L’immaginario MAYDAY vent’anni dopo
Il ventennale del Primo Maggio di precari e precarie.
Si fa presto a dire MAYDAY. Nei 15 anni che è durata sembrava sarebbe durata per sempre, ora che non c’è più viene da chiedersi come sia mai potuta accadere. Sì, perché oggi sono 20 anni suonati dalla prima MAYDAY Parade milanese, percorso Porta Ticinese – Arco della Pace e due camion con le casse. Il 1° maggio 2001, qualche mese prima di Genova, grazie a ChainWorkers e al Deposito Bulk, con l’arrivo di ragazze e ragazzi di Parigi che avevano bloccato dei McDonalds e PizzaHut coi loro scioperi e la radiocronaca della compianta Letizia Mosca, che collaborava anche con la CUB.
Chi scrive odia anniversari e canonizzazioni e quindi vi risparmierò il “eravamo in quattro al bar e ci venne un’idea” (per una ministoria in inglese da passare a google translator rimando a THEORY OF THE PRECARIAT, liberamente scaricabile online). Quello di cui vi voglio scrivere è ciò per cui la MAYDAY (poi EuroMayDay e quindi Mondo MayDay) è ancora avanti a tutt* malgrado gli anni che passano, ossia la creazione di immaginario, che passava soprattutto per il lavoro di due attiviste, Zoe Romano e Chiara Birattari, co-fondatrici di ChainWorkers e della MAYDAY, e autrici dei mirabolanti poster che a confronto di quello di oggi in Piazza Castello dei sindacati di base viene un po’ di tristezza: dov’è finito il subvertising che avevamo tanto predicato ma soprattutto messo in pratica?
Il mio modo per celebrare i vent’anni del primo maggio precario milanese è decodificare i più bei poster della sua storia.
2001
Il primo poster della MAYDAY gettò scompiglio. Sembrava uscito da una linea temporale parallela: Yuri Gagarin che diceva “I SAY MAYDAY, MAYDAY” e “stop al precariato x nuovi diritti”. Il primo cosmonauta nello spazio, poi morto nel ’68 in un incidente aereo mentre sperimentava un prototipo forse per volontà del Cremlino, sembrava aver congiunto lui la Soyuz con l’Apollo e incontrati i colleghi yankee in orbita affermava un credo forse comunista forse anarcosindacalista, ma soprattutto che scardinava molte certezze ideologiche (e Andrea Lenin dette in escandescenze per profanazione di bolscevismo): un russo globale che in inglese rilanciava un festa internazionale americana – sì, perché dobbiamo le 8 ore e il Primo Maggio ai martiri anarchici di Chicago 1886, poi commemorati per sempre a partire dal 1890 grazie all’Internazionale Socialista (lo rammento ai più piccoli). Il fumetto di Yuri era irresistibile. Il suo volto sorridente e piano di contadino ucraino tornato sulla terra a bordo della navicella Vostok rassicurava e confondeva anche i più tenaci custodi della tradizione, ché a Milano il Primo Maggio era morto da tempo. E noi lo avremmo risorto. Per più di cent’anni il Primero de Mayo aveva parlato alla classe operaia, era il momento che parlasse alla classe precaria. Da 10 anni il comunismo non c’era più e il neoliberismo vincente colpiva giovani, donne, migranti, attraendoli con la flessibilità e sfruttandoli con la precarietà. Volevamo creare una tendenza conflittuale a Milano, la capitale del precariato dove le/i giovani lavoravano in supermercati e catene commerciali. C’erano il B-Team e Spazio Petardo e il mondo sembrava la nostra ostrica. Eravamo giovani belli e immortali. A Genova ci saremmo resi conto che lo stato ci voleva morti.
