Alla Salute – Curare (non) è permesso

Migranti Italiani In Brasile

Migranti Italiani In Brasile

Curare, senza chiedere il permesso, colmando le sempre più ampie lacune del sistema sanitario, e allo stesso tempo evitare di sostituirsi a uno dei compiti più importanti che spetta alle istituzioni: la garanzia di un pieno accesso alle cure per tutti coloro che abitano il territorio, cittadini italiani e stranieri “irregolari”.

È questo l’arduo compito di un’associazione come il Naga, che proprio questa mattina ha presentato i risultati di un’indagine qualitativa sull’accesso alle cure per i cittadini stranieri irregolari negli ospedali milanesi. Perché se da un lato la “questione migranti” viene di fatto affrontata, da istituzioni e media, come un susseguirsi di ondate di emergenza, è anche vero che il sistema sanitario lombardo, da certi punti di vista ancora eccellente, è sempre più inadeguato – soprattutto per alcune categorie di pazienti, come i migranti, appunto – e richiede riforme strutturali per far fronte a qualcosa che emergenziale non è.

Stiamo parlando del diritto alla salute, un diritto inalienabile, che prescinde dallo stato giuridico dell’individuo e che richiede di essere garantito 365 giorni all’anno, a tutti, cittadini con passaporto italiano, comunitari ed extracomunitari. Un diritto garantito da innumerevoli testi di legge, a partire dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, passando per la Costituzione italiana, per il Testo Unico sull’Immigrazione e per innumerevoli sentenze della Corte Costituzionale, non ultima la n. 252 del 5/7/01, in cui la salute viene riconosciuta come un “ambito inviolabile della dignità umana”, non barattabile con ragioni quali il contenimento della spesa pubblica o la discriminazione in ragione della regolarità o meno del soggiorno.

Ma veniamo ai dati del Naga, una pesante testimonianza di come, aldilà della legge, il diritto alla salute sia tutt’altro che uguale per tutti.

I risultati dell’indagine

La ricerca – di tipo qualitativo e basata sulla raccolta della documentazione clinica di 155 casi di pazienti che si sono presentati presso l’ambulatorio del Naga tra il gennaio 2014 e il febbraio 2015 – descrive le difficoltà da essi riscontrate dopo il ricovero o l’accesso al pronto soccorso di ospedali milanesi o limitrofi.

Senza titoloArmiamoci di coraggio, perché con la salute non si scherza e per capire cosa non funziona, e quindi individuare delle auspicabili soluzioni, è indispensabile addentrarsi in una serie di intricatissimi meandri, fatti di codici, sigle e procedure, in parte burocratiche, in parte dettate da volontà politiche. Basti ad incoraggiarvi, che la complessità di quanto è qui scritto non è nulla in confronto alla fatica che chi ha bisogno di cure è costretto ad affrontare.

Nella pratica, sul campione analizzato (per il 20% composto da cittadini comunitari, prevalentemente bulgari e rumeni, e per l’80% da cittadini extracomunitari, perlopiù provenienti da nord Africa, centro America e sud-est Asiatico), l’assenza o l’inadeguatezza di assistenza sanitaria derivano dalla mancata assegnazione o dal mancato utilizzo di tre codici/sigle:

1- l’STP (straniero temporaneamente presente), il codice che garantisce l’assistenza ai cittadini extracomunitari;
2- l’ X01, altrimenti noto come dichiarazione di indigenza, per l’esenzione da ticket;
3- il CSCS (comunitari senza copertura sanitaria), la sigla introdotta in Regione Lombardia in sostituzione del codice ENI (quello adottato dalle altre regioni italiane) per i cittadini della Comunità Europea.

Questa mancanza, apparentemente di natura burocratica, ha portato nei casi analizzati a delle conseguenze tristemente pratiche per i pazienti, tra cui: l’impossibilità di accedere agli esami di secondo livello, l’impossibilità di accedere alle terapie e l’impossibilità di ricevere la prescrizione dei farmaci. Nella sostanza, quindi, i pazienti non hanno avuto accesso all’assistenza necessaria, soprattutto se si considera che le patologie registrate, in 80 casi su 155, avrebbero richiesto cure, esami e assistenza continuativa. In particolare, non sono stati adeguatamente assistiti: 13 casi di diabete mellito; 12 casi di fratture ossee; 9 casi di patologie cardiache importanti; 7 casi di tumore; 39 casi di asma, trombosi venosa profonda, ulcera gastrica o duodenale, sincope, osteomielite, iridociclite, epilessia, epatite B e C.

