[Dalla Rete] Mutoid must stay

Mutoid Must Stayda habitat poject – di Michele Miele & Xsephone

La Mutoid Waste Company è un gruppo artistico Anarco-Punk, nato a Londra nel 1984, un gruppo dedito alla performance art, fondato da Joe Rush ‘artista visionario’ e Robin Cook ‘meccanico di enorme talento’, che insieme iniziarono a riutilizzare creativamente gli scarti della società industriale per costruire gigantesche sculture e bizzarri mezzi di locomozione. Da queste due genialità si sviluppò il nucleo storico della Mutoid Waste Company, figlia della rave culture britannica di fine anni Ottanta, che si è fatta conoscere in Italia per le sue sculture di grandi dimensioni, assemblate riciclando rottami metallici.

Influenzati da film come Interceptor e dai fumetti di Judge Dredd, si specializzarono nell’organizzazione dei party illegali a Londra, caratterizzati inizialmente dagli eclettici assortimenti musicali che spaziavano dal dub reggae al rock psichedelico, ma anche alla acid house di fine anni ’80. Sostanzialmente ispirati dalla serie TV britannica Blake’s 7, che aveva creato i Mutoids, esseri umani ricondizionati a cui era stata rimossa la personalità, i Mutoid sono diventati famosi infatti per le loro apocalittiche sculture utilizzate per spettacoli e installazioni.

Artisti visivi ed errabondi, i Mutoids hanno creste colorate e abbigliamento di origine dichiaratamente punk. Delle tribù migranti condividono la vita senza fissa dimora, lo spirito del clan, e le difficoltà, ogni volta, di trovare un luogo dove piazzare camion e sculture, tra la diffidenza della gente.

Zingari metropolitani i Mutoids, quando non lavorano il ferro, organizzavano feste rave nelle periferie urbane, in una commistione di suoni e forme rigidamente underground. Quegli stessi luoghi dove raccolgono il materiale fatto di pezzi di deriva urbana con i quali formano le loro sculture.

Come i loro amici Spiral Tribe i Mutoids hanno dovuto abbandonare l’Inghilterra dove la massiccia repressione contro ogni tipo di nomadismo e di festival spontanei li aveva messi al bando. Troveranno terreno fertile in altri luoghi, Italia e Germania ad esempio; le loro opere evocatrici di lugubri spettri di archeologia modernista adesso adornano diverse discoteche e fanno da sfondo alla loro attività di travellers della musica.

Accadeva nel 1989, quattro anni prima che la Thatcher con il CJA mettesse fuorilegge le feste rave e reprimesse duramente i travellers della musica; dopo svariate incursioni della polizia nel loro quartier generale di King’s Cross, a Londra, decidono di lasciare il Regno Unito per stabilirsi dapprima in Germania, dove raggiungono una certa popolarità per le sculture giganti composte di vecchie parti di automobili e macchinari industriali; è da allora che il gruppo intraprende il percorso del nomadismo. Non tutti però sono emigrati, parte del gruppo vive ancora in Inghilterra, spostandosi di accampamento in accampamento.

I mutoids sono praticamente sempre in tour non vivono in nessun posto fisso, girano in continuazione con la loro carovana; occasionalmente occupano gli edifici abbandonati della capitale inglese e li utilizzano come palcoscenico per i loro shows e come dimora temporanea. Finito lo show si spostano nuovamente. Per i Mutoids il viaggio è la vita, sono collegati all’esperienza rave, sono cantori suburbani di desolazioni metropolitane e fughe tecnologiche. Le persone che fanno parte del gruppo mutano continuamente; ogni volta che si spostano altri nomadi si aggregano per continuare il viaggio.

I Mutoids si professano senza padri e senza radici, assicurano che il loro modo di vivere è bello nonostante lo stupore degli increduli. La loro idea consiste nel far rivivere quello che gli altri buttano via, che siano pezzi di ferro da riplasmare o luoghi da far tornare a vivere, come le zone abbandonate dove nessuno abita più da tanto tempo, e dove invece è possibile ricreare spazi, atmosfere, relazioni.

