Boys don’t cry, un processo…

…che oggi ci porta a Roma, Manifestazione nazionale per la giornata internazionale contro la Violenza di Genere.

Prendiamo parola dopo un’esperienza che è stata per noi assolutamente arricchente, un respiro pulito che si è aperto un varco nell’ inquinamento sociale (e atmosferico!) tossico, una scommessa che guarda al futuro, ma da lanciare nel presente.

La narrazione della violenza di genere assume sempre più facilmente quella della violenza maschile sulle donne. Per quanto non ci ritroviamo in una lettura che non restituisce la reale dimensione della violenza di genere che colpisce tutti i generi oppressi e quindi donne bio e non e tutte le persone queer e LGBTQIA+, non possiamo non fermarci a riflettere che, quando un’espressione diventa di uso comune, per quanto fuorviante, racconta una buona fetta di realtà.

In questa crepa abbiamo deciso di tuffarci.

Questo testo non sarà un’analisi ortodossa della questione.
La complessità della scommessa che abbiamo buttato sul piatto non permette di stilare un testo riconoscibile in una sola forma, saranno le molteplici forme che ha preso questo lavoro in itinere a rappresentare la sostanza del nostro ragionamento, condiviso con chi abbiamo lavorato.

Che cosa s’intende per virilità?
La virilità tende ad essere definita più in termini negativi (ciò che un uomo non è) piuttosto che in termini pro-positivi (ciò che un uomo è). La virilità è quindi per l’uomo l’espressione del suo potere e della sua azione dominante nel mondo, se non sei virile non sei uomo. Da qui il principio dell’ antifemminilità, che, unito a quello della “naturale” subordinazione del femminile rispetto al maschile, è il centro dell’idea contemporanea e storica di maschilità.

Su cosa si basa la mascolinità?
Per chiarezza terminologica, il termine italiano mascolinità incarna lo stereotipo dell’uomo possessivo, forte, protettore della e superiore al* propri* compagn*, capo famiglia.

L’omofobia rappresenta uno dei principi fondatori della mascolinità. Il timore di essere considerati omosessuali (quindi non “veri” uomini ma “femminucce”) spinge gli uomini a mettere in atto comportamenti e atteggiamenti esageratemene “virili” o considerati tali perché non venga messa in dubbio la loro virilità.

La stessa omofobia-misoginia presente in alcune dinamiche omosessuali riflette un uguale principio, rendendo discriminati tra i discriminati tutti quegli omosessuali, bisessuali e pansessuali che non rispecchiano i modelli di machismo e maschilità.

In una società che si definisce moderna, all’avanguardia e libera, continua a resistere e persistere una forte mentalità patriarcale dove il modello dell’uomo “che non deve chiedere mai”, passateci la citazione da 4 soldi, rimane forte punto di riferimento per giovani e uomini adulti, a prescindere dal genere.

Il problema nasce quando questa mentalità patriarcale stride con una società dove la donna, o chi oppress* per il suo genere, ha accesso molto più di prima al mondo esterno all’ambiente familiare o domestico.
Con tutte le analisi critiche che possiamo e dobbiamo fare su quanto la femminilizzazione del lavoro nel mondo occidentale sia stata e sia un laboratorio di sfruttamento, sul fatto che il lavoro di cura da parte delle migranti e delle persone meno abbienti sostenga questa femminilizzazione del lavoro, sul fatto che le donne e le persone LGBTQIA+ sopravvivano ad una società fatta per mantenere la loro posizione di insubordinat*, di fatto, pensando al nostro Paese, come si suol dire, i tempi sono (poco) cambiati e le maggiori possibilità di realizzazione o speranze di realizzazione anche al di fuori della famiglia, portano un cambiamento sociale grosso.

L’uomo che per sentirsi tale pensa di dover performare il ruolo del compagno geloso, possessivo, deciso e decisivo, potente … non trova spesso terreno per concretizzare questo traguardo, e , nonostante oggi esso venga chiamato a relazionarsi con molte sfumature dell’essere maschile o femminile, differenti dal maschio alfa e all’uomo più femminile, il conformarsi ai parametri di virilità scritti in epoche passate, continua ad essere la via più battuta.
Secondo alcuni studiosi, il tasso di suicidi commessi da uomini è il doppio di quello dei suicidi commessi da donne e può essere considerato indicatore di forte disagio e resistenza ai cambiamenti sociali.

Il processo di acquisizione dell’identità di genere può prendere varie direzioni e modalità: la pluralità di generi sempre soggetti al cambiamento ne è la prova. Il mancato riconoscimento di questa fluidità è una delle cause che genera pesanti costi individuali e collettivi in termini di violenza.

Riprendendo il ragionamento di prima, la rigidità degli stereotipi maschili e le pressioni sociali legate al concetto di uomo virile possono portare ad una totale incapacità di entrare in contatto con le proprie emozioni e con quelle dell’altr* o ad avere il timore di poterle esprimere liberamente perché questo significherebbe mostrarsi deboli e vulnerabili, caratteristiche da sempre associate al genere femminile e quindi svilenti se legate alla maschilità.

La violenza maschile contro le donne e la violenza di genere sono la diretta espressione di questa costruzione sociale rappresentata dalla mascolinità tossica che deriva dalla cultura patriarcale.

I casi di femminicidio, stalking e molestie sono in aumento. Una donna su tre nel corso della sua vita ha subito una forma di violenza, fisica o sessuale. Un uomo uccide ogni tre giorni una donna, spesso la sua partner. A questo si affianca la violenza psicologica ed economica: sono numerosissimi i casi di umiliazione e di privazione dell’accesso alle disponibilità economiche proprie o della famiglia da parte di uomini verso le proprie compagne.