Per buona pace di chi si appella alla mancanza di fondi per dare sfogo a istinti razzisti (chiamiamo le cose col loro nome), scioriniamo gli ultimi dati di questo paragrafo: “gli irregolari“ che arrivano in Italia sono perlopiù giovani e costano mediamente 140/150 euro all’anno, contro i 1900 dei cittadini italiani. Inoltre, ammesso che l’approccio economico sia prioritario, visto che quella sanitaria non è un’economia perfetta, garantire tutti un accesso alle cure, continuato e diffuso sul territorio, permetterebbe di liberare di un’immane mole di lavoro strutture molto costose, come i Pronto Soccorso.

Le cause

Le falle dell’assistenza sanitaria ai cittadini privi di passaporto italiano evidenziate dal Naga hanno diverse origini e richiedono interventi e soluzioni diversificate.

La mancanza di conoscenza dei dispositivi di legge che regolano l’assistenza sanitaria per gli irregolari da parte degli operatori sanitari non è mai stata affrontata e dal 1998 (anno di emanazione del Testo Unico Immigrazione) a oggi la Regione Lombardia non ha mai avviato i corsi di formazione necessari. A questo si aggiunga che i Pronto Soccorso, l’unico luogo dove i cittadini irregolari, privi di accesso ai medici di medicina generale, possono recarsi per le cure, sono sovraccarichi di lavoro e comunemente tra i medici che vi operano non è diffusa l’abitudine di prescrivere su ricettario regionale gli accertamenti e le terapie necessarie per i pazienti.

Le conseguenze? I pazienti, che per primi non sono a conoscenza del proprio diritto ad avere un codice STP e l’esenzione per indigenti, solo raramente accedono alle cure necessarie e, anche laddove questo avvenga, la continuità di tali cure è molto difficile da garantire. Come è possibile avere continuità nell’assistenza sanitaria senza l’accesso ai medici di medicina generale o senza degli ambulatori sul territorio accessibili e diffusi?

In questo scenario, a complicare ulteriormente la situazione, interviene il fatto che gli ospedali privati convenzionati, per disposizione regionale, non possono utilizzare il codice STP su ricettario regionale: ne consegue che i pazienti, anche quelli con codice STP, se si rivolgono ai Pronto Soccorso di queste strutture, non hanno accesso alle prescrizioni di farmaci e a nulla sono finora valse le pressioni del Naga per una modifica della normativa regionale in tal senso.

Tristemente peculiare di Regione Lombardia è anche la carenza di assistenza per i cittadini comunitari. Mentre altre regioni italiane, infatti, hanno adottato il codice ENI (Europeo Non Iscritto), un codice paragonabile, all’atto pratico al codice STS, la Lombardia ha adottato la sopracitata sigla CSCS, utilizzato per uso interno solo in alcuni ospedali, che non garantisce la copertura e l’assistenza sanitaria necessaria. Questo aspetto risulta particolarmente grave, se si considera che alcuni cittadini comunitari, in particolare rumeni e bulgari (il 20% della casistica del Naga), dal 2007 non hanno più diritto al codice STP in quanto non più considerabili “cittadini extracomunitari”.

Infine, ciliegina sulla torta, si tenga in considerazione che tra gli ospedali milanesi è diffusa l’abitudine di attribuire alle associazioni di volontariato un ruolo sostitutivo al servizio sanitario pubblico. Un fattore culturale, questo, che rischia di demandare la garanzia del diritto alla salute a soggetti a cui questo ruolo non spetterebbe e che non hanno la possibilità, anche volendo – e non è il caso del Naga – di sopperire a un servizio che deve essere garantito su tutto il territorio regionale, anche laddove non vi sia un presidio delle associazioni di volontariato (basti pensare ad esempio ai paesini di alcune valli lombarde).

L’accanimento burocratico non ha limiti!

Per comprendere nella pratica la complessità e le traversie di chi ha bisogno di esercitare null’altro che un proprio diritto, riportiamo di seguito uno dei casi presentati dai volontari del Naga. Siamo di fronte a una frattura in seguito ad incidente, una di quelle cose che potrebbero capitare a chiunque viva in una città come Milano.