L’ARMA DELLA TAZ

“La TAZ è un luogo liberato, dove la verticalità del potere viene sostituita spontaneamente con reti orizzontali di rapporti. Un luogo che, grazie alla sua struttura intrinseca, è in grado di sparire nel momento in cui più forte diventa il carico repressivo o l’intrusione da parte del sistema dello spettacolo, per riformarsi in un altro dove, in una altro tempo, cambiando nomi e apparenti identità ma sapendo mantenere la propria radicale alterità” (Bey, 1993).

TAZ (Bey, 1993) si è inserito con forza nel dibattito cosiddetto “cyberpunk” ponendo all’attenzione generale alcuni temi forti e radicali. Ed è in queste categorie più radicali che si evince l’attitudine volta alla trasformazione. La prima di queste è il “nomadismo psichico” , inteso come abbandono delle appartenenze familiari, nazionali, geografiche, di gruppo politico, di identità rigidamente intese come appartenenza esclusiva in senso ideologico, alla ricerca di nuove possibilità nella costruzione di rapporti umani e nei confronti del potere.

In un’epoca in cui la velocità e il “feticismo della merce” hanno creato una tirannica falsa unità culturale che tende a levare tutte la diversità e l’individualità culturale cosicché “un posto vale l’altro”. Questo paradosso crea “zingari”, viaggiatori psichici spinti dal desiderio o dalla curiosità, vagabondi non legati a nessun particolare tempo o luogo in cerca di diversità e di avventura… Questa descrizione non copre solo le classi di artisti ed intellettuali, ma anche lavoratori migranti, rifugiati, “senza casa”, turisti, la cultura del motorhome e della casa mobile, e finalmente include i ravers e i mutoid; i nuovi nomadi e pirati metropolitani.

Microcosmo del “sogno anarchico” di una cultura libera, la TAZ è la tattica migliore con la quale lavorare verso quello scopo, sperimentando nel contempo alcuni dei suoi benefici qui e ora. Per provare la libertà non possiamo aspettare che tutto il genere umano ne sia coinvolto, sarebbe come definirci sconfitti. “Dobbiamo attendere che il mondo intero venga liberato dal controllo politico prima che uno solo di noi possa dire di conoscere la libertà?” (Bey, 1993) Logica ed emozione si uniscono nel condannare una tale supposizione e la ragione insinua che uno non possa lottare per ciò che non conosce.

L’ultimo pezzo di terra non di proprietà di alcuna nazione-stato fu ingoiato nel 1899. Il nostro è un secolo senza “terra incognita”, senza una frontiera. Non un centimetro della terra esiste senza polizia o tasse … in teoria. Eppure proprio perché la carta geografica è un’astrazione, non può coprire la terra con precisione 1:1, immensità nascoste tra le pieghe sfuggono al righello; la mappa non è accurata, la mappa non può essere accurata.

Nell’era della riproducibilità tecnica, l’autoproduzione cioè il completo controllo di certi processi comunicativi, della stampa e della distribuzione, costituisce un mezzo di sopravvivenza oltre che un modo di produrre cultura. Questa produzione si fonda sulla propria forza lavoro e nell’arte d’arrangiarsi, favorendo la nascita di un linguaggio e di una struttura organizzativa diversa, cellulare, informale consentendo la diffusione di una comunicazione altra. “Nomadismo psichico come tattica: questi nomadi praticano la “razzia”, sono corsari, sono virus; hanno bisogno e voglia di TAZ, campi di tende nere sotto le stelle del deserto, interzone, oasi fortificate lungo carovaniere segrete, parti di giungla e di pianura “liberate”, aree proibite, mercati neri e bazar sotterranei” (Bey, 1993).

Concretamente parlando le comunità come i mutoid possono essere considerate fini a se stesse, ma, teoricamente, potrebbero essere considerate come forme di lotta verso una realtà diversa. Sono “isole nella rete”.
“Sparse attraverso la rete erano isole, remoti nascondigli dove le navi potevano venir rifornite di acqua e cibo. Alcune di queste isole sostenevano “comunità intenzionali”, intere mini società che vivevano coscientemente al di là della Legge e decise a rimanerci, anche solo per breve e felice esistenza. Fuggendo dagli odiosi “vantaggi” dell’imperialismo; quali schiavitù, servitù, intolleranza e razzismo, dalle torture del servizio militare forzato o dalla morte vivente delle piantagioni, i bucanieri adottarono costumi indigeni, si sposarono con caraibici, accettarono neri e spagnoli come pari, rigettarono ogni nazionalità, elessero democraticamente i loro capitani e ritornarono allo “Stato di Natura””(Bey, 1993).

