Quel muro tra “noi” e “loro”. Breve storia di Bartleby, Bologna.

portaDa ieri, a Bologna, chi passi da via San Petronio Vecchio, in pieno centro, noterà una porta murata. I mattoni sono stati appoggiati uno sull’altro con cura, poi il cemento li ha saldati, rendendoli una vera e propria parete. Un lavoro ben fatto, si direbbe. Chi passa da via San Petronio Vecchio, quindi, vedrà come al solito una libreria, un negozio di biciclette, una sala studio gestita da Comunione e Liberazione. La novità è questo muro: dietro, c’era Bartleby.

Nato nel 2009 dall’Onda, il movimento di contestazione della riforma Gelmini, Bartleby è un collettivo di studenti, artisti, ricercatori, musicisti che ha dato vita, in città, a un modo diverso di produrre cultura. Dopo diversi sgomberi da un edificio di proprietà dell’università abbandonato da anni, il collettivo ha ottenuto la gestione di un altro spazio universitario abbandonato, che da anni produce eventi culturali gratuiti e di qualità. Sono centinaia gli studenti, i ricercatori, gli artisti, i professori, gli scrittori, i musicisti che hanno attraversato questo spazio, arricchendolo e aprendolo davvero alla città. Da Bartleby potevi ascoltare ottima musica, sentire la presentazione di un libro, assistere a uno spettacolo, senza dover fare nessuna tessera. Tutto era veramente gratuito, e veramente di qualità.

Tra i tanti progetti, c’è la Common Library, una biblioteca, ma soprattutto un’emeroteca che conserva, catalogato con cura, un patrimonio davvero importante: quello delle riviste indipendenti italiane. Una produzione sconosciuta ai più ma assai interessante per cogliere cosa si muove, a livello culturale, sotto la coltre della crisi e delle sue narrazioni. Recentemente, la Common Library si era arricchita con la donazione di una parte del fondo delle riviste raccolte dallo scrittore e poeta bolognese Roberto Roversi. Sì, avete capito bene: le riviste di Roberto Roversi sono state murate dentro Bartleby. Murate.

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Lo sgombero, ieri, è avvenuto all’alba. Non è stata una sorpresa: Bartleby è “abusivo” – come ama ripetere il Rettore dell’università – da oltre un anno, da quando è scaduto il termine entro cui lo spazio avrebbe dovuto essere liberato, per essere poi ristrutturato e destinato a ospitare un nuovo spazio universitario – con sale studio, studentato ecc. Questi, del resto, erano i patti. Lo spazio era stato assegnato a Bartleby solamente in via temporanea. Peccato che né l’amministrazione comunale né l’università si siano adoperate per trovare un altro spazio dove il collettivo possa continuare le sue attività. Per oltre un anno il destino di Bartleby è stato un incognita. Si sapeva solo che se ne doveva andare. Dove? Non si sapeva. A un certo punto il Comune ha avanzato una proposta accettabile, per poi ritirarla senza spiegazioni. Sono seguiti mesi di silenzio.

Solo negli ultimi giorni, anticipando velatamente l’imminente sgombero, il Comune ha avanzato una proposta che di allettante, per il collettivo, ha proprio poco. Quella di trasferirsi, insieme al centro sociale Atlantide (al momento, l’ultimo spazio autogestito nel centro di Bologna), nella zona industriale Roveri, che dista 6 km dal centro. Nulla contro il lavoro sul territorio nelle periferie, per carità. Ma un progetto così legato all’università come quello di Bartleby, frequentato soprattutto da studenti, non può trasferirsi in una zona industriale senza uscirne snaturato. Per questo, la proposta è stata rifiutata.

Allo notizia dello sgombero è seguita una forte mobilitazione degli attivisti e degli studenti, e non solo, che conoscevano e frequentavano Bartleby. Numerosissimi sono stati gli appelli affinché al collettivo venga assegnato uno spazio idoneo. Sono state indette giornate di azioni e proteste. Sabato 26 gennaio, a Bologna, si terrà una manifestazione per protestare contro le politiche che governano la città e l’uso degli spazi. Non succede solo a Bartleby, infatti. Gli spazi autogestiti bolognesi stanno vivendo un momento molto difficile. Minacce di sgombero o sgomberi veri e propri stanno minando l’esistenza di molte realtà occupate, che dopo anni di attività costituiscono oramai una risorsa irrinunciabile per la città.

Come sempre, la questione è molto complessa, e ha a che fare con le politiche urbane. E’ sempre più evidente, ha sottolineato ieri sera con forza l’assemblea che si è riunita per affrontare l’emergenza dello sgombero, che realtà come Bartleby risultano scomode in un contesto in cui i centri delle città sono sempre più “vetrine” e sempre meno luoghi di integrazione e socialità. Non si tratta solo di salvare Bartleby, ma anche di promuovere un modo diverso di organizzare la vita cittadina, ponendo al centro la cultura e i bisogni veri delle persone. Per questo, oggi, quella porta murata, in via San Petronio Vecchio, fa male. Perché ci pone di fronte a un’amara verità. Quel muro, come è stato detto all’assemblea convocata d’urgenza ieri sera, è tra “noi” e “loro”. Tra la “nostra” e la “loro” idea di città. Un muro significa una chiusura, netta, che non lascia spazio al dialogo, al punto di incontro. Il muro divide, non lascia possibilità. Per questo Bartleby non si arrende. Per buttare giù quel muro e tutti i muri invisibili che attraversano la città.

 

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