20 Settembre – Il giorno in cui la Catalunya ha detto addio alla Spagna
Per approfondire la questione catalana che in questi giorni sta diventando bollente, abbiamo deciso di intervistare Mao Sartori, un compagno che vive da 11 anni in Catalunya.
-La storia dello stato spagnolo moderno è fatta da potenti spinte centrifughe solitamente represse con durezza. Basta guardare l’esperienza basca prima schiacciata da Franco e poi combattuta con una certa ferocia dalla Spagna democratica (vedi il capitolo della “guerra sporca” dei GAL e le centinaia di anni di galera distribuiti generosamente contro gli indipendentisti anche per reati irrisori). Qual è, in breve, la storia dell’indipendentismo catalano?
Chi per primo si è proposto l’indipendenza della Catalunya, molto dopo la sconfitta nella Guerra di Successione al trono spagnolo del 1714, fu l’Unió Catalanista, un gruppo politico che voleva unire tutti i catalani. In un’assemblea che si tenne a Reus nel 1893, già si iniziò a parlare della creazione di uno stato catalano. Le discussioni furono stimolate anche dalle esperienze dell’Irlanda, della Finlandia e della Repubblica del Transvaal che lottavano per le rispettive indipendenze verso la fine del XIX secolo. In quel momento però nulla si concretizzò realmente.
La spinta per l’indipendentismo catalano riprese vigore dopo la fine della Prima Guerra Mondiale con il trionfo dei principi del nazionalismo e dell’autodeterminazione dei popoli. L’esempio della rivolta irlandese contro l’Impero Britannico nel 1916 incoraggiò coloro che ritenevano, con ragione, che la difesa degli interessi della Catalunya venisse aggirata all’interno del sistema parlamentare spagnolo. Con questa frase, Francesc Macià creò nel 1922 la prima organizzazione politica che si dichiarava separatista: Estat Català.
L’istituzione della dittatura militare di Primo de Rivera, con la sua rappresaglia, spinse Macià a cercare di ottenere l’indipendenza attraverso un’insurrezione armata nel 1926. Il tentativo noto come i fatti di Prats di Molló fu un fallimento militare, ma diede un’eco internazionale alle rivendicazioni catalane. Ciononostante, coloro che fecero parte di Estat Català, esiliati a Cuba, non morirono e scrissero la Costituzione dell’Avana, un testo essenziale per la futura Repubblica Catalana.
La Repubblica catalana di Macià
L’avvento della Repubblica il 14 Aprile 1931 significò l’annuncio da parte di Macià, lo stesso giorno, della tanto acclamata Repubblica Catalana. Tuttavia, l’indipendenza durò solo tre giorni: le pressioni del governo di Madrid fecero sì che Macià rinunciasse al suo sogno in cambio della creazione di un’autonomia. La decisione, che in molti considerarono un cedimento, fece sì che si formassero nuove organizzazioni separatiste, come Nosaltres Sols (Noi Soli), il Partito Nazionalista Catalano o il Partito Catalano Proletario.
Quando la guerra civile rase tutto al suolo, la fiamma dell’indipendenza fu mantenuta viva dal Fronte Nazionale della Catalunya, che collaborò con le forze alleate durante la Seconda Guerra Mondiale sperando che la sconfitta del fascismo significasse la vittoria della causa catalana. Invece già conosciamo come finì la storia: la paura delle presunte democrazie del comunismo sovietico trasformò Franco in un alleato che non conveniva disturbare. Il ritorno alla democrazia non significò dare voce e voto agli indipendentisti, al contrario. La Costituzione del 1978 consacrò e consacra l’unità della “nazione spagnola” e mette l’esercito come garante di tale unità, una disposizione che implicitamente priva le autonomie del proprio potere politico effettivo.
L’indipendentismo catalano nell’attualità quindi è una confluenza di diverse realtà sociali, politiche e culturali di diversa provenienza, che hanno nella storia la loro forza. Per generazione e generazioni, la società di base ha resistito ad ogni tipo di violenza e sopruso, e questa voglia di resistenza è ancora molto viva. In generale i catalani sono un popolo pacifico, però molto determinato e le varie associazioni e realtà indipendentiste o fataliste, hanno come principale scopo quello di proteggere e fomentare la cultura catalana, la coesione sociale e l’educazione.