Legato al bisogno di apertura e orizzontalità la T.A.Z. desidera evitare “mediazioni” per sperimentare la sua esistenza come immediata, istantanea. “La vera essenza dell’affare è il “petto a petto” come dicono i sufi, o il “faccia a faccia”. Nelle crepe, interstizi aperti dallo sgretolamento della geografia dei media e dello stato, Bey suggerisce di filare una tela per contribuire alla zona temporaneamente autonoma . Una tela per cucire i canali della comunicazione.

Questa tela che emerge negli interstizi e nelle sezioni strappate della Rete (intesa, come la totalità del trasferimento di informazioni e comunicazioni) si rende visibile o si manifesta in forma non ufficiale attraverso una certo tipo di produzione culturale legata alle sottoculture: l’autoproduzione.

Le autoproduzioni, sono strutture con le quali i mutoid si sorreggono economicamente per assicurarsi la sopravvivenza, e soprattutto finalizzate alla generazione di spazi (fisici, temporali, dell’immaginazione) dove produrre in modo autonomo cultura, intrattenimento, divertimento e aggregazione tenendo in considerazione la partecipazione delle tecnologie a questo processo. Le autoproduzioni sono come il fiato e linfa vitale della Mutoid Waste Company, reale nel tempo e nello spazio, e sono proprio queste autoproduzioni a intrecciare e rinforzare i fili della tela. E’ infatti proprio questa tela a dare supporto ed esistenza alla Mutoid W.C. nello spazio informatico e nel mondo reale.
La tela è anche capace di trasportare l’informazione o di difendere una T.A.Z. rendendola invisibile costituendosi quindi in strategie d’attacco. La tela non dipende per la sua esistenza da nessuna tecnologia computer. I flyers, il passaparola, la rete marginale di fanzine, i manifesti e i graffiti, le “catene telefoniche”, la circolazione dei soggetti nella geografia della città o nella mappa della rete sono sufficienti a costruire un’intelaiatura d’informazione.

La trasformazione dei rottami richiede una notevole quantità d’attrezzature, a cui si affianca l’esperienza ventennale dei componenti del gruppo, che hanno dato vita alle più svariate creazioni artistiche: sculture, installazioni, esposizioni, spettacoli di palco, parate e show di piazza, feste, musica, festival, workshop, costruzioni per il teatro, parchi di divertimento, locali pubblici e costumi per il cinema e per la moda. Un costante flusso di mutazione accompagna non solo l’ideazione ma la raccolta stessa dei materiali, la tecnica di lavorazione, l’attuazione fino alla rifinitura dei progetti.

“La TAZ è come una sommossa che non si scontra direttamente con lo Stato, un’operazione di guerriglia che libera un’area (di tempo, di terra, di immaginazione) e poi si dissolve per riformarsi in un altro dove, in un altro tempo prima che lo Stato la possa schiacciare”(Bey, 1993).

Cominciare la TAZ può richiedere tattiche di violenza e difesa ma la sua più grande forza sta nella sua invisibilità . La TAZ è perciò una tattica perfetta per un’era nella quale lo stato è onnipresente e onnipotente, eppure simultaneamente pieno di crepe e di vuoti. Infatti una delle strategie di maggiore forza risiede nell’invisibilità e nell’aleatorietà, nell’impossibilità di essere nominata perché la Storia non ha una definizione per essa.
Appena la T.A.Z. verrà rappresentata, mediata, svanirà per comparire in un altro dove sempre invisibile perché indefinibile nei termini dello spettacolo. In altre parole è una ricerca di spazi (geografici, sociali culturali e immaginativi) che siano relativamente aperti. Quest’apertura è resa anche possibile sia dalla negligenza dello Stato o delle singolarità della Società della Simulazione in cui l’informazione a seguito del suo incedere frammentato, spettacolare e veloce, finisce per favorire lo sgretolamento e la riduzione.

LA TAZ REALIZZATA

Un certo tipo di enclave libera è non solo possibile ai nostri giorni, ma anche esistente. Nel 1990 questo stravagante “collettivo artistico” fa rotta verso l’Italia e crea la zona temporaneamente autonoma di Sant’arcangelo di Romagna, che loro chiamano semplicemente la yard; la precaria Mutonia oggi è un’isola di creatività e utopia romanticamente anarchica, la più antica comune artistica dal cuore errante che sia stata registrata nel territorio.