Cittadino rumeno di 46 anni, senza dimora, parla bene l’italiano. Il 19 gennaio 2014 viene investito da un’auto. Al Pronto Soccorso del San Raffaele viene riscontrata una frattura di una vertebra cervicale (C3), e viene confezionato un collare rigido da portare 24 ore su 24 per almeno 45 giorni, fino al controllo neurochirurgico fissato in data 6 marzo 2014. l 14 febbraio 2014 si presenta al Pronto soccorso dell’Ospedale Sacco per dolori alla gamba destra: viene riscontrata di frattura del perone sinistro, non recente. Viene confezionato uno stivaletto gessato da tenere per 20 giorni, e sulla lettera di dimissione viene scritto di eseguire una radiografia di controllo alla gamba il 6 marzo 2014 al San Raffaele, in occasione della visita neurochirurgica (probabilmente hanno ritenuto che la frattura fosse sfuggita al San Raffaele e fosse compito loro chiudere il caso). Il giorno 6 marzo 2014 prima della visita neurochirurgica viene chiesto al paziente di pagare 102 € (in quanto rumeno non ha diritto al codice STP), cosa per lui impossibile. Il giorno 7 marzo 2014 si presenta al Naga e il medico di turno scrive una lettera al San Raffaele chiedendo che, visto il caso particolare, eseguano gratuitamente la visita neurochirurgica e la radiografia ala gamba. Il giorno 8 marzo 2014 con la lettera del Naga il paziente si presenta al CUP del San Raffaele dove viene fissato un appuntamento per visita neurochirurgica in data 13 marzo 2014, con richiesta di portare l’impegnativa del medico curante, evidentemente impossibile dato che il paziente non può avere un medico curante! Il 9 marzo 2014 il paziente torna al Naga e lo inviamo all’Ospedale Sacco, dove era stata fatta la diagnosi di frattura al perone, con richiesta di utilizzare la sigla CSCS per poter prendere in carico il paziente. Al Sacco accettano di prenderlo in carico, ma non viene fatta firmare la dichiarazione di indigenza, per cui al momento della visita gli viene richiesto il pagamento di 65€ di ticket per visita e radiografia, spesa impossibile da sostenere per lui. Il giorno seguente torna al Naga e il medico di turno scrive ai medici del Sacco chiedendo di applicare l’esenzione per indigenza. Il giorno seguente, risolto il problema dell’esenzione, esegue al Sacco, gratuitamente, la radiografia del perone e viene rimosso lo stivaletto gessato alla gamba. Ma, problema sfuggito ai medici Naga, al Sacco non c’è un reparto neurochirurgico! Fortunatamente l’ortopedico del Sacco, molto disponibile, si è premurato di fissare al paziente un appuntamento neurochirurgico al Fatebenefratelli in data 15 aprile 2014, e ha fatto l’impegnativa su ricettario regionale, utilizzando la sigla CSCS. Il 15 aprile 2014 il paziente si presenta al Fatebenefratelli e gli viene rifiutata la visita in quanto l’ospedale non accetta la sigla CSCS. Il giorno stesso si è tolto il collare di sua iniziativa, fortunatamente senza conseguenze, ma correndo un grosso rischio.

Che cosa fare?

Abbiamo una notizia buona, e una cattiva. Quella buona è che quando i problemi sono noti, si possono mettere a fuoco delle soluzioni.

Quella cattiva è che per mettere in pratica tali soluzioni deve esserci la volontà politica. Una volontà che la Regione Lombardia ha dimostrato più volte di non avere.

Ma noi ci proviamo lo stesso, e riportiamo di seguito per punti le quattro principali raccomandazioni del Naga:

1- La Regione Lombardia renda concretamente possibile, non solo limitandosi a darne indicazione nelle circolari, l’accesso alle “strutture sanitarie del territorio” per i pazienti stranieri irregolari, come peraltro previsto dall’Accordo Stato Regioni del 20 dicembre 201212, sottoscritto anche dalla Lombardia, permettendo loro l’iscrizione agli ambulatori dei medici di medicina generale.
2- La Regione Lombardia decida di utilizzare il codice ENI, riconosciuto a livello nazionale, per i cittadini dell’Unione Europea indigenti privi di assistenza sanitaria.
3- La Regione Lombardia dia il permesso anche agli ospedali privati convenzionati di prescrivere farmaci ed esami su ricettario regionale per i pazienti stranieri irregolari.
4- La Regione, le ASL e le Direzioni Sanitarie Ospedaliere attuino una campagna di informazione e formazione sul Testo Unico Immigrazione, rivolta a medici, infermieri e personale amministrativo, anche tramite periodiche circolari scritte che richiamino al rispetto della legge.

Le competenze e le proposte, quindi, ci sono. Chi ha il potere e la responsabilità di decidere dimostri anche di avere la volontà politica di farlo.

Per approfondimenti, vai al sito del Naga

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