazionale.it/…/2…/04/08/rom-capro-espiatorio
Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti
ec.europa.eu/…/discriminat…/files/roma_italy_strategy_it.pdf
http://www.naga.it/…/notiz…/items/nomadi-per-forza.1473.html
http://www.parlarecivile.it/argom…/rom-e-sinti/sgombero.aspx
Le foto del campo scattate dagli Amici di via Idro:https://www.facebook.com/groups/138351862865003/permalink/1094600800573433/
La “questione rom” dopo l’approvazione della Strategia nazionale di inclusione – di Sergio Bontempelli (a pagina 65 del Terzo Libro Bianco sul razzismo in Italia:
https://www.lunaria.org/…/uploads/2014/10/impaginato-low.pdf
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