Con le donne e le persone LGBTQIA+ in Afghanistan!

Esprimiamo la nostra totale solidarietà, sorellanza e complicità alle donne e persone LGBTQIPA+ che in Afghanistan stanno lottando e prendendo parola per non subire la violenza di un patriarcato teocratico istituzionalizzato.

La guerra che ha portato all’occupazione militare del territorio è stata combattuta anche in nome della liberazione delle donne, violentemente poste al centro di uno scontro di civiltà ideologicamente invocato per giustificare l’ordine occidentale del capitale e le sue istituzioni.

I diritti delle persone queer sono stati strumentalizzati da un Occidente che, in nome del mantenimento del suo potere coloniale, rifiuta tutto del fondamentalismo islamico, tranne, nei fatti, l’odio verso chi non è cisgender né eterosessuale, funzionale e sistemico alle strutture capitaliste e patriarcali. Oggi le donne e le persone LGBTQIPA+ tornano al centro di un allarme internazionale che ancora le vede vittime potenziali e imminenti della più radicale subordinazione e costrizione al silenzio.

A vent’anni dall’inizio dell’occupazione, le donne e tutte le libere soggettività rischiano di essere ancora costrette nella posizione di oggetti dell’arbitrio e della violenza maschile ed è cancellata continuamente la loro esperienza di lotta, la loro libertà e autodeterminazione che in molti modi hanno fatto valere prima, durante e dopo la guerra.

La resistenza delle donne in quei territori é un atto di ribellione che riguarda corpo e mente: dalla distribuzione, di nascosto casa per casa, di burqa e assorbenti a chi non li ha e rischia per questa ragione di suscitare la ferocia dei talebani, alla nascita di scuole clandestine per l’istruzione delle donne, alla lotta per l’autodeterminazione di tutte fatta di scambi e condivisione casa per casa.
Questa Resistenza deve essere al centro della nostra più convinta presa di posizione dalla parte di chi oggi in Afghanistan non accetta e non ha mai accettato di restare subalterna né ai talebani, né alle potenze coloniali che hanno occupato il paese dalla Guerra Fredda a oggi. La stessa minaccia di subordinazione e cancellazione delle lotte delle donne la vivrà la comunità LGBTQIPA+ locale, che conosce bene la violenza omolesbobitransfobica prodotta dall’interazione di sistemi legislativi, culturali, economici e politici fascisti, nazionalisti e queerfobici.

Murales della street artist afghana Shamsia Hassani

Noi sappiamo che quando il patriarcato si serve della religione si manifesta nelle forme più violente, fondamentaliste e brutali. Ma in questi anni di lotta e comunicazione politica transnazionale abbiamo anche compreso e affermato con tutta la nostra forza che il patriarcato è un rapporto di dominio sistemico e globale che, con diverse intensità, prende la forma di leggi e istituzioni ovunque.

Anche per questo il movimento femminista e transfemminista globale non ha mai affidato la lotta ai governi, ma ha cercato di sostenere le condizioni perché fossero le donne e le libere soggettività a far valere collettivamente e in massa la propria voce e la propria forza, attaccando uno dei pilastri fondamentali della riproduzione del neoliberalismo globale.

Quello che sta accadendo in Afghanistan è un altro tassello del contrattacco patriarcale che sta prendendo piede a livello globale. Contro questo contrattacco il primo luglio siamo sces3 in piazza come parte di una mobilitazione transnazionale contro il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul e contro una serie di politiche reazionarie che si stanno affermando soprattutto in Europa dell’Est, caratterizzate dall’attacco congiunto alle donne e alle persone LGBTQIA+.
Abbiamo detto in quell’occasione che non accettiamo la logica dello scontro di civiltà: se l’ordine patriarcale è globale, noi vediamo il legame che unisce fondamentalisti islamici e ultra-cattolici, e che costituisce un filo rosso tra le posizioni più esplicitamente nazionaliste e fasciste e le politiche neoliberali.

Anche per questo, pur consapevoli della portata oppressiva di tutte le religioni, non accetteremo nemmeno oggi che in nome delle donne e delle persone queer sia criminalizzato chiunque professa la religione islamica.

Oggi più che mai è necessaria un’alleanza femminista e transfemminista globale, capace di mettere in comunicazione i piani, le lotte e i discorsi che guidano la nostra iniziativa.
È inaccettabile che la gestione e integrazione delle donne da parte della teocrazia patriarcale talebana sia utilizzata, da una parte e dall’altra, per valutare il livello di accettabilità o meno di una dittatura.
È inaccettabile che il governo italiano giustifichi gli interventi militari in Afghanistan con la motivazione della difesa delle donne.

Respingendo ogni narrazione coloniale e razzista, siamo dalla parte dellƏ sorellƏ afghane che rivendicano la loro libertà tanto contro l’oppressione talebana, quanto contro l’ordine neoliberale che si riproduce attraverso la guerra infinita, le colonizzazioni dei territori attraverso le occupazioni militari e la guerra quotidiana contro donne e soggettività anche quando rivendica di agire in nome della loro libertà.
E la pratica autonoma di questa libertà è quanto mai importante oggi, quando molti paesi dell’UE invocano i respingimenti proprio nel momento in cui migrare diventerà per chi si trova in Afghanistan una delle principali pratiche di lotta contro ogni forma di oppressione, violenza e sfruttamento.

Apriamo i confini e distruggiamo il patriarcato!

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