“Arrivati a Sant’Arcangelo di Romagna non è difficile trovarli. Si deve abbandonare il paese antico, costeggiare lo stadio nuovo, superare poderi e villette, e in fondo ad una radura sterrata appaiono i loro minacciosi guardiani di ferro e piombo, con braccia di marmitte arrugginite e gambe di tubi di scappamento. Superata la “porta dei leoni” ci si trova in mezzo a una distesa di camion e roulottes, immersi in cumuli di ferraglie, panni stesi ad asciugare, e cani neri che danno il benvenuto ululando. Nel mezzo del campo, in una baracca di lamiera, con i cavi attaccati in modo improvvisato, ci sono il telefono e il fax. Quando uno dei due squilla, un campanaccio ne rimanda il segnale tutto intorno, cosicché alla fine, dopo una lunga serie di chiamate, qualcuno si decide ad uscire correndo dalla roulotte per alzare la cornetta. Da un capannone col tetto sfondato arriva il ronzio di una sega elettrica e il frastuono di una saldatrice: i Mutoids sono all’opera. Sventrano auto abbandonate, raccolgono carcasse di pneumatici, fondono alluminio e rifiuti industriali, mentre l’odore acre delle saldature si sparge nell’aria, e immense sculture nascono con i residui che circondano la città” (De Luca,1996).

A Santarcangelo, patria del teatro di avanguardia, i Mutoid ci arrivarono per partecipare ad un’edizione del festival dei Teatri, a portarli in città fu l’ex direttore artistico del Festival dei Teatri Antonio Pisani. La Romagna piacque tanto loro che decisero di stabilirvisi, dando vita al villaggio conosciuto con il nome di Mutonia che da allora, è divenuta la loro casa. La loro arte, il loro stile di vita, loro stessi, sono divenuti familiari per i santarcangiolesi e dopo 20 anni le collaborazioni col Comune e con le scuole del territorio si sono moltiplicate, allo stesso modo i legami tra le persone e con il resto dei cittadini tanto da diventare uno dei poli attrattivi del turismo locale.

La comunità negli anni è cresciuta, si è ben integrata con il paese e ormai esiste una seconda generazione di Mutoid; di bambini che oggi sono a tutti gli effetti santarcangiolesi , bambini nati, cresciuti e iscritti alle scuole elementari cittadine.

Il campo è abitato da qualche decina di persone nella stagione calda, mentre d’inverno, quando il clima è più rigido e per scaldarsi si può contare solo su qualche stufa, restano solo quelle famiglie che hanno radici stabili a Santarcangelo. “La città e il consiglio comunale – fa sapere Giovanni Razzani, responsabile delle relazioni esterne del Comune – hanno sempre tutelato il gruppo di artisti che ha dato loro tanto. Solo per citare alcune iniziative ha dato vita a laboratori per il riuso dei materiali riciclabili e a progetti nelle scuole. A riprova del legame di amicizia e della convinzione che i Mutoid possano rappresentare anche un’opportunità di promozione per il turismo locale, il Comune ha dedicato loro una pagina dello IAT, il servizio informazioni e accoglienza turistica.

“Siamo noi che viviamo nel presente condannati a non sperimentare mai autonomia, a non stare mai per un momento su di un pezzo di terra dominato solo dalla libertà?” (Bey, 1993) Dicono di loro stessi: “Il campo è un luogo unico, allo stesso modo fuori e dentro le regole, ci consente di vedere altri orizzonti, di scoprire nuove cose ed è bellissimo che un luogo così possa essere considerato una parte di una piccola città quale è Santarcangelo e che i suoi abitanti lo vivano di fatto come una parte della città”.

Il campo è un “caso unico” e come tale va trattato, perciò ogni formula burocratica che cerchi di individuarne i confini sta stretta, non è un campeggio (eppure le persone vivono dentro caravan o costruzioni temporanee che somigliano più ad opere d’arte che a case ), non è un campo Rom ( eppure le persone che vi risiedono non sono sempre le stesse e magari non si stanziano tutto l’anno) non è certo un quartierino di case a schiera, insomma, il Comune di Santarcangelo in questi anni si è mosso nelle sedi opportune e ha cercato di risolvere il problema per trovare una soluzione teoricamente non facile e che coinvolge diversi enti, per tenere a Santarcangelo il Campo Mutoid come un Luogo dell’Arte.

