[DallaRete] Amsterdam, la più grande rivolta studentesca dal ’69
Ma andiamo con ordine. L’occupazione del Bungehius, la sede delle facoltà umanistiche dell’UvA, destinato nei piani del management dell’università a diventare un albergo di lusso (il secondo gestito dall’UvA) a pochi passi da piazza Dam, è nata il 13 febbraio allo scopo di contrastare una ristrutturazione delle facoltà umanistiche che prevede l’accorpamento di più facoltà in un unico dipartimento e le restanti facoltà (Filosofia, Storia, Letteratura Olandese e Letteratura Inglese) in un unico corso definito “Liberal Arts“, oltre alla soppressione di numerosi corsi di laurea.
Questi accorpamenti sono finalizzati a ridurre le spese: sono la diretta conseguenza dell’imposizione di una logica di profitto che vede l’università come una macchina da soldi e in cui la ricerca e l’insegnamento sono appena degli accessori atti a giustificare i bilanci, e la cultura che non genera un profitto immediato è eliminata.
Gli/le occupanti lamentano fin dal primo giorno una totale insensibilità alle loro richieste, e un evidente disinteresse nei confronti dei temi dell’educazione da parte del management universitario, che appare sempre più intento a creare profitti piuttosto che ad assicurare un’ istruzione di qualità.
A questa prima occupazione il board dell’UvA ha risposto mostrando i muscoli: è arrivata immediatamente minaccia di multare ogni studente, per ogni giorno di occupazione, con 100.000€ e intervento della polizia a sgomberare l’edificio.Questa richiesta oggettivamente ridicola e scomposta è stata poi mitigata in sede legale, con la decisione di richiedere una multa di 1000€ per ogni giorno di occupazione.
Nel frattempo però gli e le occupanti avevano iniziato a raccogliere ampia solidarietà da parte dei professori e dei ricercatori, che si sono organizzati sotto la sigla Rethink UvA, e offerti di pagare il primo giorno di multa, mentre il resto è stato fornito da una campagna di crowdfunding che ha riscosso immediato successo su internet. Una settimana dopo l’occupazione, però, la polizia ha sgomberato l’edificio arrestando gli occupanti e alcuni solidali accorsi fuori.
Ma se al CvB (il board dell’università) pensavano di aver risolto i loro problemi con il ricorso alla forza, avevano fatto molto male i loro conti: evadere il confronto, specialmente in una realtà abituata a discutere e a cercare un accordo su tutto come quella olandese, si è rivelato un boomerang: il giorno dopo lo sgombero una manifestazione rabbiosa e determinata di diverse centinaia di studenti ha invaso il centro della città, culminando spontaneamente nell’occupazione della sede del management universitario, il Maagdenhuis, distante appena poche centinaia di metri dalla precedente occupazione.
Fra i resoconti della giornata, che rimarranno negli annali della protesta, c’è la scomposta reazione di Luise Gunning, direttrice del CvB (oltre che membro del board di altre 19 società, tra cui l’aeroporto di Schiphol), che vedendo centinaia di studenti e studentesse occupare l’edificio ha urlato: ”Come vi permettete di entrare nel nostro Maagdenhuis?” Ma c’è stato poco da fare: una volta sbollita la rabbia non le è rimasto che andare via e consegnare l’università a studenti e studentesse.
Da li in poi è stato tutto un accelerarsi di eventi: vista la piega che le cose hanno preso dopo il primo sgombero, ai piani alti dell’UvA sono giunti a più miti consigli, evitando di tirare in ballo la forza pubblica, e giocando d’attesa, prendendo tempo nella speranza che il movimento si sgonfiasse da solo.
Nel frattempo però l’occupazione è diventata un caso mediatico nazionale, con la visita in piena notte del sindaco di Amsterdam e decine di dichiarazioni di solidarietà da parte di importanti personalità del mondo accademico, attirandosi le simpatie di buona parte dell’opinione pubblica e la solidarietà attiva di centinaia di ricercatori, professori, intellettuali e artisti che hanno iniziato a riempire l’atrio del Maagdenhuis con una serie praticamente ininterrotta di lezioni, conferenze, performances, workshops e discussioni, cineforum, partecipando alle assemblee e contribuendo in maniera determinante alla crescita materiale, intellettuale e politica del movimento.