2004
Il primo a recare la dicitura EuroMayDay (in simultanea a Milano e Barcellona) e forse il più apprezzato e ripreso di sempre, con le donne quasi ottocentesche che ballano con la gamba all’indietro per denunciare l’innaturalità delle contorsioni imposte alla vita di precari e cognitarie (notare il polygender che presagisce la schwa, il carattere muto ə gender neutral) dal capitalismo familiare e neoliberale. Bellissima a mio modo di vedere la chiamata alle armi poliglotta, che spazia dal francese (sotto influsso delle e degli Intermittenti parigini, presenti a Milano). La dicitura Pace Paz si riferisce all’opposizione alla Guerra in Irak scatenata da Dubya Bush. Notare anche nell’intestazione la transizione da Maggio italiano, a Maig catalano, a Mayo spagnolo, May inglese e quindi Mai franco-tedesco. Ricordo un’assemblea a Gracia (ringrazio in merito il fratello Marvin Tumietto, un altro eroe maydayano le cui gesta non sono sufficientemente note, e già che ci sono Stefo Mansi, inventore del santino di San Precario in quell’anno) in cui in un catalano appreso lì per lì invitavo gli anarco-catalani a unirsi a noi, all’onda MAYDAY che attraversava l’Europa sospinta dall’ancora forte movimento noglobal, caratterizzato da un grado di transnazionalismo che oggi appare purtroppo impensabile. Ci sono i/le precari/e dei servizi e della conoscenza, quei cognitari e cognitarie preconizzate da Bifo che mixando con la fantascienza avevamo trasformato in precog, una mailing list che nel 2004-2005 unì brevemente quasi tutto il movimento italiano intorno alla lotta contro la precarietà e la sinistra sindacale e partitica inutile per difendere gli interessi dei precari. A Milano viene tutto il movimento no global italiano: Roma, Venezia, Torino, Napoli. E’ un successo politico e comunicativo: abbiamo spaccato. E’ anche l’anno in cui nasce San Precario (ricordo Frenchi e Fumagalli se no poi si offendono, ma anche Stella e Natalia) che dominerà il discorso italiano sulla precarietà fino alla crisi finanziaria.
2007
I tarocchi precari disegnati da Chiara Birattari vengono subito visti anche all’estero come un’opera di arte. La sua precariomanzia, realizzati in pregiati mazzi di tarocchi distribuiti a profusione nella Parade 2007, è tradotta in inglese (https://cartomanzia.precaria.org/index-eng.html) e pubblicata su Mute a Londra. La MayDay milanese ha introdotto nel dizionario della lingua inglese due vocaboli, Precarity and Precariat, il secondo dei quali farà la fortuna accademica di molti e sarà discusso da Davos e dall’Economist. Sì, avete capito bene, la MAYDAY ha inventato il soggetto precario, il precariato inteso come analogo del proletariato, quello che per evitare fraintendimenti io sulla scorta degli attivisti di ZAM invito a chiamare “classe precaria”, quella delle lavoratrici e dei lavoratori essenziali alla riproduzione della società come abbiamo ben visto in pandemia. Chiara rivisita le carte fatidiche dei tarocchi e le loro simbologie arcane alla luce dello sfruttamento e dell’impoverimento, dell’inganno e della coercizione della generazione precaria. Si tratta forse del culmine del subvertising maydayano che arriva qui a costruire una nuova realtà simbolica, agire sul subconscio del precariato, la sua dimensione iconica e irrazionale per spingere alla rivolta, ma al tempo stesso compie una dissezione quasi aristotelica della diverse forme di precariato: l@ stagista, la pulitrice, il n politico-sindacale che dice solo parole vuote, l’Appeso (la mia preferita, per favore non usatela per ricordare piazzale loreto è la condizione di tutt* quell* che hanno un contratto a termine), il Reddito dello Universal Basic Income e il Carro maydayano. Qui sopra riporto due che mi paiono visionarie alla luce dell’esperienza odierna: il telelavoratore incantenato dal dumbworking e il border che prima ero solo chiuso a immigrate e rifugiati, ora anche ai covidici che potenzialmente significa chiunque.
2009
Nel settembre 2008, il capitalismo finanziario va in arresto cardiaco: inizia la Grande Recessione e comincia a crescere paurosamente la disoccupazione giovanile. E’ anche l’anno che esce A in EU che propalo da un carrello della spesa durante la Parade. Il poster 2009 è fantasmagorico e una proiezione di ciò che avverrà nel prosieguo della crisi: crisi anglosassone, ascesa della Cina. Retrospettivamente, questo è il mio poster preferito: simboleggia l’otto volante della gerontocrazia finanziaria in paurosa caduta da cui saltano giù una bambina asiatica (e la crisi sarà infatti prevalentemente euro-americana) e un bambino vestito da Batman, piccolo vendicatore dei NEET lasciati a casa dalla più grande crisi del capitalismo prima del 2020 pandemico.
