ALAMO Per la storia non fidatevi di Hollywood

ALAMO

Per la storia non fidatevi di Hollywood

di Paco Ignacio Taibo II

 

 

 

Giovedì 27 settembre 2012
Università degli Studi di Milano
Via Festa del Perdono 7
ore 16.30
aula 422

interverranno
Paco Ignacio Taibo II, autore
Massimo De Giuseppe, docente di storia contemporanea presso lo Iulm di Milano ed esperto di America Latina

Segui la diretta su twitter @lapsustoria #alamo

La battaglia di Alamo – avvenuta nel 1836 tra i messicani e 200 coloni texani per l’indipendenza del Texas – rappresenta uno di quei miti che negli Stati Uniti hanno dato un senso nuovo al concetto di nazione e all’impero che da questo sarebbe derivato. Per il Messico è stata solo una vittoria da riportare, senza grande enfasi, in una delle tante pagine di storia. Ma cosa è successo realmente? Perché una battaglia, che è stata una sconfitta, concentra il significato profondo di tutto l’impero nordamericano?

Paco Ignacio Taibo II ricostruisce minuziosamente i fatti e ci racconta le bugie, gli inganni e tutto ciò che è stato usato per creare una leggenda. Smonta questo mito della libertà e dell’indipendenza statunitensi, dimostrando come l’eroismo su cui si basa, nasconde molte menzogne. E alla fine riconduce la battaglia di Fort Alamo, famosa per la versione hollywoodiana con John Wayne, a ciò che è stato: un mito militare e profondamente imperialista. Perché al di là della retorica statunitense del “hanno lottato per darci la libertà, questo è tutto ciò sapere”, c’è molto altro da conoscere.

“La battaglia di Alamo è il vero cuore del progetto imperialista degli Stati Uniti. Non Washington, non Lincoln, ma Alamo. Un progetto incredibilmente basato non su una vittoria, ma su una sconfitta. Il lettore si appassionerà tanto come è successo a me mentre lo scrivevo.” Paco Ignacio Taibo II

L’introduzione del libro, di Paco Ignacio Taibo II

Sorpresa. Al contrario di quanto si pensi o possa sembrare, il mito fondante degli Stati Uniti d’America non si basa sui pellegrini del Mayflower che scambiavano tacchini con i nativi, o sulle immagini di George Washington che attraversa il Delaware durante la Guerra di indipendenza; così come non risiede nel discorso di Gettysburg pronunciato da Lincoln e neppure nell’inno dei marines che combattono in Iraq o in Afghanistan. Con mio grande sconcerto, ho scoperto gradualmente, addentrandomi nei meandri di questa storia, che la chiave risiede in un’unica parola: Alamo.
Il mito essenziale, la pietra angolare statunitense, che si tramanda nell’educazione e si riproduce all’infinito attraverso la pubblica istruzione, la verità vera – che per gli statunitensi è spesso sancita dai mass media – ha le sue fondamenta nella battaglia di Fort Alamo, El Alamo.

È curioso ma risiede proprio lì l’essenza, il number one, il cuore perverso del Nordamerica. E, altrettanto curiosamente, si tratta di un mito in principio texano – e solo per estensione statunitense -, di un mito creato sopra una schiacciante sconfitta e – questo non è affatto sorprendente – di un mito militare, profondamente imperiale. Un mito per di più che ha gettato le basi su una formidabile catena di menzogne.
È nei difensori di Fort Alamo, e le loro eroiche morti citate mille volte, che milioni di statunitensi individuano l’essenza della nazione, e da cui tanti dei loro governanti traggono il senso e gli obblighi dell’impero.
Perché e come questa poderosa allegoria è stata costruita? Cosa c’è dietro Alamo? Chi ha reinventato la battaglia del Forte?

Sul sito internet dell’Alamo Memorial si legge: “Senza Alamo il Texas non sarebbe mai esistito. Senza il Texas, l’espansione a ovest degli Stati Uniti non avrebbe avuto esito, e senza il West, gli Stati Uniti si sarebbero limitati a costituire una potenza atlantica, e non avrebbero potuto innalzarsi a potenza mondiale. Senza gli Stati Uniti come potenza planetaria, il mondo come lo conosciamo oggi non esisterebbe”. E questo lo dicono congratulandosi, senza neppure pensare che l’idea del mondo come lo conosciamo oggi non rappresenta un’immagine così gradita per milioni di cittadini nel mondo.

Ma davvero la battaglia di Alamo riveste un’importanza trascendentale nella storia mondiale? Cosa accadde ad Alamo in grado di produrre, con il trascorrere degli anni, una così abbondante quantità di materiali mitologici? Di cosa stiamo parlando?
L’avvenimento in sé è scarno: una piccola battaglia durata appena un’ora, culmine di un assedio di nove giorni, dove una guarnigione di circa 200 indipendentisti, presumibilmente texani, furono massacrati da 1500 soldati messicani agli ordini del generale Santa Anna, il 6 marzo 1836.
Come ha dovuto riconoscere lo storico Stephen L. Hardin, uno dei più autorevoli ricostruttori della storia, “Alamo e i suoi difensori fanno parte del folklore statunitense”, ed è da qui che occorre partire.

