Ora come fate col negozio!?

Da ieri sera ho il telefono che fuma a causa di chiamate e messaggi che per il 90% recitano: ”Ho letto la sentenza della Cassazione, adesso che fate col negozio?”.

Sono uno di quei ragazzi e ragazze che in questi ultimi 2 anni ha aperto un GROW SHOP, ovvero uno di quei negozi dove si vendono prodotti a base di canapa (compresa la tanto discussa cannabis light) e prodotti per la coltivazione di piante.

La sentenza di cui tutti mi chiedono è quella di cui oggi parla la gran parte dei giornali mainstream in maniera errata e fuorviante parlando di “divieto di vendita” e “chiusura di negozi del settore”.

Da addetto ai lavori, mi interessa affrontare la questione sotto due aspetti, quello legale prima, e quello economico poi.

Dal punto di vista legale non cambia quasi niente rispetto alla situazione in cui già ci trovavamo come commercianti e distributori. La sentenza di ieri è la classica montagna che partorisce il topolino, una cosa “all’italiana” insomma. Si parla di liceità della vendita di prodotti derivati dalla canapa (fiori compresi) se non presentano effetti droganti.

L’unica considerazione che si può fare leggendo questo estratto della sentenza è “GRAZIE AL CAZZO!”. Nella pratica non cambia nulla, ad oggi si vendono infiorescenze con Thc inferiore allo 0.6%  proprio perché non hanno effetti psicotropi ed è su questo che tutti ci aspettavamo una risposta o una conferma. Ieri attendevamo tutti un chiarimento che ci poteva aiutare a capire quali sono effettivamente i limiti per poter lavorare serenamente, senza infrangere la legge e senza incorrere in sanzioni che possono mettere in difficoltà la propria attività, ma come al solito, in questo paese nessuno di quelli che devono legiferare ha il coraggio di metterci la faccia.

Oltre al problema legale per noi lavoratori del settore, c’è anche il problema economico.

Un anno fa, io e il mio migliore amico (attualmente mio socio al 50%) decidiamo di rinunciare a quelle pochissime certezze che ci garantiva un contratto a tempo indeterminato, chiediamo un prestito alla banca e decidiamo di lanciarci in questo settore consci dei rischi che correvamo, ma fiduciosi sul fatto che quei pochi spazi grigi in termini di regolamentazione, sarebbero stati chiariti non tanto per “interesse” della classe politica riguardo al tema, ma almeno per quelli che erano gli aspetti economici di un settore che in Italia muove circa 40 milioni di euro all’anno.

Naturalmente così non è stato, e oggi sorrido pensando al fatto che giusto qualche giorno fa versavo allo Stato qualche migliaio di euro di IVA che deriva proprio dalla vendita di quei prodotti che oggi vengono chiamati droga dai ministri dello Stato. Sorrido meno invece, pensando che quando più di un anno fa abbiamo registrato la nostra attività, dichiarando chiaramente cosa avremmo venduto, nessuno degli organi statali con cui ci siamo rapportati ha parlato di illegalità.

Onestamente non sono mai stato una persona da “pianti di disperazione” e neanche questa volta lo farò, semplicemente valuterò la soluzione che sembra sempre più l’unica soluzione per chiunque voglia costruirsi un futuro lavorativo in uno dei mercati più floridi degli ultimi anni come quello della marijuana, andrò all’estero, dove chi ha voglia di mettersi in gioco viene tutelato dalle istituzioni, non sacrificato sull’altare della propaganda politica per accontentare quella fascia di elettorato che vive solo ed esclusivamente per limitare le libertà altrui, che si parli di fumare una canna, interrompere una gravidanza, amare chi si ama senza dare importanza al genere.

Fabio del Canapa House Torino

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