Mailbombing! Contro la narrazione tossica sulla violenza di genere

DENUNCIAMO LA NARRAZIONE TOSSICA DEI MEDIA CON LE PAROLE DEL PIANO FEMMINISTA DI NON UNA DI MENO.

Il momento è arrivato, facciamo sentire la nostra voce!
Ecco le indicazioni, hai tempo fino a mezzanotte!
(ricordati anche di condividere questo post per informare più persone possibile!):

Scrivi una mail con il seguente oggetto:
Non Una di Meno denuncia la narrazione tossica dei mezzi di comunicazione

E inviala agli indirizzi qui sotto:
redazione@liberoquotidiano.it
redazione.web@ilgiornale.it
rubrica.lettere@repubblica.it
redazione@huffingtonpost.it
redazione@rainews.it

Ecco il testo della lettera:

All’attenzione della redazione,

In seguito ai brutali femminicidi avvenuti nelle ultime settimane, noi della rete transfemminista Non Una di Meno prendiamo parola per denunciare la narrazione inaccettabile che voi giornalist* state presentando sulle pagine dei quotidiani, sul web ed in televisione.

Oggi più di ieri abbiamo la prova che il giornalismo italiano è complice della cultura della violenza sulle donne* perché si ostina a dare giustificazioni a tutti gli uomini che massacrano, stuprano e uccidono. Oggi siamo davanti a una vera e propria apologia della violenza di stampo mediatico.

Gli assassini vengono da voi definiti “Giganti buoni”, colti da raptus, “troppo innamorati”, uomini fragili, ubriachi o sotto effetto di psicofarmaci. Con il vostro linguaggio, empatizzate con loro e li giustificate.

La vita privata delle donne* è oggetto del vostro giudizio, la loro memoria è oltraggiata. Nei vostri articoli, mettete l’accento sulla vittima solo ed esclusivamente per colpevolizzare e deviare dal piano delle responsabilità istituzionali.

Non pronunciate la parola lesbica e se lo fate la inserite in una dimensione di anomalia. Trasformate un rifiuto in un “equivoco”. Create le attenuanti culturali verso l’opinione pubblica con sentenze che talora anticipano le difese processuali dell’assassino. Parlate di amore al posto di dominio e pretesa di controllo.

Eppure ci sono carte deontologiche che dovrebbero essere rispettate (Manifesto di Venezia 2017), Convenzioni Internazionali che dovrebbero essere attuate (Istanbul 2011), Commissioni per le pari opportunità (FNSI) che dovrebbero essere ascoltate, incontri di formazione che dovrebbero essere chiarificatori della funzione del linguaggio anche in materia di violenza.

Con le vostre parole, promuovete una narrazione tossica che alimenta il clima di odio verso le donne* e d’impunità verso i loro carnefici.
La violenza sulle donne* non è un fatto emergenziale, è un elemento strutturale della nostra società:
voi ne siete complici!

Ci rifiutiamo di accettare questa logica. La pazienza è finita, la nostra attenzione è massima: ad ogni frase che giustifica, comprende e accetta condotte violente e patriarcali risponderemo con denuncia pubblica.

Oggi più di ieri saremo il grido feroce e inarrestabile per tutte quelle donne* che più non hanno voce.

Nel 2017, abbiamo scritto il Piano Femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere che opera un’analisi di tutte le forme in cui essa si realizza.

La narrazione mediatica della violenza informa la percezione collettiva, spesso interagendo anche con i meccanismi giudiziari.
Denunciamo quindi il ruolo strategico che i mezzi d’informazione svolgono nell’alimentare o contrastare la violenza maschile contro le donne.
Vogliamo prevenire la violenza con una narrazione femminista e transfemminista.

Il Piano parla chiaro:
• La violenza è strutturale e come tale deve essere raccontata: occorre evitare di presentarla come emergenza o di trattare i fatti di cronaca come episodi privi di legami fra loro, dovuti a circostanze peculiari e fattori individuali.
• La violenza nasce dalla disparità di potere ed è strettamente connessa alla cancellazione sistematica delle donne e dei soggetti non conformi alle norme di genere: occorre promuovere un uso consapevole del linguaggio che sia rispettoso dei generi e che restituisca la storia delle donne.
• La violenza non è amore: occorre riconoscere la cultura sessista alla base della violenza smettendo di parlare di raptus, gelosia, delitto passionale, sovvertendo il frame dell’amore romantico e del conflitto di coppia.
• La violenza è trasversale: è importante dare spazio a tutte le tipologie di violenza patriarcale/eterosessista, evitando di concentrarsi sulle forme ritenute più “notiziabili”, perché eclatanti, come il femminicidio, o perché rappresentate come scabrose, come gli abusi sessuali.
• La violenza non riguarda gli altri: evitiamo di esorcizzarla raccontandola come agita da uomini che appartengono ad altre, e più “primitive”, culture, ad ambienti “degradati”, perché ciò crea allarme sociale e una percezione distorta del fenomeno, strumentalizzandolo in chiave razzista, repressiva e securitaria.
• La violenza avviene principalmente in famiglia e nelle relazioni di prossimità: è necessario sovvertire la logica per cui fanno più notizia le aggressioni nella sfera pubblica per mano di sconosciuti, la stessa per cui serie TV, film e prodotti fictional alimentano il mito del pericolo che viene da “fuori”
• La violenza avviene anche nella sfera pubblica: però si tratta più spesso di illuminati luoghi di lavoro, sale parto e centri di identificazione e espulsione che non di buie strade cittadine.
• La violenza non è spettacolo: è necessario, soprattutto per i media visivi, evitare di normalizzarla, estetizzarla o feticizzarla trasformando corpi vessati e cadaveri in oggetto di contemplazione (erotica).
• Le donne al centro: occorre fare riferimento a CAV e associazioni femministe come fonti principali di informazione, seguendo modalità rispettose nell’interazione con donne che hanno subito violenza.
• Le donne non sono vittime passive, predestinate, isolate: bisogna evitare di riprodurre lo stereotipo vittimizzante e promuovere invece il racconto di donne resistenti contro la violenza, di reti di solidarietà transfemministe.
• Chi subisce violenza di genere non ne è mai responsabile: va evitata qualsiasi forma di “rivittimizzazione”, ad esempio insinuazioni sull’incapacità di sottrarsi a una relazione violenta o sulla vittima/sopravvissuta che “se l’è cercata”, per via di condotte “imprudenti” (che disciplinano i soggetti femminili e ne limitano l’autodeterminazione).
• La violenza non divide tra “donne per bene” e “donne per male”: dipingerla come rischio cui sono più esposte donne che si prostituiscono, persone dalle identità sessuali “non conformi” o semplicemente donne non in linea con la femminilità normativa significa, di nuovo, rivittimizzare e disciplinare chi ha subito la violenza.
• Gli uomini che agiscono violenza non sono mostri, belve, pazzi, depressi: occorre evitare la patologizzazione dell’uomo violento, che ancora una volta individualizza il fenomeno e deresponsabilizza l’autore di un delitto o di una violenza.

Gli uomini violenti sono nati, cresciuti e protetti in un contesto culturale che giustifica questi comportamenti e li perpetua. Gli uomini violenti non hanno niente di malato, sono i figli sani del patriarcato.

(Donne* comprende tutte le soggettività violate LGBTQIA+)

Grazie per l’attenzione
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