Milano – Questione scali ferroviari – Un’intervista a Progetto Lambrate

La questione dei progetti di “riqualificazione” degli scali ferroviari, con quella relativa al programmato trasferimento di Città Studi nell’ex-area Expo, sarà una delle questioni all’ordine del giorno dei prossimi mesi (e anni) in città. Su questo e altro siamo andati a sentire le opinioni e le idee di Progetto Lambrate.

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-Cos’è Progetto Lambrate?
E’ un’idea venuta a quattro componenti del Collettivo OffTopic di mettere in piedi un’azione sul territorio che affrontasse il progetto del Comune ed FS sullo scalo ferroviario di Lambrate.
Tenuto conto che, per intelligenza sociale, Lambrate è sempre stato ed è tuttora un luogo vivo, depositario di una certa effervescenza.
L’idea è nata dalla considerazione che il quartiere è e sarà sempre più sottoposto a una forte pressione edificatoria.
Si è pensato di sperimentare un percorso partecipato per costruire un progetto alternativo sullo scalo ferroviario.
Se si potesse riassumere il tutto in tre frasi diremmo: “Chiamiamo tutti quelli che sono interessati, avviamo un percorso partecipato e sviluppiamo un progetto dal basso”.
-Quando nasce Progetto Lambrate?
Nasce con una ricognizione operata su Lambrate la scorsa Primavera-Estate da parte di chi viveva in zona.
Poi sono state organizzate tre assemblee partecipate che hanno contribuito a costruire il progetto.
All’inizio, le persone che si sono affacciate alle assemblee erano in difficoltà perché non capivano, si sentivano disorientati dal metodo inclusivo.
Ci chiedevano: “Qual’è il progetto!?”. E noi gli rispondevamo: “Siete voi il progetto! Dovete farlo voi!”.
Quando dai degli strumenti di libertà a persone abituate a vivere tra i paletti a volte si creano strani cortocircuiti e la gente non sempre capisce o accetta. Qualcuno si è sfilato dal percorso, confuso. Qualcun altro è anche tornato poi.
Qualcuno è addirittura arrivato a chiederci se fossimo di destra! (risate).
Di fatto, l’intenzione era di rimettere in campo il principio cardine del “diritto alla città” di cui si è molto parlato, ma che, progetto di riqualificazione dopo l’altro, sta spazzando via ogni valore di inclusività sociale.
Le assemblee si sono svolte tra Settembre a Novembre vedendo una partecipazione di circa una cinquantina di persone ad ogni assemblea.
-Perché avete scelto Lambrate?
E’ un territorio che ha una storia operaia nel suo passato. Ed è stato teatro di più di un’opera di riconfigurazione urbanistica.
Attualmente ci sono almeno 30/40 interventi in corso.
E’ una zona “sotto pressione”. Come dicevamo prima è un territorio ancora molto vivo e ricettivo dove puoi incrociare un tessuto sociale ancora dinamico.
E poi alcuni di noi abitano a Lambrate.
-Milano, dagli anni ‘80 ha subito una serie di gigantesche mutazioni economiche, sociali ed urbanistiche che sono diventate sempre più veloci. Come si può riuscire a “stare dietro” a questo ritmo infernale?
E’ una domanda difficilissima!
Secondo noi la risposta è su due versanti.
Come prima cosa devi stare su un progetto locale avendo a che fare con le strade e con la gente che ci abita. Bisogna concentrarsi su spicchi di territorio limitati stando ovviamente attenti a non scadere nel NIMBY (not in my backyard, n.d.r.).
Il secondo passaggio è quello di essere comunicativamente efficaci.
Ci sono movimenti che hanno elaborato contenuti spaziali, ma che scontavano una difficoltà sul piano comunicativo.
La sfida comunicativa è dettata dalla capacità di essere comprensibili a persone continuamente bombardate da migliaia di messaggi della natura più svariata.
Se non sei presente sui territori, hai già perso.