Nel parlamento catalano, questo movimento indipendentista è rappresentato da “Junts pel Si” e la CUP. “Junts pel Si” è una candidatura della società civile, che conta sull’appoggio di Convegència Democràtica e di Esquerra Republicana (ERC), che vinse le elezioni plebiscitarie del 27 Settembre 2015.
Convegència Democràtica oggi ricostituita nel Partit Demòcrata, è il centrodestra nazionalista, liberista e capitalista con un’ideologia democristiana di fondo. Il partito, in parte messo in crisi dalla sinistra nelle ultime elezioni dopo le quali Artur Mas, ha dovuto dimettersi, si mantiene forte, visto che è erede diretto del potere perpetrato per 20 anni da Jordi Pujol e famiglia come presidente della Generalitat di Catalunya, il governo autonomo.
ERC è il partito di sinistra repubblicana che nasce dalla fusione dei movimenti e delle forze politici repubblicane, prima dopo e durante il franchismo: l’Estat Català, di Francesc Macià; il Partit Republicà Català, di Lluís Companys e il gruppo di L’Opinió, di Joan Lluhí.
La CUP (Candidatura di Unità Popolare) è un’organizzazione politica assemblearia di portata nazionale che si estende in tutti i Paesi Catalani (Països Catalans) e che lavora per un paese indipendente, socialista, ecologicamente sostenibile, territorialmente equilibrato e libero da forme di dominio patriarcale.
-Come mai nell’ultimo decennio le spinte separatiste catalane sono diventate così potenti? C’è stato uno o più elementi scatenanti?
Negli ultimi anni la Catalunya ha continuato ad essere il bersaglio dello Stato. La sentenza sullo statuto della Catalunya nel Giugno 2010, in cui il termine «nazione» fu spogliato della validità legale, segnò l’inizio di una nuova era politica. La risoluzione fu la ragione di una manifestazione di massa che, sotto lo slogan “Siamo una nazione, noi decidiamo”, mobilitò decine di migliaia di persone nelle strade di Barcellona il 10 Luglio 2010. In quel momento, i media come El País descrissero la mobilitazione come “la più grande manifestazione della storia del catalanismo”.
In questo caso come negli anni successivi la capacità di mobilitazione di massa si deve grazie all’incredibile lavoro di base di associazioni come ANC (Assembla Nazionale Catalana) o Omnium che hanno una larga storia legata alla difesa della propria cultura catalana, della lingua e delle tradizioni popolari.
Un altro elemento importante da tenere in considerazione sono le politiche di Mariano Rajoy (che governa dal 2011), grazie alla costante repressione, sottile o meno, verso la cultura catalana, oltre alla negazione perpetua al dialogo e al confronto per realizzare un referendum negoziato.
Un esempio fra tutti: “Il nostro interesse è quello di spagnolizzare gli studenti catalani in modo che si sentano così orgogliosi di essere spagnoli come di essere catalani”. Questa è stata una delle frasi con cui l’ex-Ministro dell’Istruzione, della Cultura e dello Sport José Ignacio Wert ha difeso la sua Legge Organica per il Miglioramento della Qualità Educativa (LOMCE) nell’Ottobre 2012. Il testo, che obbligava la Generalitat ad offrire istruzione in lingua spagnola agli studenti che lo avrebbero richiesto (o altrimenti, a pagarla in centri privati) rappresentò un cambio centralista e ideologico verso le tesi più conservatrici del Partito Popolare.
Giorni dopo che lo Stato ha assunto il controllo delle finanze catalane, mercoledì 20 Settembre la Guardia Civile ha realizzato perquisizioni all’interno di diverse amministrazioni, ha arrestato 15 persone – la maggioranza, esponenti importanti per la celebrazione del referendum – e ha confiscato milioni di schede per il referendum del 1° Ottobre.
Venerdì il ministro dell’Interno ha assunto il comando dei Mossos d’Esquadra e l’ufficio il Procuratore ha annunciato l’apertura di una grande causa per sedizione per le proteste che si sono svolte a Barcellona lo stesso mercoledì. Determinato a fermare il referendum il 1° Ottobre in ogni modo, allo Stato è bastata meno di una settimana per sospendere di fatto l’autonomia catalana.
