Pareggio di bilancio in Costituzione – intervista a Ines Ciolli


Il 17 aprile 2012, il pareggio di bilancio è stato definitivamente inserito in Costituzione tramite la modifica in seconda lettura da parte del Parlamento dell’articolo 81. Il provvedimento, in linea con i vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea e con le esigenze dei mercati finanziari, introduce il principio dell’equilibrio tra le entrate e le uscite nell’ambito della finanza pubblica, con evidenti implicazioni sulle possibilità di investimento in termini di welfare e servizi pubblici.

Mentre gli irlandesi, proprio oggi, sono chiamati alle urne per votare un referendum sulle misure di austerità imposte dal fiscal compact, in Italia e in molti altri Paesi dell’Ue, le richieste avanzate da Bruxelles sono state soddisfatte con una certa passività e senza il dovuto dibattito pubblico.

Ines Ciolli, ricercatrice in diritto costituzionale presso l’Università La Sapienza di Roma, in un’intervista esclusiva a MilanoInMovimento ha dato il suo punto di vista sulla modifica dell’articolo 81.

In termini pratici cos’è il pareggio di bilancio? Era menzionato nella Costituzione, prima della modifica dello scorso aprile?

Ogni Costituzione presta attenzione anche ai conti economici, c’è sempre un’attenzione a un “tendenziale” equilibrio di bilancio, in modo che non si crei un “buco” nei conti pubblici.

Il nostro equilibrio di bilancio era garantito dall’ultimo comma dell’articolo 81, che stabiliva che ogni legge che comporta nuove spese deve anche indicare i mezzi economici per affrontarle. Il Presidente della Repubblica può respingere la promulgazione di una legge se non c’è copertura finanziaria, e la stessa corte costituzionale può dichiararla illegittima se l’art. 81 non è rispettato.

Come è stata possibile nella pratica la modifica di un articolo della Costituzione?

La modifica di un articolo della Costituzione richiede un procedimento “aggravato” rispetto a quello delle leggi ordinarie. Il procedimento prevede che Senato e Camera approvino, due volte ciascuno, il progetto di legge costituzionale. La seconda approvazione deve avvenire a distanza non inferiore a tre mesi dalla prima. Il costituente ha voluto in questo modo che ci fosse il tempo per una riflessione, anche pubblica, sulle modifiche. Se la modifica viene approvata da una maggioranza inferiore ai 2/3 del Parlamento, c’è la possibilità di indire un referendum.

Nel caso specifico della modifica dell’articolo 81 questo dibattito c’è stato?

La rapidità con cui si è votato il testo e la mancanza totale di dibattito politico e pubblico lasciano veramente perplessi. Nelle Camere non vi era una minoranza interessata ad andare contro la riforma: le sinistre sono fuori dal Parlamento, e i loro giornali sono stati eliminati dalla scena pubblica – Liberazione e altri giornali di sinistra non sono più in edicola, resta solo il Manifesto che trasmette posizioni contrarie all’establishment.

La maggioranza compatta superiore ai due terzi non ha avuto alcun interesse al dibattito sul testo (che è mal formulato e rinvia tutto a una legge rinforzata successiva, quasi fosse stato scritto solo per accontentare l’Unione europea). Nei dibattiti parlamentari, che si possono consultare sul sito della Camera, è emersa qualche contrarietà tra i membri della Lega e dell’IDV, ma l’impressione è che nessuno avesse interesse a che il corpo elettorale decidesse autonomamente con referendm. In ogni caso, quando una maggioranza è così salda è difficile opporsi.

Quante volte è stata modificata la Costituzione?

In più di sessant’anni di vita la nostra costituzione è stata modificata meno di venti volte fino ad oggi. Le prime modifiche sono state degli aggiustamenti o meglio delle manutenzioni del testo; è dagli anni Novanta che, a mio avviso, il testo comincia a subire modifiche significative, a volte positive (giusto processo e immunità parlamentare), a volte ben più profonde (elezione diretta del presidente regionale e riforma del Titolo V che ha introdotto, almeno sulla carta, un forte regionalismo).

