Diaz, il film. L’opinione di Federico De Ambrosis, Milano (5)

Porci #diaz
Diaz da bambino era una figurina dell’Avellino. Ramon Diaz, chissà perché mi stava simpatico.
Poi è diventato qualcosa da groppo in gola. Eppure quel cartello fuori dal Carlini che diceva “media center scuola Diaz” fino al giorno stesso non avrebbe significato quasi nulla se non una routine militante.
Ho visto Diaz, il film, a braccia conserte, ripromettendomi (con successo) che non avrei concesso una lacrima.
La pellicola ha una meccanica narrativa stringente tipo “Bloody sunday” di Paul Greengrass, per chi l’ha visto, e questo fa passare in secondo piano personaggi non azzeccatissimi e trovate cinematografiche discutibili (non ricordo nessuno che avrebbe avuto voglia di suonare la chitarra la sera del 21 Luglio, oppure fatico a immaginare il responsabile del reparto mobile che grida “basta”).
Poi c’è Genova. Quel sangue da non lavare.
Perché, nonostante le schifose teorie “delle mele marce”, la Diaz è la Diaz perché viene rivendicata.
Poche ore dopo entrano le telecamere a riprendere il sangue rappreso sui muri.
I responsabili promossi, i colpevoli impuniti.
Eravamo in un gioco più grande di noi, dieci anni dopo possiamo dirlo.
Non eravamo pronti, quel livello lì non ce l’aspettavamo.
Poi ci siamo noi. Fino ad all’ora quelle notti erano ancora nostre.
E dopo la sensazione che ci sarebbe potuta succedere ogni cosa.
Diciamo ancora “era prima di Genova” o “era dopo Genova”. Tutti.
E quei cuori pieni, per quello che stavamo facendo noi, (da mesi/anni nelle strade d’europa) coi nostri, per tutti.
Poi c’è chi verrà. A cui Genova va spiegata. Ma bisogna spiegare due cose.
Non trovo le parole ma i tanto vituperati, in questi giorni, Genoani tanti anni fa esposero “Finché la vostra giustizia sarà violenta, la nostra violenza sarà giusta”. Non direi “violenza” ma something like that, durezza? costanza? ragione? cuore? ci siamo capiti.
Infine, non ho pianto (dicevo) ma mi sono fatto male, credo come molti.
Vorrei dire, che viva quel dolore!
Non chiedo che te ne vada dolore,
ultima forma di amore,
mi sento vivo quanto ti sento,
per tutto quello che è, ed è stato,
quella realtà umana negata,
e che magari si è solo impegnata,
ed è stato solo un pretesto per vivere,
ma la verità dei fatti mi assicura,
che niente è stata una menzogna,
ma la prova di un’altra vita possibile,
mentre sento questo dolore,
è la gran prova agli occhi gonfi,
di quel che è esistito, di quel che esiste, di quel che esisterà,
di quel che volevo,
di quel che ancora sto cercando,
di quel che sempre cercherò.
Genova è una storia d’amore.

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