Devi renderti riconoscibile.
Fondamentale è poi avviare un processo continuo di demistificazione della retorica della politica istituzionale.
Dall’alto si parla continuamente di partecipazione, ma poi si negano i processi democratici di base e gli organi preposti organizzano solo momenti informativi e consultivi per la cittadinanza.
Siamo in una città che non ammette (nei suoi luoghi strategici) nessuna pausa dai processi di accumulazione. E in questo senso, gli scali ferroviari, ne rappresentano un esempio eclatante.
Bisogna cercare di dare vita a dei progetti che siano in grado di corrispondere ai meccanismi di esclusione della smart city.
-Parlateci più direttamente della questione scali.
I poteri della città considerano gli scali come dismessi o sottoutilizzati. Lo scopo è “metterli a valore”.
Gli scali sono: Porta Romana, Farini, Porta Genova, Rogoredo, San Cristoforo, Greco e Lambrate.
Degli scali si parla dai tempi della seconda Giunta Albertini… Siamo ancora nel 2005…
Ai tempi di Pisapia non c’era la maggioranza necessaria per votare l’Accordo di Programma.
Si parte da un accordo tra FS e Comune. Successivamente ci sarà un accordo tra FS e l’ente gestore che verrà creato ad hoc, magari attraverso una bella fondazione.
Le linee d’indirizzo mandate dai Municipi hanno una ricaduta concreta relativa.
Idem per l’Accordo di Programma che può essere ritoccato (e aggirato) in successivi accordi.
FS è un’azienda pubblica. La cittadinanza dovrebbe avere il diritto di poter dire la propria e di poter interferire nei processi decisionali.
Quella che è in corso è una latente privatizzazione di una gigantesca area pubblica. Questo processo produrrà plusvalenze che, come al solito, finiranno nelle tasche dei privati e solo un’esigua parte verrà investita sugli scali maggiori (Farini e Romana).
Come spesso accade si creerà un passaggio indebito di ricchezza tra pubblico e privato, una sorta di saccheggio regolamentato.
Gli scali vengono trasformati in aree edificabili.
FS cede le aree a un soggetto che alla comunità darà una fettina ridicola di benefici.
Il bene pubblico viene scollegato dalla rendita che diventa autonoma da qualsiasi controllo democratico.
-Perché secondo voi questa questione è così importante per la città?
Gli scali sono un gran bel luogo della mobilità.
Siamo in una città che opera il furto del tempo in cambio del denaro.
Gli scali sono le ultime grandi aree libere in centro a Milano.
Alcune scelte su queste aree importanti determineranno la città del secolo che viene.
I progetti sugli scali determineranno anche il cambiamento delle aree che gli stanno attorno (come la costruzione del Parco Sempione a fine ‘800 determinò l’esistenza dei quartieri che gli sorgevano attorno).
Questi progetti determineranno tutto, qualsiasi aspetto della vita: la rendita, i rapporti sociali e così via…
Sono centrali, sono grandi e sono determinanti per la città.
Nelle dichiarazioni della politica che amministra Milano il profilo del “nuovo cittadino” del futuro è già chiaro: giovane, cosmopolita, con una formazione internazionale e tendenzialmente tanti soldi da spendere…
Ecco perché il social housing viene dipinto come elemento di inclusività quando invece esclude una parte consistente della cittadinanza.

Lo scalo ferroviario di Lambrate con la gigantesca massicciata che divide, senza soluzione di continuità, Lambrate da Città Studi.

-Farini, Porta Romana, Porta Genova…e Lambrate?
Non sappiamo ancora quale sia il progetto ufficiale su Lambrate. Ufficialmente delle funzioni reali non si è ancora parlato.
Il progetto alternativo, che abbiamo costruito con la partecipazione del quartiere e di una parte di città, prevede la bonifica dei terreni, un sottopasso ciclopedonale, l’edificazione di una quota minima di edilizia residenziale e un campus universitario urbano al posto dell’ennesima “cattedrale nel deserto” prevista con la costruzione del Parco dell’Innovazione nell’ex-area Expo.
Le linee di indirizzo presentate dal Municipio 3 (che, in ordine cronologico, è stato l’ultimo municipio interessato dalla vicenda degli scali a presentarle) segnalavano l’esigenza di abbattere il “muro” che separa Lambrate da Città Studi peccato che quest’idea la avesse elaborata prima Progetto Lambrate.
E quando parliamo di muro non stiamo parlando solo di un muro metaforico,
considerate che tutta l’area che gravita attorno Via Rubattino, quella dove un tempo c’era l’Innocenti per intenderci, è separata da Città Studi dal gigantesco terrapieno della ferrovia, senza soluzione di continuità da Via Bassini (che collega Bottini a Rimembranze di Lambrate) al Cavalcavia Buccari (il ponte di Via Corelli, per capirci).
In Città Studi il “confine” con questo muro è disegnato dalla lunghissima Valvassori Peroni.
La nostra idea sarebbe quella di aprire un vero e proprio varco nel muro con un passaggio ciclo-pedonale che permetta un interscambio più fluido tra i due quartieri.
Nelle linee di indirizzo l’altra proposta prevede la costruzione di unità abitative.
Da un lato il Municipio 3 individua finalmente il problema abitativo che c’è in zona, specie per gli studenti, come cruciale, ma poi, come troppo spesso accade, risponde in modo del tutto inadeguato, rispetto alle reali esigenze poste, attraverso una formula escludente come quella dell’housing, che non è a portata di precario, per intenderci.
Progetto Lambrate prevede invece che uno stabile sia adibito a studentato.
Inoltre il nostro progetto prevede di non massimizzare le volumetrie ma di costruire lo stretto necessario.
Tenete conto che il Municipio 3 (uno dei bacini elettorali di Maran) si è dimostrato in qualche modo sensibile alle istanze venute dal basso perché qui ci sono più “rompicoglioni” che altrove…
E’ l’unica zona dove, il dibattito intellettuale, ha avuto delle ricadute concrete di attivazione.
Si può dire che, in qualche modo, gli stiamo col fiato sul collo.
Il nostro progetto è un’alternativa reale alla svendita totale al mercato che viene fatta passare, come del resto con Expo, come l’unica possibilità concreta e fattibile.
Il mantra da incrinare è quello del “non esistono progetti e strade alternative”.
Questo non è vero!
-E’ possibile una convergenza delle battaglie su Lambrate e quelle dell’ultimo anno contro il trasferimento di Città Studi nell’ex-area Expo?
Certo!
Le due cose si compenetrano.
Le trasformazioni urbane offrono la possibilità concreta di riconnettere un tessuto sociale.
Per la vertenza su Città Studi studenti e cittadini hanno iniziato a parlarsi.
Nelle differenze ci si riconosce come portatori degli stessi interessi!
Ci si è resi conto che le due vertenze vanno necessariamente a braccetto.
Il trasferimento di Città Studi a Expo sarebbe la vera e propria istruzione di un nuovo modello universitario, in cui l’ingerenza dei privati, soprattutto sul piano della didattica e della ricerca, diverrebbe massivo.
Perché andare a Expo se ci sono delle aree dismesse in zona e si può fare un campus urbano?
Per coprirsi dall’accusa di smantellare lo spirito universitario col trasferimento a Expo si millanta il trasferimento di altre facoltà a Città Studi!
Considerate che nel progetto di Expo i metri quadrati che spettano ad ogni studente diminuiscono! Il che la dice lunga sulle idee reali che muovono Vago e soci…
La necessità di trasferirsi è indotta. Fino al 2012 la Statale per Città Studi parlava di lavori di riqualificazione in quartiere poi “magicamente” il trasferimento a Expo, per risanare l’area e ripianare il debito di Arexpo S.p.A. Coincidenze?
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