Il motivo cinese (la bambina taikonauta con il coniglio bianco) aveva già caratterizzato il poster EuroMayDay 005, il primo con le quattro stelle e l’anno in qui il Primo Maggio dei centri sociali milanesi si estende davvero a tutta l’Europa: Amburgo, Berlino, Parigi, Barcellona, Vienna, Maribor, Helsinki, Liegi. Le 4 stelle red, black, green, pink sono in particolare in questa EUROMAYDAY che è anche un MONDO MAYDAY, con Toronto, Osaka e altre città giapponesi. Sono il firmamento dell’immaginario rivoluzionario e anti/postcapitalista madaydano: il rosso socialista e comunista, tradizioni che entrambe celebrano la Festa dei Lavoratori, magari dedicandogli stadi come a Pyongyang, il black anarchico, della tradizione wobbly, libertaria e anarcosindacalista dell’International Workers’ Day, il verde ecologista e climattivista, e questa è la prima MAYDAY in cui viene organizzato un bellissimo spezzone NO OIL, con il SunSystem a pannelli fotovoltaici per la musica e le gambe delle e degli attivisti di San Precario e Serpica Naro sui pedali della bici e dei veicoli a pedali prestati da Critical Mass, e il pink queer femminista, la tendenza ideologica forse più prettamente identificabile con la #MayDay e che porta la rete di attivismo a incrociare le/gli attivisti LGBTQ+, dai cui gay pride la parade si ispirò apertamente fin dagli esordi. L’altro modello era sicuramente la Love Parade berlinese e sono felice che i soundsystem della mayday sono stati per tanti anni ANCHE il più bel rave diurno e all’aria aperta di Milano. Il poster relativo ritiene solo il pink, black and green del poker di stelle maydayano, come la copertina di ANARCHY IN THE EU: Movimenti Pink, Black, Green e Grande Recessione, basata sul poster MAYDAY 006. La posizione NO OIL ha un chiaro intento climattivista. A dicembre è previsto a Copenaghen il climate summit dell’ONU e le/i milanesi manderanno due pullman da Torchiera. A fine settembre 2021 è previsto il pre-summit sul clima a Milano che porterà in città ragazze e ragazzi da tutte le nazioni ONU del mondo. Climattiviste e climattivisti di tradizione maydayana (ossia pink, black, green), diamoci da fare insieme a Extinction Rebellion, Ecologia Politica, FFF per dare il benvenuto che si meritano ai ministri dei governi che sostengono le lobby fossili.
2011
Il 2011 è l’anno in cui esplode l’eurocrisi. L’euro è alle corde, la Grecia alla fame. Inizia a serpeggiare il nazipopulismo razzista e l’odio per i migranti che attaversano il mare e i confini, trovando la morte a migliaia. A febbraio scioperano compatti i/le migranti italiane/i. Comincia la cospirazione per lo sciopero precario che culminerà nello sciopero sociale del 2014 (che ricorderò in un saggio collettaneo di prossima uscita). Rappresenta la grande madre dea Durga, la divinità ha sei braccia come Kalì in cui reca i beni che servono a precari/e per fondare un nuovo welfare che faccia uscire i/le millennials da crisi, sottoccupazione, stress e alienazione: casa, reddito, ambiente, cultura, trasporti, diritto al movimento, alla rete, all’educazione. Dateci sti cazzo di euro, cristo! E’ anche il maggio in cui verrà eletto Pisapia e si tengono i referendum (poi vinti) su acqua pubblica e nucleare. In alto a sx c’è la scritta No Expo! La fiera globale l’ha portata la Moratti e i maydayani temono la spremitura a salario zero di migliaia di stagiste e stagisti disperati perché il lavoro non c’è e bisogna farsi il curriculum. L’opposizione frontale a Expo sarà il leitmotif degli anni successivi, fino alla grande e tragica MAYDAY 015, quando Milano bruciò e il movimento si spezzò. Eppure era dal 2009 che belgi e giapponesi non venivano a Milano. Vinsi la scommessa con Roberto Maggioni di MilanoX e Radiopop che la MayDay di quell’anno sarebbe andata sul telegiornale riot porn di Submedia. Milano era in apertura dell’edizione del Primo Maggio. Magra consolazione, perché tanti compagni furono arrestati e fu anche l’ultima MayFay. Aveva un bel poster, concepito da Jessica Borroni della Fornace di Rho, con tantissimi animaletti furry col viso travisato che marciavano compatti davanti al soundtruck e dietro lo striscione mayday. Lo spirito maydayano è quello: coccolosi, ma anche pericolosi quando serve.
Alex Foti
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