Alcuni nomi eccellenti internazionali hanno espresso la loro vicinanza, come per esempio David Graeber, che è venuto appositamente da Londra per tenere una lezione orizzontale sulla resistenza in tempo di burocratizzazione totale, Edwald Engelen, che ha definito l’occupazione dell’UvA (anche se gli/le occupanti preferiscono il termine “riappropriazione”) come “uno dei luoghi più interessanti dell’Europa occidentale in questo momento”, e Charles Escher, direttore del Van Abbemuseum di Eindhoven, che nel contesto di una conferenza organizzata dallo Studium Generale Rietveld Academie ha analizzato la trasformazione nel modo di interpretare la realtà nell’epoca del neoliberismo a partire dai linguaggi utilizzati per giustificare le politiche attuali.
Una petizione su change.org ha raccolto in pochi giorni più di 7000 firme, ed è stata firmata, fra gli altri, da Noam Chomsky, Jacques Rancière, Judith Butler, Axel Honneth, Simon Critchley, Jean-Luc Nancy, Saskia Sassen, James tully e numerosi altri/e.
Alla protesta di Amsterdam, altre sono seguite in altre città, con Nuove Università che sono spuntate a Leiden, Delft, Groningen, Nijmegen, Rotterdam e Utrecht.
Le richieste del movimento sono state espresse in una lettera pubblica e prevedono i seguenti punti:
“1) Democratizzazione e decentramento della governance universitaria.
2) Abolizone del corrente modello di allocazione delle risorse. Cambiamento nel senso di un modello finanziario basato sulla qualità, non sulla quantità.
3) Cancellazione del presente piano Profiel 2016.
4) Referendum per istituto e un programma di collaborazione fra la Uva, la VU (Free University) alla Facoltà di Scienze.
5) Opportunità di carriera sostenibili per tutto lo staff.
6) Nessuna speculazione immobiliare con i soldi destinati all’educazione.
La motivazione generale alla base di tutte queste richieste è lo scontento nei confronti dell’attuale modello di gestione. Una gestione imposta dall’alto in basso, orientata verso una completa efficienza danneggia nella sua essenza ciò su cui un’università si basa: ricerca ed educazione.” (http://newuni.nl/eisen/)
Nel frattempo, dimostrando una maturità ragguardevole, il movimento è riuscito a darsi uno sguardo di più ampio respiro e compiere il salto di qualità dalla resistenza su un tema specifico a un’analisi delle politiche neoliberiste nei confronti dell’istruzione, andando a toccare alcuni dei temi fondamentali dell’attuale fase storica e producendo una critica al modello neoliberista.
Non era scontato che questo scenario si profilasse nel cuore stesso della bestia, l’Olanda delle banche, probabilmente il paese meno politicizzato al mondo.
Basti pensare che dal primo giorno gli studenti e le studentesse hanno deciso di scegliere l’inglese come lingua ufficiale del movimento, nelle assemblee e nei workshops, includendo in questo modo molti di quegli studenti e studentesse internazionali che hanno già sperimentato nei propri paesi, in varie forme, le trasformazioni dell’università neoliberista e le resistenze a essa.
Grande solidarietà e partecipazione è arrivata anche dai lavoratori e le lavoratrici delle compagnie che si occupano della pulizia, che avevano messo a segno alcune proteste di successo l’anno precedente, e dagli attivisti e le attiviste del movimento squatter, anch’esso pesantemente sotto attacco per via dell’imminente sgombero di un intero isolato, le storiche occupazioni di Spuistraat, occupate da 30 anni, proprio di fronte al Bungehuis.
Un altro elemento di successo della protesta, infatti, è stato quello di saper legare il tema dell’assalto neoliberista all’università con quello dell’assalto neoliberista alla città, sempre più teatro di gentrificazione e speculazione selvaggia, repressione e generale assopimento delle coscienze.
Una grande manifestazione poi si è svolta venerdì 13 marzo, partendo dall’occupazione e andando a toccare le varie sedi dell’università nel centro di Amsterdam, raccogliendo la solidarietà di migliaia di studenti, cittadini e semplici passanti, in un clima di festa e di rabbia. Molti gli slogan urlati senza sosta, gli interventi dal microfono, e le facce gioiose di centinaia di studenti e studentesse che, c’è da scommetterci, hanno preso gusto a partecipare in prima persona alla vita politica dell’università, e desiderano passare dall’essere consumatori di istruzione a produttori di cultura.
Fra le caratteristiche che finora hanno garantito al movimento di vincere la battaglia mediatica e portare il dibattito sulle prime pagine dei giornali c’è sicuramente la capacità di comunicare in maniera semplice ed efficace tramite un’intelligente sovversione dei messaggi che arrivano dal board, palesemente impacciato di fronte a questa situazione, che continua a dimostrare di non aver afferrato la portata delle richieste e degli obiettivi del movimento.
