Arrestato un pm antimafia che però indagava sui centri sociali!
Arrestato stamattina dai carabinieri il pm del tribunale di Roma, Roberto Staffa. L’arresto è stato ordinato dal gip di Perugia su richiesta della procura competente per inchieste che riguardano magistrati romani. I reati contestati sono di concussione, corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio e sarebbero legati a favori fatti dal magistrato in cambio di sesso.
Staffa era arrivato alla procura di Roma una quindicina di anni fa dalla corte d’assise di Venezia che presiedeva nel ’97 quando condannò a 19 anni l’ex boss della banda del Brenta, Felice Maniero per 9 omicidi. La sua prima inchiesta importante nella Capitale fu quella sugli aborti clandestini nella clinica degli Spallone, Villa Gina. Come magistrato della Dda distrettuale, invece, si stava occupando di una strana indagine ai danni di un attivista molto noto, soprattutto nel Quarto municipio, a nordest della Capitale.
Luca Blasi, appena 48 ore fa, s’è visto recapitare una comunicazione da Piazzale Clodio per il ritiro di alcuni documenti. E lì, nella cittadella giudiziaria, Blasi è venuto a conoscenza delle attenzioni della procura antimafia, la Dda, nei suoi confronti basate su delle informative dei carabinieri di zona che, a detta dei legali di Blasi, sarebbero infarcite di imprecisioni e falsità sul giovane attivista.
Trentuno anni, padre di due gemelli, per Blasi viene chiesto un anno di domicilio coatto e la sorveglianza speciale sulla base di un’informativa che lo descrive come socialmente pericoloso. L’elemento principale su cui puntano i carabinieri per sostenere la proposta di sorveglianza speciale starebbe nel fatto che Luca non lavorerebbe e quindi si sostenterebbe per mezzo di attività criminose. Niente di più falso, Luca, incensurato, lavora continuativamente dal 2003 con contratti regolari. E se ha delle denunce le ha prese nell’ambito del suo lavoro sociale attività pubblicamente, coi suoi compagni. Questa per i carabinieri di Montesacro parrebbe un’aggravante tanto che avrebbero scritto delle falsità anche su alcuni compagni di Blasi affibbiando loro condanne inesistenti per devastazione e saccheggio. Una vicenda inquietante in un quartiere dove, negli ultimi mesi, s’è registrata l’escalation di violenza che caratterizza lo sbarco di Casapound in un territorio, uno dei loro leader è stato condannato a 2 anni e 8 mesi per il pestaggio di un giovane del Pd. E Luca e i suoi compagni hanno subìto anche le attenzioni dell’estrema destra.
Perché un pm della Dda e i carabinieri di zona si occupano così a lungo di un militante che agisce alla luce del sole? Il 6 febbraio è fissata l’udienza per Blasi, c’è qualche altro pm disposto a sposare questo teorema?
Dal quartiere arriva una prima presa di posizione da parte delle strutture di movimento (Csa Astra 19, Palestra Popolare Valerio Verbano, Lab! Puzzle, Assemblea di Medicina): «Luca è un nostro compagno e amico, ma soprattutto è un cittadino come tanti che quotidianamente si impegna nel sociale e in politica dal basso. Luca sono dieci anni ormai che è protagonista di tante battaglie in IV municipio e a Roma, dal diritto all’abitare alla cultura per tutti, dall’antifascismo allo sport popolare: quando ha cominciato era appena uscito dal liceo e studiava agraria, ora è padre di due gemelli, ha costruito una famiglia e lavora come operatore sociale nei campi rom e con persone con disabilità. Luca ha svolto sempre la sua attività alla luce del sole a volto scoperto e pubblicamente, incorrendo anche in denunce, come tanti e tante di noi, quando ha deciso che una legge che produce ingiustizie diventa intollerabile e va infranta.
Disobbedire ad una legge se ritenuta ingiusta in maniera pubblica e collettiva non ha nulla a che fare con la criminalità organizzata, e questa dovrebbe essere una questione di buon senso: il racket non è uguale all’occupare una casa o a fare un blocco stradale. Quello che ci chiediamo è perché la Dda si occupi di Luca e non delle tante attività della criminalità organizzata, spesso col colletto bianco, che ormai spadroneggiano nella Capitale in particolare grazie all’attività di riciclaggio del denaro proprio all’ombra dei palazzi del potere. Crediamo fermamente che questa operazione ridicola cadrà alla prova dell’aula, ma ne cogliamo però tutta la gravità: ridurre il conflitto sociale a un problema neanche di ordine pubblico ma di delinquenza, legare le mani agli attivisti con provvedimenti spropositati e punitivi in un momenti di crisi e tensione sociale. Abbiamo poi l’impressione che colpire Luca voglia dire colpire un’argine sociale all’arbitrio dell’azione delle forze dell’ordine nei territori, un segnale d’intimidazione chiaro che rispediamo al mittente. Siamo convinti che questa ennesima vicenda si leghi perfettamente al clima repressivo contro i movimenti sociali in questa delicata fase politica e sociale con l’uso criminoso del codice Rocco, un codice fascista usato sempre più spesso per colpire chi lotta come a Genova nel 2001 fino alle piazze romane del 15 ottobre».
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