Per La Mutoid Waste Company Santarcangelo di Romagna è solo una “sede” . Il nome stesso della compagnia riassume la filosofia di vita dei suoi componenti: da rifiuti inorganici di diverso tipo quali ferro, plastica, gomma, fibra di vetro, alluminio, rame e ottone prendono vita nuovi percorsi e modi di vivere la vita.

L’essenza della tribù è questa: faccia a faccia, un gruppo di umani sinergizzano i loro sforzi per realizzare desideri muti, che siano la danza, l’allegria, la conversazione, le arti della vita; forse anche il piacere erotico, o per creare un lavoro artistico in comune o “per raggiungere il vero trasporto della gioia – in breve un “unione di egoisti” (come la mise Stirner) nella sua forma più semplice – oppure nei termini di Kropotkin, una spinta biologica di base verso il “mutuo soccorso” (Bey, 1993, pag.21).

Leggo un’intervista a Andy sul fatto quotidiano: arrivato al campo nel 1993 dalla Scozia, aveva 23 anni e in tasca una laurea appena conseguita. Oggi è noto soprattutto per essere il leader dei Rock’n’roll Kamikaze e fino a 3 anni fa degli Hormonauts. “Quella è casa mia – afferma – Da quando siamo arrivati la legge è stata cambiata più volte sotto i nostri piedi o sotto le nostre ruote, dovrei dire, visto che viviamo in roulotte. Prima il villaggio era in un terreno privato, poi è passato al Comune, che ci deve mandare via perché una persona sola non ci vuole. Noi non facciamo casino, di rave non se ne organizzano da 10 anni e abbiamo fatto tutto ciò che c’era da fare per cercare di rendere il campo a norma: abbiamo messo in regola le fognature, gli allacciamenti della corrente. Ci è costato tanti soldi”.

L’ultima parata di strada della Mutoid Waste Company è stata fatta nel 2000 proprio a Santarcangelo. E con la fine degli anni Novanta e’ finita anche la loro forza di rottura. Oggi la loro arte ha fatto storia ed e’ ormai istituzionalizzata: alcune delle loro opere, nell’ aprile del 2013, sono state esposte al Fuori Salone di Milano. Ma di quegli anni rimane un’estetica che ha fatto scuola, uno stile di vita nomade e una filosofia di vita ecologica. E il campo di Santarcangelo: un museo all’aria aperta, un pezzo di storia della cultura europea.

I Mutoids di Sant’Arcangelo hanno comunque deposto le armi. I loro mostri a sette braccia, con corpi di residui catalitici e le anime di lamiera, sono ormai quotati sul mercato e così i loro happenings, che si svolgono in locali ben organizzati e con tutti i permessi a posto. Schiavi comunque d’un cuore errante i Mutoids riprenderanno il cammino verso altre geografie, non si fermeranno ai locali, continuando a raccogliere lungo la strada i rifiuti senza fine della deriva metropolitana.

L’esperimento della Mutoid Waste Company come TAZ, suggerisce la possibilità di un movimento al di fuori e oltre la spirale del “progresso” (in questo senso è un movimento all’incontrario) che altro non è che un circolo vizioso. E’ un prendersi cura di se stessi, dei propri interessi, un ritirarsi insieme. Non c’è più fiducia nella parola rivoluzione, ma anche se rimpiazzassimo l’approccio rivoluzionario con un concetto di insurrezione che fiorisca spontaneamente in una cultura anarchica, la nostra particolare situazione storica non è propizia per una così vasta impresa.

Con uno stile situazionista e anarchico selvaggio, alla ricerca dell’insurrezione continua più che di una rivoluzione che diventi istituzionalizzata, la TAZ deride anche miserie e altezze dei movimenti con una provocazione continua. In questi molti anni di pacifica e proficua convivenza si è inserita purtroppo una voce singola che è contraria alla loro permanenza, una voce che rischia oggi di mandare a monte e di distruggere questo patrimonio. Oggi, per colpa delle denunce (di una sola persona che in 20 anni si è opposta ad ogni soluzione ) si trovano di fronte ad una istanza di sgombero che potrebbe spazzare via non solo l’arte ma delle persone che fisicamente vivono, lavorano, vanno a scuola a Santarcangelo e tutto questo è molto triste.