Ciò che rende affascinante Alamo non è il fatto in quanto tale: è il labirinto di versioni che si forma durante la strutturazione del mito, le immense zone di nebbia rischiarata da menzogne o mezze verità. E così per oltre 150 anni. Michael Trzecinski all’Alamo Forum ha dichiarato: “Una controversia della durata di centosessant’anni è fantastica!”. E aveva le sue ragioni; è fantastica nel doppio senso che tale parola possiede: meravigliosa e piena di fantasia.

Nel 1881 in Il canto di me stesso il poeta Walt Whitman, che non era mai stato in Texas, scrisse: “Ora racconto cosa ho saputo in Texas nella mia prima giovinezza / (Non racconterò la caduta di Alamo / Nessuno si salvò per raccontarla / Quei centocinquanta di Alamo giacciono muti laggiù)”.
Quattordici anni dopo, nel 1895, Stephen Crane (l’autore del capolavoro Il segno rosso del coraggio) cadde nella trappola del mito di Fort Alamo e scrisse: “È il maggior memoriale al coraggio che la civiltà si sia permessa di innalzare”.
Il poeta Robert Frost passò da San Antonio tra il 1936 e il 1937 e scrisse in una lettera: “Sto approfondendo la storia del Texas e non voglio essere disturbato da nessuno tranne i fantasmi di Goliad e Alamo”.
Lo scrittore John Steinbeck, in Travels with Charley in search of America (1962), ammetteva di non aver visitato il Memoriale, ma dedicò un paio di righe alla questione: “La gloriosa difesa fino alla morte di Fort Alamo contro le orde di Santa Anna è un dato di fatto. Le coraggiose bande di texani certamente strapparono la loro libertà al Messico, e libertà è una parola sacra”.

L’offensiva letteraria era poderosa, ma il lancio massiccio della leggenda non sarebbe avvenuto a opera della letteratura bensì del cinema e della televisione. Il regista John Ford mise in bocca a un giornalista (in L’uomo che uccise Liberty Valance) la seguente frase: “Questo, signori, è il West. Quando la leggenda si trasforma in fatto, si pubblica la leggenda!”. Seguendo questa linea verranno prodotti decine di film e documentari. Il risultato è stato una commedia degli equivoci degna di Pirandello o di Il tempo delle canaglie di Lillian Hellman, scegliete voi.

E in mezzo a tutto questo, ci sono alcune cose che vengono solitamente dimenticate ma non sarebbe male ricordare. La vittoria degli indipendentisti texani fu plasmata nella loro prima costituzione, dove si legalizzava la schiavitù, da tempo vietata dalle leggi messicane, e si permetteva ai nuovi immigrati di portare con loro gli schiavi neri. Altro motivo che fomentò la rivolta texana fu la terra e non solo per abitarla e renderla produttiva. E, un ulteriore fattore di distorsione storica è l’idea propagandata da storiografi e cronisti del XIX secolo secondo la quale la guerra del Texas avrebbe dato impulso al progresso. Non sono immuni dal peccato anche gli sventurati testi successivi di Engels e Marx sulla guerra del 1847 tra Messico e Stati Uniti. Pericolosa idea, questa che vorrebbe il progresso economico equivalente allo sviluppo sociale, qualunque sia il costo da pagare.

Sotto la pressione della ricostruzione eroica e l’elaborazione del mito, nel corso degli anni il dibattito è impazzito; centinaia di storici, dilettanti e professionisti, hanno apportato le proprie versioni; molti di loro con un certo talento, passione per la verità, capacità critica; altri, invischiati in luoghi comuni, superficialità e mezze verità.
Nelle biblioteche statunitensi ci sono migliaia di libri su El Alamo e la guerra del Texas: circa cinquemila titoli tra studi storici, materiale documentaristico, fiction, fumetti e libri per ragazzi. E questo senza contare film, documentari, dibattiti, spazi virtuali, quadri, murales e incisioni. In Messico, al contrario, nel motore di ricerca delle librerie Gandhi, la catena libraria più grande di Città del Messico, la parola “Alamo” offre come risposta libri di Antonio Alamo.

Spesso una menzogna è solo una verità raccontata male, ma in questo caso la grande menzogna nascondeva le verità. La ragione di scrivere questo libro è stata aprire la porta di questa inquietante storia a più lettori possibili. Raccontare la storia dalla una prospettiva diversa (e non per questo meno critica rispetto alla partecipazione messicana).
Una canzone alla fine del film di John Wayne dedicata a Fort Alamo raggiunge il culmine nella frase: “Lottarono per darci la libertà, e questo è tutto quello che abbiamo bisogno di sapere”. Niente di più lontano dalla realtà. Nella vita è molto quello che abbiamo bisogno di sapere. Molto di più.

 

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