A fronte della violenza di genere, inoltre, c’è una difficoltà degli uomini, autori di oppressioni e prevaricazioni, di accettare relazioni affettive e sessuali simmetriche quindi paritarie, fondate sul riconoscimento dell’Altr*.

Il ruolo della scuola e dell’educazione è fondamentale per uscire da un sistema strutturale fortemente discriminatorio e sessista che veicola poteri oppressivi creando una vera e propria educazione alla maschilità, il cui scopo è fare di ogni differenza una gerarchia di poteri e di valori nei quali il maschile eterosessuale, occidentale ,bianco, normodotato e ricco è in cima.
Oggi la scuola sembra poggiare su una pedagogia che si definisce “neutra”, ma, in realtà, distingue tra attitudini e capacità ritenute tipicamente “maschili” e “femminili”. I nostri sistemi scolastici spingono ancora le ragazze a dimostrare la loro “femminilità “ e il loro spirito di sacrificio e offrono ai ragazzi un’ educazione basata sulla razionalità e sulla forza.

Eppure, sempre più studi e studios* mostrano con chiarezza e trasparenza come una forte richiesta di conformismo e di omologazione agli stereotipi può dare origine agrosse difficoltà nelle relazioni di genere.

È necessario preparare le nuove generazioni di uomini a mettersi in discussione e ad uscire dai binari del modello sociale imposto, che sta alla base della violenza maschile sulle donne e della violenza di genere.

Il fine di questo percorso, lavoro sicuramente lungo ma necessario per essere promotore di un cambiamento a livello politico e culturale, è quello di aprire più strade possibili per consentire a bambini, ragazzi, uomini di usare uno spettro più ampio delle loro capacità emozionali e comunicative: mostrare, cioè, che esiste una varietà di modi di essere uomo, maggiormente sostenibili, per la società e la natura, permettendo loro di fare esperienza diretta della propria specifica diversità. Parliamo innanzitutto, dei processi di riflessione (e prevenzione) sui lati tossici della mascolinità: violenza di genere, omobitransfobia, limitazioni imposte dalla mascolinità stereotipata nel confronto con le donne, i propri figli e altre mascolinità, il difficile e a volte assente dialogo degli uomini con il proprio corpo.

Crediamo che la chiave per combattere la violenza di genere sia la prevenzione, e un tassello fondamentale riguarda la messa in discussione di tutt* e non solo delle persone di generi discriminati.
Riconoscere che la sopravvivenza della mentalità patriarcale è oppressione per tutt* è uno dei passi perché ciascun uomo e soprattutto l’uomo etero, bianco, normodotato, occidentale e benestante riconosca il privilegio che la società dell’accumulo (dalle prime forme nel periodo sumerico alla società capitalista) gli ha conferito.

La violenza è davvero solo maschile?
Ribadiamo, NO.
Ma finché l’uomo verrà considerato superiore e finché questa posizione sarà mantenuta solo se l’essere uomo si traduce nell’essere virile, macho e attore di mascolinità tossica, la società intera non sarà libera e continueremo tutt* ad attuare e concepire il potere come sottomissione altrui, un altr* che sceglieremo di proteggere e invece di prendercene cura e di sostenerl*, un altr* su cui avremo bisogno di imporre il nostro potere sminuendol*, schernendol*, violentandol* nell’animo quando non nel corpo chi vogliamo sotto il nostro controllo.

Permetteteci come conclusione una riflessione “personale”, vogliamo concludere questo testo come l’abbiamo iniziato seguendo un andamento a spirale centrifuga che da qui parte e continuerà ad esplorare.

Boys Don’t Cry _ Festival emancipazione al maschile :
ci teniamo a ringraziare tutte quelle realtà e singol@ che lo hanno reso possibile come Maschile Plurale, Gea interscolastica, Sessfem, le operatrici del progetto Me&You, Mauro Muscio della libreria Antigone, Le Indecorose, Rete Jin e Wissal. Ringraziamo di cuore anche tutte le persone che lo hanno attraversato con entusiasmo e che hanno deciso di accogliere un tema provocatorio come “l’emancipazione al maschile” e il grande quesito che ne consegue: può esistere un uomo senza maschilismo?

Negli anni di militanza come femministe ci siamo rese conto quanto sia difficile (con alcune eccezioni) trovare compagni (e non) che decidano spontaneamente di partire da se stessi e interrogarsi sulla loro educazione, sui loro privilegi, sul loro potere e su come la cultura patriarcale influenzi anche la loro vita e il loro modo di vivere le relazioni, siamo purtroppo testimoni anche di disinteresse e superficialità che si concretizza in una visione della lotta per la parità dei generi come una lotta di serie “B”, qualcosa che può aspettare perché c’è sempre qualcosa di più importante e rilevante.

Poi, però, iniziative come questa, come tante altre (per fortuna!), ti fanno comprendere come allargare la crepa sia davvero possibile, come siano fondamentali momenti di approfondimento e costruzione di luoghi “safe” dove poter semplicemente essere se stess* senza tabù, senza preconcetti.
Dove è possibile accogliere le differenze e metterle a valore, dove poter esprimere la propria fragilità e la propria forza a prescindere dal proprio genere di appartenenza. Ne usciamo sicuramente ricaricate, grate e cresciute!

Ci vediamo il 23 novembre al corteo nazionale di Non Una di Meno a Roma contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.
Contro la vostra violenza saremo rivolta!

De Gener Azione

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