FILOSOFIA DELLA MUTAZIONE

L’attività dei Mutoids è poliedrica, ed è testimonianza di una cultura emergente, sotterranea, che mischia generi e umori, spesso affascinata da tutto ciò che è giudicato mostruoso, buio e alieno dalla morale comune. Accanto alle sculture, nei loro camion, i Mutoids si portano dietro alcuni sound systems, che possono montare e smontare dove vogliono, così, quando li chiamano, organizzano dei piccoli villaggi globali in cui c’è chi suona rock, chi fa la techno, mentre alcuni Mutoids sono specializzati in un tipo di musica molto particolare i cui strumenti sono dei bidoni vuoti di metallo. Vendono le sculture ai negozi, alle discoteche, ma il loro circuito musicale è un altro: è quello legato ai centri sociali e ai rave, dove la gente balla in mezzo ai loro mostri meccanici.

Non solo hanno assorbito a fondo la modernità, ma, addirittura, i Mutoid Waste Company si sentono già mutati: fisicamente, psichicamente e, di conseguenza, nel loro comportamento. Sono una tribù di creativi riciclatori, sono predicatori urbani mutanti, nomadi, per scelta: sono esempi viventi della “junk modernity”. Meccanici artisti e artisti meccanici, per mezzo della mutazione del mondo circostante cambiano l’ambiente dove vivono. Scultura, musica e ritmi tribali, gente selvaggia, predicatori, performer e pazzi ispirati.

Per finanziare i loro tours non hanno grosse spese, a parte i costi di benzina e gli attrezzi da lavoro che cercano di coprire vendendo birra oppure organizzando rave a pagamento. E quando non sono in tour si finanziano costruendo su ordinazione sedie e tavoli, oppure vendendo le sculture ai club, compagnie cinematografiche e a volte a produzioni di videoclip.

La M.W.C. crea un’avvincente provocazione, una variopinta mutazione di ambiente. Il road-show si parcheggia in vecchi supermarket, cantieri in rovina, vecchi hangar per bus, parcheggi inutilizzati. Questa loro mobilità consente alla Company di disporre sempre nuovi spazi e di occupare dei posti che altre persone non potrebbero usare, ma che loro, mutati alla vita della wasteland , adoperano.
E la loro mobilità parla per loro stessi: la mutazione è una faccenda complessa. Joe cerca di spiegare la sua filosofia: “Uomini e cose devono mutare fisicamente e i cambiamenti in un disastro o una post-apocalisse devono essere profondi se si vuole sopravvivere.” (Intervista a Joe Rush, tratta da decoder #6 ).

E’ in un vecchio trattore inutilizzato che si è sistemato Reverend Mutant Preacher King Mutoid Obi alias Joe Rush che riferisce sulla mutazione; la lezione è questa: “Necessità del cambiamento”. Per la maggioranza il bus è niente più che un mezzo di trasporto a poco prezzo, ma per i M.W.C. il bus è il nocciolo della loro filosofia, dove si vede combinata la doppia funzione di mutazione e mobilità.
Un bus può essere un appartamento o diventare un atelier e i rottami possono essere fonte di sostentamento e ci si può guadagnare vendendoli, oppure essere dei pezzi di ricambio indispensabili o, ancora, sono buoni per fare delle sculture. Un bus può esser dipinto o decorato, in modo che esso stesso diventi un pezzo d’arte e se un bus non può essere lavorato se ne possono ricavare dei pezzi che possono essere utilizzati per altre macchine.

“Noi viviamo per questa idea della mutazione dei nostri veicoli e della nostra arte” dice Joe, “l’idea è di rappresentare sempre qualcosa di originale e di lasciarsi trasformare, niente è finito per sempre e la natura delle cose commerciabili è solo pattume: se tu non riesci a lavorare ed a intervenire sopra queste cose avrai solo pattume” (Intervista a Joe Rush, tratta da decoder #6).

