Che noia il femminismo

Un compagno parte da sé.

Dovevo iniziare una rubrica di costume, basata su un confronto intergenerazionale su alcuni argomenti come musica, sesso e droga; qualcosa che si rivolgesse alla vita di migliaia di ragazzi, cercando di incuriosire i più giovani con racconti di chi giovane non lo è più (ma fa fatica a capirlo) e allo stesso tempo cercar di far ragionare quelli che nelle nuove generazioni vedono solo poca sostanza per non dire di peggio.

Beh, il primo pezzo non solcherà questa traccia, si parte subito con un off topic. Non c’è controparte, non c’è confronto con un ventenne. Forse assomiglierà più ad uno sfogo, a una esigenza personale, ma sento di dover parlare di violenza di genere. Da dove partire? Forse dal mio passato. Una mamma (il papà molto meno) militante durante gli anni ’60/’70 che mi educa ovviamente secondo principi di uguaglianza: uguaglianza fra popoli e persone, lotta contro ogni forma di ingiustizia. Mi stupisce pensare ora che sull’uguaglianza fra sessi non abbia ricordi di suoi discorsi, pillole di saggezza che cercava di instillare nelle orecchie mie e di mia sorella. Forse la dava per scontata, la parità fra sessi, o forse non considerava il problema presa da altre lotte. Ultimamente chiedendole cosa pensasse delle femministe e della loro azione durante gli anni ’70 la sua risposta è stata molto laconica: “C’erano. Ma le lotte importanti erano altre”. Veramente strano pensando alle lotte per l’aborto libero e per il divorzio avvenute in quegli anni. Pensando a questa affermazione capisco molte cose. Capisco la poca importanza che le questioni di genere hanno avuto negli anni passati all’interno del “movimento”. La scusa era più o meno sempre la stessa. Ci sono lotte più importanti. Oppure un’altra risposta classica era: “Certo che siamo d’accordo con voi ragazze, ma ora bisogna pensare ad altro”. Dando per scontato certi concetti. Poche volte si è arrivati, con più onestà, a dire: “No, non mi interessano né l’argomento né tantomeno le pratiche che portate avanti”.
Mi viene da pensare che facendo così abbiamo perso la realtà delle cose. Faccio un passo indietro. Son cresciuto a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 quando le divinità televisione e pubblicità sono arrivate ai loro apici. A quei tempi le donne in tv erano solo dei stupendi complementi di scena; tette e culi a non finire. Chi non ricorda le ragazze Cin Cin o le ragazze del Drive In. La stampa non era da meno: se guardiamo a quegli anni le copertine di Panorama o L’Espresso (non certo giornali scandalistici) si capisce che potrebbero competere con le immagini di un fotoromanzo soft porno. Poi i b-movie all’italiana con la regina Edvige Fenech. La commercializzazione del corpo femminile nascosta dalla libertà sessuale? Forse. Di sicuro per me era così e così son cresciuto, dando per scontati certi nobili valori, ma totalmente permeato dalla cultura del consumo.
Poi si cresce. Mi ritengo fortunato ad aver avuto un percorso di crescita dove far politica era per me quasi un fatto quotidiano. Come detto prima le questioni di genere e la violenza sulle donne son rimaste marginali. Si sentono in televisione fatti atroci: donna sequestrata dal marito per due anni, poi stuprata e uccisa; turiste stuprate dai carabinieri, ragazza violentata dai suoi pusher e lasciata morire di stenti.
Guardiamo la televisione, rimaniamo magari anche shokcati e forse arriviamo anche a condividere in modo indignato la notizia sui vari social. Guardiamo le notizie però in modo distaccato, tutta questa bruttezza umana non ci riguarda, non mi riguarda, è tutt’altro mondo rispetto al mio, un mondo violento, oscuro, animalesco. Non lo nego, mi sento migliore di tutto ciò, mi ritengo fuori da certe dinamiche. Decido di non problematizzare quello che succede. Non ammetto di essere dentro a questa realtà, ma ci sono dentro. Ci siamo dentro tutti. Prevaricazioni, abusi psicologici e fisici, violenze sessuali e molestie verbali avvengono anche nel nostro quotidiano. Se si dovesse scoprire un caso di abuso in una nostra compagnia, in un ambito politico che frequentiamo, in un gruppo di persone a noi affini probabilmente il tono di accusa e di sdegno verrebbero a mancare. La paura diventerebbe il sentimento predominante. Non parlo solo della paura che ha la vittima dell’abusatore/molestatore. Paura di essere giudicata, di non essere più accettata, di non essere capita. Si tende a minimizzare l’accaduto. Per non parlare del più classico dei casi dove si tende a giustificare il partner violento. Molto probabilmente il gruppo farebbe in modo che la notizia non uscisse della cerchia di persone che ne sono a conoscenza cercando anche qui di minimizzare l’accaduto.
Torno all’incipit di questa rubrica, articolo, approfondimento, chiamatelo come volete. Lo spunto che mi fa scrivere , come ho detto, è la voglia di un confronto tra generazioni. Bene, mi auguro che le nuove generazioni facciano più attenzione di quella che abbiamo dato noi a queste tematiche. Che le campagne mondiali in stile #metoo entrino più nel quotidiano e siano meno slogan che si perdono nell’etere. Spero che le nuove generazioni abbiano meno paura e molto più coraggio delle generazioni passate nel non transigere su certi atteggiamenti e nel caso denunciarli pubblicamente. Per quanto riguarda il mio pensare sono ancora lontano da concetti che vedono il femminismo come unica via rivoluzionaria, dalla teoria queer e ancora mi è oscuro il significato del “+” in fondo alla sigla lgbtq. Faccio una cosa strana per il classico figlio italiano. Dissento da mamma. Probabilmente, come ha fatto lei, non intraprenderò in prima persona percorsi improntati sul femminismo (anche se mai dire mai!), ma sarò sicuramente più incline a riceverne le suggestioni. Sapendo bene che non saranno mai più delle lotte marginali.

Vi lascio con un compito, andate a vedere la proposta di legge Pillon e cerchiamo di non far passare questa nefandezza.

the toxic Avenger

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *