Nuovo naufragio a largo delle coste libiche

È una donna, si chiama Josephine, è originaria del Camerun. È stata trovata a pancia in giù attaccata a una tavola, quello che resta del fondo del gommone su cui viaggiava insieme ad altre decine di persone. Ha aspettato per due giorni che arrivassero i soccorsi, con i vestiti bagnati attaccati alla pelle, poi alle 7.30 di mattina del 17 luglio, dal ponte della nave Open Arms, a 80 miglia dalla Libia, qualcuno ha visto i resti del gommone.

Un soccorritore spagnolo di 25 anni, Javier Filgueira, si è buttato in acqua dalla lancia di soccorso quando ha visto che Josephine poteva essere ancora viva. L’ha raggiunta a nuoto tra i detriti sperando che non fosse uno sforzo inutile. “Quando le ho preso le spalle per girarla speravo con tutto il mio cuore che fosse ancora viva”, racconta Filgueira, un volontario di Madrid, ancora scosso.

“Dopo avermi preso il braccio, non smetteva di toccarmi, di aggrapparsi a me”, racconta il ragazzo. Era viva Josephine e lo ha guardato negli occhi come per supplicarlo, poi gli ha preso il braccio, lo ha stretto. Altri soccorritori sono arrivati a prenderla per trasportarla sul gommone di soccorso. L’hanno sollevata e portata sulla lancia, al sicuro. Almeno lei ce l’ha fatta. Gli occhi di Josephine guardavano nel vuoto, mentre una volontaria le teneva la testa e provava a riscaldarla. È stata portata a bordo della nave spagnola con la diagnosi di ipotermia.

La temperatura del corpo stava scendendo così tanto che se i soccorsi avessero tardato ancora non ce l’avrebbe fatta. Come non ce l’ha fatta un bambino di circa cinque anni che è morto per ipotermia a fianco di una donna, presumibilmente sua madre. Anche lei è stata trovata morta ricurva su una tavola, la pelle delle braccia bruciata dal gasolio fuoriuscito dalle taniche del gommone su cui viaggiavano. Per loro non c’è stato niente da fare. Il corpo del bambino senza vita e quello della donna che gli è stata trovata a fianco sono stati portati a bordo della Open Arms e giacciono sulla prua della nave avvolti in due sacchi bianchi. Per la dottoressa di bordo Giovanna Scaccabarozzi la donna era morta da diverse ore mentre il bimbo era deceduto da poco. Nessun dettaglio per il momento su cosa sia successo agli altri passeggeri del gommone.

Omissione di soccorso?
Riccardo Gatti, portavoce dell’organizzazione Proactiva Open Arms, ricorda che il 16 luglio, mentre era al timone del veliero Astral, navigando nel canale di Sicilia, per tutto il giorno ha ascoltato alla radio una conversazione tra un mercantile e la guardia costiera libica, parlavano di due gommoni in difficoltà a circa 80/84 miglia dalle coste libiche.

Il mercantile Triades diceva di essere stato allertato dalla guardia costiera italiana e chiamava la guardia costiera libica per intervenire in soccorso dei gommoni. Le imbarcazioni con i migranti a bordo sembravano partite da Khoms, una città a est di Tripoli. La conversazione tra il mercantile Triades, diretto a Misurata, e la guardia costiera libica è andata avanti per molte ore. I volontari della Open Arms hanno ascoltato la conversazione alla radio.

Poi in serata la guardia costiera libica ha detto al mercantile di ripartire perché sarebbero intervenute le motovedette libiche. “Quello che ipotizziamo è che i libici siano intervenuti, ma non riusciamo a spiegarci cosa sia successo perché abbiamo trovato i resti di un gommone affondato, due morti e solo un sopravvissuto”, dice Gatti. “Non sappiamo che pensare: chi ha distrutto i gommoni in questo modo? E perché queste persone sono state lasciate morire di freddo attaccate a una tavola?”.

di Annalisa Camilli su Internazionale

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