La filosofia della mutazione si può rapportare agli uomini e alle cose oltre che ai Mutoid.
“Di questi tempi ognuno ha la sua mutazione in se stesso ed essa corrisponderà ai suoi bisogni e al suo lavoro”. (Intervista a Joe Rush, tratta da decoder#6)
I M.W.C. hanno dimostrato praticamente che la loro filosofia funziona. In qualche loro manifestazione sembra di riconoscere gli ultimi resti degli hippies anni Sessanta, ma loro sono suscettibili a ogni paragone. Sbaglia chi crede che la Company sia in una vacanza permanente. I Mutoid sono un gruppo di lavoro che si dedica alle sue speciali attività con abbastanza impegno da riuscire ad autofinanziarsi. Al contrario degli hippies, loro pensano che non è sufficiente sentirsi alternativi “felici” separati dalla società. Credono nel duro lavoro, anche se la vita nella scala dei valori viene prima del lavoro, e non hanno interesse in tutto ciò che non è compreso nella loro ortodossa ideologia.

Ma non credono nemmeno che il loro stile di vita sia una risposta alla crisi in cui è piombato tutto il mondo industriale qui all’Ovest. Ciò che dicono è che bisogna mutare e lasciarsi mutare. Molte persone che non sono in condizione di affittarsi una casa o di separasi dai propri genitori trovano molto attraente la happy-go-lucky e vengono affascinati dallo stile di vita dei Mutoids, nonostante la mancanza di comfort come la vasca da bagno, elettricità e televisione. A differenza degli altri travellers, i M.W.C hanno meno problemi per far circolare i loro grossi automezzi, perché hanno uno speciale permesso come quello del circo. La loro musica è suonata su strumenti a percussione che hanno realizzato personalmente. E’ una musica industriale, quasi un blues da rotaia mischiato con gospel di Neanderthal.

I mutoids non si sentono un gruppo politico, sono completamente coscienti di una scelta, cioè di non essere più politici. Al di fuori di questo pensano che il modo in cui stanno vivendo è una chiara espressione delle loro scelte.

“E’ veramente così, il mondo nel quale viviamo sta andando in rovina. Noi esseri umani non possiamo cambiare più niente attraverso la politica. Così cerchiamo, per il tempo che ancora ci rimane, di divertirci il più possibile”. (Intervista a Joe Rush, tratta da decoder#6)

“Io avevo iniziato ad andare al campo dei Mutoid nei primi anni novanta, forse nel ’91, però erano stati chiamati per fare uno spettacolo all’interno del festival di teatro che fanno tutti gli anni, e gli avevano dato questa cava per stare lì, preparare lo spettacolo, le sculture, con un officina gigantesca, e quindi va beh; io conosco loro, a livello che li avevo già sentiti nominare quando ero andata in Inghilterra però non l’avevo mai visto. Avevo letto degli articoli, delle cose, fotografie, e mi sembravano della gente pazzesca, capito?

Arrivo lì e in effetti lo spettacolo è stupendo, eccetera. In effetti poi li conosco e sto lì un po’ con loro, quell’anno lì, nel frattempo, lo stesso anno, sempre nel ’91, loro chiedono al comune di Sant’Arcangelo se potevano tenere come base italiana, perché loro avevano un po’ di campi dappertutto, ne avevano a Berlino, a Londra, eccetera, se loro potevano tenersi come campo in Italia la cava, e tramite un affitto, che adesso non so quanto, come, eccetera gli dicono di si. L’anno dopo cosa succede: all’interno del festival di teatro loro fanno l’antifestival, cioè un festival all’interno della loro cava, al di fuori e contro il festival di teatro. Allora mi dicono “dai vieni lì, stai lì e ti accampi lì, ti campeggi lì e stai con noi”. Lì iniziano ad esserci le prime feste che duravano tutta la notte con degli amici loro, tra cui – loro poi lavoravano già, nel ’92, in Inghilterra con gli Spiral Tribe – infatti poi quando questi ultimi vennero in Italia si stabilirono nel campo dei Mutoid, intorno al novantaquattro.