In una lettera diffusa il 10 marzo, ben oltre l’ultimatum concesso dal movimento al CvB per prendere una posizione in merito alle richieste, si parla in termini piuttosto vaghi di concessioni con un linguaggio da comitato d’affari che è bastato a decretare il “rispedito al mittente” con cui la lettera è stata recepita: in poco più di un’ora di discussione, con un colpo da maestro l’assemblea generale ha sovvertito la gerarchia imposta rispondendo che, in sostanza “apprezziamo lo sforzo, ma dovete impegnarvi di più”, invitando il CvB a produrre un altro documento e ribadendo l’intenzione di portare avanti l’occupazione a tempo indeterminato.
Il CvB ha indirizzato il 20 marzo al movimento un’altra lettera, più dettagliata, con la proposta di formazione di comitati indipendenti per trovare una soluzione, alla quale è stato risposto che il movimento non si discosta dalle 6 richieste iniziali, e pone alcune condizioni per l’istituzione di tali comitati indipendenti che prevedono una posizione di supremazia degli studenti/esse, ricercatori/trici e professori/esse nella scelta dei membri, oltre alla totale trasparenza e pubblicità del processo.
Un’altra importante caratteristica è l’efficienza dei processi decisionali: l’assemblea ha fatto tesoro delle esperienze positive di Occupy, e le decisioni vengono prese col metodo del consenso, in tempi ragionevoli, lasciando tempo per l’organizzazione di altre attività.
Nato in un paese che ha saputo esprimere livelli di radicalità eccezionali in passato, ma in cui da 30 anni gli assembramenti pubblici più grandi si vedono in occasione delle celebrazioni per il compleanno della regina (e ora del re), dove non si festeggia il primo maggio e in cui il panorama politico istituzionale è forse ancora più deprimente che in Italia, il movimento della Nieuwe Universiteit costituisce un importante faro di speranza.
Al Maagdenhuis si parla di università, di rappresentanza, di riappropriazione, di università multietnica e antirazzista, di questioni di genere, della riappropriazione dei propri tempi, si sperimenta la democrazia diretta e le lezioni orizzontali, vengono a parlare direttori di musei, intellettuali e filosofi di fama internazionale, artisti e artiste tengono workshops e performances
(il programma completo si trova qui, basta scorrere per rendersi conto della mole di cultura che ha attraversato, e continua a farlo, questo luogo).
A dimostrazione di quanto la Nieuwe Universiteit faccia sul serio, il 22 marzo è stata pubblicata una chiamata pubblica per formare un gruppo di lavoro che si occupi di studiare e proporre delle modifiche alla legge che regola l’istruzione universitaria in Olanda.
Gli e le occupanti del Maagdenhuis, e tutte le persone che attraversano l’occupazione nelle forme più disparate stanno mettendo completamente a nudo un’università che ormai, anche in Olanda, appare per quello che è: una azienda privata nelle mani di un gruppo di managers che poco o nulla hanno a che fare con l’educazione, dimostrando già a partire dal linguaggio che usano, una imbarazzante ignoranza nel campo educativo, e che amministrano con gli stessi criteri con cui si punta a massimizzare i profitti di una qualsiasi multinazionale.
Ma forse il risultato più importante del movimento, al di là di come andrà a concludersi la vicenda (e ci sono importanti possibilità che si risolva in una vittoria), è stato quello di aprire uno spazio di confronto e trasformare un freddo e austero atrio popolato da burocrati e consiglieri finanziari in un gigantesco esperimento che sta mettendo insieme da un mese giovani dai più svariati backgrounds attorno a un radicale e netto rifiuto della società neoliberista e del suo tentativo di trasformare la vita stessa in un insieme di equazioni finanziarie.
Cosa fare? In che modo arginare una controrivoluzione imperante e apparentemente inarrestabile, e tornare all’attacco? La domanda rimane inevasa, ma forse una possibile risposta sta venendo elaborata in queste settimane nel cuore di Amsterdam, al Maagdenhuis occupato, Spui 21.
http://www.communianet.org/rivolta-globale/amsterdam-la-pi%C3%B9-grande-rivolta-studentesca-dal-69
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https://en.wikipedia.org/wiki/Bungehuis_and_Maagdenhuis_Occupations
http://roarmag.org/2015/03/occupation-maagdenhuis-university-amsterdam/
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