La modifica relativa all’introduzione del pareggio di bilancio rappresenta in qualche modo una novità rispetto ad altre modifiche apportate in passato?

La novità apportata dalla riforma sul pareggio di bilancio consiste nella rapidità con cui è stata approvata e anche nella volontà da parte dei parlamentari di evitare il referendum costituzionale. In occasione della riforma del Titolo V, ad esempio, lo stesso centrosinistra che aveva proposto la riforma si fece promotore del referendum costituzionale, pur essendo questo strumento solitamente riservato alle minoranze che si oppongono alle riforme costituzionali. Ma era chiaro che il referendum avrebbe sconfessato la riforma stessa per questo si è evitata la consultazione popolare.

Praticamente in tutta Europa si è evitato il confronto con il corpo elettorale, con i cittadini: Le tecnocrazie europee evitano quanto più possibile il confronto con i cittadini degli stati membri e i paesi le accontentano per paura della reazione dei mercati finanziari.

Parliamo di Costituzione e di applicazione della legge: quanto e in che modo gli articoli della Costituzione vanno effettivamente a influenzare i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario? È possibile che l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione sia solo un “spot” pro UE?

La riforma al momento è una scatola vuota: per capire come funzionerà bisognerà quantomeno attendere la promulgazione della legge “rinforzata” cioè ordinaria ma approvata a maggioranza di due terzi, che come dice lo stesso nuovo articolo 81 dovrà contenere le “norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni”; inoltre, sempre nel nuovo testo dell’art. 81 si stabilisce che questa legge “rinforzata” dovrà rispettare i principi stabiliti dalla legge costituzionale. Non è chiaro tuttavia se ci si riferisca alla legge costituizonale approvata in aprile, oppure se ci si aspetti una nuova legge costituzionale, ancora da approvare. Quindi mi sembra più una dichiarazione d’intenti, una rassicurazione nei confronti dei mercati finanziari e dell’Unione europea, che non una modifica sulla quale si è riflettuto e che fosse veramente necessaria all’Italia.

Pensando in particolare agli articoli della Costituzione connessi al welfare, l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione apporta delle modifiche all’interpretazione della Costituzione o della legge in generale?

In questo campo la preoccupazione è davvero notevole, visto che il pareggio si può sforare solo in casi eccezionali che la legge dovrà prevedere, cioè probabilmente i casi di calamità naturale e pochi altri. Gli investimenti anche in campo di welfare non si potranno più operare o saranno estremamente ridotti. La politica neoliberale dell’Unione europea non è interessata a uno sviluppo dello stato sociale, ma a che i conti siano in ordine perfetto e matematico perché questo vogliono i mercati finanziari.

Si sconta una visione miope anche dal punto di vista economico, perché questa politica potrebbe portare a una recessione ulteriore e a una stagnazione dalla quale sarà difficile uscire: solo investendo in risorse e persone si potrà crescere. Finora invece si sono adottate solo politiche di tagli per contenere la spesa pubblica: nuove tasse, ma in cambio di pochi servizi.

Mi chiedo però se lo Stato si possa accontentare di garantire ai suoi cittadini solo il minimo in termini di welfare, e non debba avere come finalità primaria invece l’innalzamento della qualità e della quantità di prestazioni ai cittadini italiani, che pagano tasse tra le più alte d’Europa.

Immaginiamo ad esempio i tagli della sanità. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale è allarmato perché tali costi sono sempre crescenti, contano sempre e solo i conti, e non si evidenzia che l’allungamento della vita è una grande conquista della civiltà; l’investimento pubblico porta a un innalzamento delle aspettative di vita, che è tra le più alte del mondo e a questo si dovrebbe rinunciare. Altro esempio è l’università pubblica, che costa poco in termini assoluti, e ancora riesce a esportare cervelli in tutto il mondo. Pensiamo anche agli investimenti destinati al restauro e all’arte, che sono altamente remunerativi. Gli sprechi si possono certamente contenere, anche se credo che non siano così ampi come si vuole far credere; si tratta sovente di slogan che hanno lo scopo di denigrare la gestione pubblica per favorire le privatizzazioni. Il business del futuro si farà proprio su settori quali sanità e istruzione, e questo ci dà un quadro completo sul perché si vuole tagliare la spesa pubblica e sostituirla con una gestione privata.