Però nel novantadue iniziano queste feste che a me sembravano già da fuori di testa. di conseguenza in questo campo ventiquattrore su ventiquattro c’era qualcosa, dallo spettacolo al party la sera, c’era sempre un movimento della madonna. E già lì inizi a dire, ma guarda oh, ma che figata, ma è grandioso.e già era un po’ – più che, chiamiamolo rave illegale – era un po’ tipo i vecchi free festival che io mi facevo in Inghilterra tipo tre anni prima quando nel ’87 ero stata a Londra un anno, e mi sono vissuta tutti i free festival in Inghilterra. Quindi quando io sono arrivata al campo dei mutoid nel ’92 era un po’ come allora, cioè tutte queste cose free, chi faceva il banchetto col mangiare, chi faceva altro, era tutto un camping free, diciamo, quindi sembrava più un free festival più che un rave, però comunque anche i rave dopo diventano free, no?, free party = rave illegale. Di conseguenza, io mi vivevo tutte queste esperienze che ho vissuto alla fine degli anni ottanta in Inghilterra, le rivivevo in Italia al campo dei mutoid. I DJ che arrivavano da Londra facevano un tipo di musica. era il periodo più che altro della trance, hard trance, eccetera. Perché comunque già una techno alla Spiral Tribe la facevano solo gli Spiral, il resto era tutto trance. E quindi quando riuscivo a farmi le storie coi mutoid io partivo con loro, tipo mi sono fatta due o tre estati in cui sono stata a Berlino.perché comunque rivivevo delle esperienze che mi erano piaciute in Inghilterra, le rivivevo con loro, poi li avevo conosciuti eccetera, quindi quando partivano io, l’anno dopo sono andata, mi sembra, a Berlino con loro, nel ’93.

Nel ’94 arrivano questi Spiral Tribe in Italia, ed è stata proprio.cioè, quando ho sentito la loro musica ho detto: “questa, questa è LA musica, la MIA musica”.e i primi party che facevano comunque li facevano sempre coi Mutoid, quindi c’era festa, spettacolo e party dopo. Loro fecero delle cose a Roma perché comunque c’era già la Fintek che era stata occupata, e quindi proprio i primi party illegali sono comunque romani diciamo no? E poi si sono stabiliti anche per un periodo in cascina qua a Milano.” (Intervista a Betty tratta da Tecnologia tribalismo e forme di nomadismo metropolitano, la mia tesi sui rave illegali).

La Mutoid Waste Company è importante perché è stata la scintilla insieme agli Spiral Tribe che ha acceso la miccia della bomba techno, il loro arrivo combinato con l’influenza spiralosa che stava dilagando in Italia, ha dato un nuovo senso alla parola rave, che prima del loro arrivo aveva un’accezione diversa, cioè quella dell’ afterhours da discoteca.

Loro hanno portato lo spirito libertario che ha fatto uscire i rave dai centri sociali, quindi ha trasformato le PAZ (zone permanentemente autonome) in TAZ (zone temporaneamente autonome), più libere, mobili, prive delle gerarchie proprie dei collettivi di autogestione dei centri sociali. MWC e Spiral Tribe hanno innescato una reazione a catena che è sfociata nel movimento techno della funny people e in quello che adesso è ormai un rituale fin troppo diffuso.

La Mutoid Waste Company rimane oggi uno dei piu’ interessanti esperimenti artistici e sociali degli ultimi decenni; un gruppo anarchico che come forma di protesta organizzava enormi rave party, arrivando addirittura alla costruzione di un campo base extemporaneo con tanto di collezione di mezzi militari, tra cui anche un Mig 21, jet da guerra russo.

Oggi i rave vengono associati allo sballo e alle droghe, ma allora le feste erano dei veri e propri spettacoli di strada, sopratutto le feste dei Mutoids, infatti già nel volantino i loro rave erano indicati come “party e spettacolo” e i mwc nelle settimane precedenti alle feste generalmente presentavano le loro performance nei centri sociali e nel circuito alternativo, dove distribuivano i volantini per il rave successivo, per questo motivo impiegavano tempi di produzione nell’ordine dei mesi per organizzare uno dei loro happening.

La MWC ha creato con gli Spiral Tribe i primi veri totem elettronici, di grandissimo impatto visivo e sonoro sono espressione di questo techno clan. Il loro immaginario è industriale e futuristico, nel senso decadente e distopico che può evocare la visione futura della metropoli, primitivo e minimale allo stesso tempo. Per chi aveva voglia di novità culturali iniziava a intravedersi un cambiamento nel mondo dello spettacolo e della cultura alternativa.

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