Ora, quando rimangono ancora cinque giorni per questa data storica, chiediamo: “che altro può succedere?”
-In Italia, una buona fetta dell’opinione pubblica, anche di sinistra e anche nei movimenti, associa la situazione catalana al leghismo. Si sprecano le frasi: “I Catalani sono degli egoisti fuori dal tempo”. Com’è composto lo schieramento indipendentista?
Le basi dell’indipendentismo catalano son ben lontane dalle ideologie xenofobe e razziste della Lega Nord. Infatti come raccontato sopra, il movimento popolare indipendentista è profondamente di sinistra e repubblicano. Per la maggior parte è pacifico e non è contrario alla Spagna, non è contro nessun altra ideologia, ma bensì difende la proprio lingua, la propria cultura dagli attacchi e la repressione perpetrata per generazioni e generazioni, dallo stesso governo spagnolo, dal franchismo e dai Borboni ancor prima.
Le ragioni per scommettere sull’indipendenza sono tante quanti sono gli indipendentisti in Catalunya, ma se vogliamo riassumere le principali ragioni per il sì, gli argomenti oscillano tra l’impossibilità di stabilire un dialogo con una democrazia spagnola corrotta e erede diretta del regime franchista, un modello di governo autoritario, e il desiderio di disegnare una nuova repubblica con leggi elettorali degne, con una giustizia indipendente, con solidi equilibri contro l’eccesso di potere e giustizia per tutti. La maggior parte dei catalani pensa che i paesi piccoli oggi, permettano un modello di democrazia più partecipativo, con maggiore equità e responsabilità, con più pluralità e che consente una migliore razionalizzazione delle loro risorse. In breve, il popolo catalano si sente maltrattato dall’intransigenza, dalle menzogne sistematiche e dalla repressione che i diversi governi spagnoli hanno guidato e che dà loro buoni ritorni politici e elettorali. Una punizione storica che viene da lontano ed è stata impregnata dalla sconfitta del 1714 contro il re borbonico e il suo modello di monarchia autoritaria. I catalani vogliono essere indipendenti perché per loro, la parola indipendenza è intrinsecamente legata alla parola libertà e uguaglianza.
Per questo motivo non credo che un popolo che lotta per creare un modello di società migliore, e che cerca il dialogo da secoli con il governo spagnolo senza ottenere una risposta, non possa essere considerato egoista. Di fatto, quello che stanno facendo è una rivendicazione importantissima dei diritti umani che interessa ogni paese che si vuole identificare come democratico. Se questa battaglia la dovessero vincere il governo del PP, allora sì che si continuerà a seguire la deriva egemonica, dittatoriale, fascista e razzista anche in altri paesi europei. Basta osservare anche ciò che è accaduto alle elezioni generali in Germania questo fine settimana.
-Qual’è il ruolo della sinistra e dei movimenti, storicamente fortissima in Catalunya, in questa dinamica?
Il ruolo della sinistra è fondamentale, soprattutto quello della CUP di Arran, e di tanti altri collettivi, centri sociali, movimenti autonomi, anarco-indipendentisti, che in questi ultimi due anni, in Parlamento e fuori, hanno elevato il discorso politico ad un livello per cui si sta riuscendo a far breccia anche nei confronti di altri esponenti della coalizione di governo di altri colori e provenienza. Sentire in questi giorni slogan e discorsi più propri a un linguaggio “di movimento”, proferiti da democristiani, conservatori di Convergència fa un certo effetto. Questo è il risultato del duro lavoro fatto nelle piazze e nel Parlamento in questi anni.
Sembra che la forza politica e la capacità dialettica che hanno certe personalità carismatiche della CUP, i più in vista sono senza dubbio Anna Gabriel, David Fernandez e Quim Arrufat, sia stata capace di zittire finora gli avversari politici, che rimangono letteralmente senza parole davanti ai loro argomenti. Sono riusciti in modo assolutamente esemplare a resistere ad attacchi indegni e continui da parte dell’opposizione. Questo il governo del PP lo sa bene, e probabilmente è una questione che li preoccupa parecchio. Per questo motivo, un importante aspetto che dovranno tenere in conto i militanti della CUP, saranno le provocazioni dirette che probabilmente riceveranno, come d’altronde è già successo con i Paesi Baschi. Il PP cercherà di criminalizzare la sinistra radicale, mettendo fuorilegge il partito, facendo altri prigionieri politici, aumentano la tensione con provocazioni, utilizzando anche l’arma dell’estrema-destra che già si è mobilitata realizzando diverse provocazioni. Tutto il movimento indipendentista, se si palesasse questa situazione, dovrà cercare di evitarla per preservare la libertà delle persone e per poter arrivare sani e salvi al primo Ottobre.