Ci puoi fare una rapida panoramica del pareggio di bilancio in altri Paesi europei o extraeuropei? Che differenze ci sono rispetto all’Italia?

In Spagna il pareggio è stato imposto tanto quanto in Italia, sebbene la Spagna nel decennio precedente sia stata considerata una Nazione virtuosa, con un alto tasso di occupazione e investimenti. Il mercato non l’ha premiata e ora si trova tra i Paesi a più alto rischio di default. È stato più facile imporle alcuni diktat proprio perché è sotto il bersaglio dei mercati.

La riforma è stata approvata con una procedura d’urgenza prevista dai regolamenti parlamentari, si è ricorsi al tribunale costituzionale per avere la possibilità di sottoporla a referendum, ma anche lì non è stato possibile.

La Francia di Sarkozy ha imposto una legge di revisione costituzionale, nell’ambito dell’alleanza con la Germania, che però non è ancora stata promulgata. Poiché le elezioni hanno conferito la maggioranza ai socialisti di Hollande, contrari alla riforma, l’approvazione appare improbabile (serve una maggioranza di 3/5 in una seduta comune di entrambe le camere).

La Germania ha approvato il pareggio di bilancio già nel 2009, anche se esso ha anche un valore diverso, perché il sistema federale favorisce il contenimento delle spese dei Länder ed è lo stato centrale a stabilire vincoli di spesa generali.

Tutti gli stati membri dovranno provvedere ad adottare con legge ordinaria o costituzionale il pareggio di bilancio. Portogallo e Austria hanno già annunciato il futuro provvedimento, vedremo come si comporteranno gli altri paesi, in genere Gran Bretagna e Cecoslovacchia sono i Paesi che si allineano con maggiore difficoltà a questi provvedimenti e che non hanno firmato il “fiscal compact”.

Si è in presenza di un atteggiamento passivo, riscontrato anche in Italia, che preoccupa: in Europa si contratta e si acquista legittimità non solo dicendo sempre di sì, ma anche proponendo soluzioni migliorative per tutti. Ci saranno sempre paesi deboli in Europa, e bisogna trovare delle forme democratiche per le decisioni economiche che li coinvolgano: non dimentichiamoci che l’Europa nasce per garantire la pace sul continente dopo la seconda guerra mondiale, e che il portoghese Soares e il tedesco Schmidt, due Padri dell’Europa, ritengono che questo “andazzo” potrebbe sollevare nuovi conflitti e nuovi scontri.

Cosa può fare chi mira a togliere il pareggio di bilancio dalla Costituzione? Quali vie può percorrere? Come funziona un referendum costituzionale? Come si organizza, che quorum serve, quante firme?

Il referendum costituzionale non potrà aver luogo, poiché in entrambe le Camere è stata raggiunta la maggioranza dei due terzi, e in tal caso la Costituzione non prevede che si ricorra al referendum costituzionale.

Non mi pare, dunque, ci possano essere altri modi per intervenire nel procedimento di revisione costituzionale, ormai arrivato all’approvazione.

Gianni Ferrara, autorevole costituzionalista, ha proposto di raccogliere le firme per un’iniziativa di legge costituzionale che modifichi la riforma appena approvata. La Costituzione prevede all’art. 71 Cost. che per l’iniziativa legislativa popolare si debbano raccogliere almeno 50 mila firme per presentare un progetto già redatto in articoli. La presentazione della proposta di legge avrebbe il merito di mobilitare i cittadini e di creare un movimento d’opinione e un dibattito, che è mancato sino ad ora. Sulla reale efficacia della proposta ho però qualche dubbio, è lo stesso parlamento che ha approvato la riforma costituzionale che ne dovrebbe discutere e dovrebbe poi approvare una proposta di contenuto contrario a quella appena approvata. Tuttavia, non si tratta solo di rifiutare in toto la riforma, ma anche di proporre un nuovo modo di dividere risorse pubbliche, ad esempio garantendo in Costituzione che una parte del bilancio sia destinata al finanziamento dei diritti sociali.

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