Ovviamente non ci si può illudere che una volta avvenuto il voto, e nel caso che vinca il sì, tutto fili liscio. C’è un’altra possibilità di scontro tra storiche differenze ideologiche, che possono prevalere sul buon senso. Quindi credo che i movimenti, la CUP e altri collettivi della sinistra, insieme alla società civile, abbiano un ruolo fondamentale di osservatori e protettori dei diritti di tutte le persone, di ogni classe sociale e provenienza, anche di chi non è a favore dell’indipendenza, ma che vive e vivrà in Catalunya. Per fare un esempio, nella nuova costituzione catalana non si contempla di dare la cittadinanza ai migranti che arrivano in Catalunya, e quindi i movimenti dovranno lavorare anche per pretende certi aspetti per preservare i diritti umani. E un occasione per creare un precedente da seguire. Un nuovo modello veramente democratico.
-Perché pensi che il Regno Unito abbia consentito alla Scozia di tenere un referendum sull’indipendenza (per non parlare di quello sulla Brexit) mentre Madrid farà di tutto per evitarlo?
La politica del governo spagnolo, che ha profonde radici ancora infangate da personaggi che sono direttamente franchisti, è una politica del NO a tutto. Questo palesemente fa trapelare una paura al cambio che effettivamente ottiene l’effetto contrario. Di fatto l’indipendentismo catalano degli ultimi decenni e cresciuto notevolmente anche grazie alla politica del no al dialogo di Mariano Rajoy, di negazione totale a qualsiasi iniziativa di autodeterminazione o di rivendicazione di una cultura propria, non fa altro che alimentare la fiamma dell’indipendenza e trapela una certa incapacità politica di ascoltare il popolo.
-Cos’è successo in questa settimana in cui la situazione si è avvitata? Cosa prevedi da qui alle elezioni?
Nei prossimi giorni può succedere di tutto, e forse c’è il pericolo di non essere del tutto preparati, anche se la capacità organizzativa del popolo catalano è veramente impressionate. C’è un tessuto connettivo che si muove molto velocemente in caso di necessità ha una grossa forza solidale. Il popolo le associazioni, i collettivi che sono l’anima di tutto questo grande movimento, insieme al governo e alle istituzioni che finalmente danno un appoggio reale faranno di tutto per andare a votare il 1° Ottobre, per questo sono convito che si voterà. C’è una grossa determinazione. Molte persone che non sono a favore dell’indipendenza, visto il pericolo che hanno avvertito, hanno detto che andranno a votare e voteranno per il SI’, perché ormai è diventato un voto per la libertà, per la democrazia, un voto per contrastare la deriva repressiva e autoritaria della politica del PP.
Tutta la società civile è in piazza, pronta a resistere pacificamente se il governo spagnolo cercherà di impedire il voto. Gli studenti hanno occupato le Università centrali a Barcellona e a Lleida. I lavoratori e i sindacati stanno pensando ad uno sciopero generale. Gli allevatori e gli agricoltori di tutto il paese stanno preparando i trattori e tutti i mezzi che hanno a disposizione per difendere i seggi elettorali. La gente si sta organizzando per dormire la notte davanti ai seggi. I lavoratori del porto si sono rifiutati di caricare rifornimenti alle navi che ospitano la Guardia Civil. I residenti di un piccolo comune in provincia di giorno si sono opposti alla richiesta della Guardia Civil, di montare un campo militare in un campo sportivo.
Gli hacker, gli informatici delle telecomunicazioni e i media mainstream si stanno organizzando insieme, nel caso che la polizia blocchi le emissioni.
Insomma, movimenti e novità ce ne sono ogni giorno, mentre la vita quotidiana ancora scorre tranquilla. Cosa succederà realmente questo fine settimana è solo questione di ore.
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