Rabbia bruciante e vendetta. Nahel vive

Nanterre è una cittadina operaia situata nella banlieue a nord-ovest di Parigi.
Viveva lì Nahel M., morto ammazzato martedì 27 giugno da un colpo a distanza ravvicinata sparato da un poliziotto che gli aveva ordinato di fermarsi a un posto di blocco.
Dal momento della sua morte, centinaia di ragazzi si sono riversati nelle strade di Nanterre dando vita a una guerriglia urbana che ha travolto banche, edifici pubblici, negozi di grandi marche e anche caserme e municipi.

Video postati su Snapchat e Instagram (social che ieri sono stati oscurati in alcune zone francesi) mostrano scene di riot e numerosi incendi a Marsiglia, Lione, Pau, Tolosa, Lille, mentre la risposta del presidente francese Macron non ha tardato a farsi sentire;
45mila agenti di polizia sono stati dispiegati in tutta la Francia, ma la rabbia dei giovani ragazzi ancora non si è placata nonostante i numerosi fermi (per lo più arabi adolescenti) e 300 poliziotti rimasti feriti. La madre di Nahel, che poche ore dopo l’assassinio del figlio è stata accusata di alimentare i disordini che si sono scatenati fin da subito a Nanterre, ha chiamato una “marcia bianca” in memoria di Nahel, e migliaia di persone hanno affollato le strade chiedendo giustizia.
Anche il leader della sinistra radicale, Jean-Luc Melenchon, è stato accusato di alimentare le tensioni, per aver dichiarato “le forze di polizia vanno interamente rifondate”.

I riot di questi giorni, più che documentati sui social, ricordano le rivolte del 2005 in seguito alla morte di due giovani rimasti fulminati in una sottostazione elettrica mentre si nascondevano dalla polizia.
Le devastazioni e le azioni di sanzionamento dei manifestanti durarono 3 settimane, i due agenti coinvolti vennero sospesi ma 10 anni dopo vennero assolti da tutte le accuse.

Non è la prima volta, purtroppo si sa, che la polizia francese prende di mira in modo sproporzionato alcune minoranze: controlli d’identità serrati e arresti discriminatori colpiscono in particolare le persone di origine nordafricana e persone Nere.
L’assassinio di Nahel ha confermato le denunce di lunga data sulla violenza della polizia e sul razzismo sistemico all’interno delle forze dell’ordine contro le fasce medio povere della popolazione e le persone non-bianche.
L’ufficiale che ha sparato ora è in carcere in custodia cautelare, accusato di omicidio colposo, ma questa notizia non è bastata chiaramente a placare le proteste.


Giovani arabi che vivono a Nanterre raccontano le difficoltà di vivere nel loro quartiere di periferia.
Sono quartieri dove sono nati e/o cresciuti, mescolando la propria cultura e storia d’origine a quella del paese che è diventata la “seconda casa” dei loro genitori. 

Francia e Italia si assomigliano molto nella malgestione di questo fenomeno naturale che è l’interazione con le Nuove Generazioni; d’altronde, era troppo lungimirante forse per i governi delle democrazie europee pensare a cosa avrebbero prodotto anni di politiche imperialiste e coloniali in gran parte del continente africano (la Francia è Maestra), o un assetto confuso e poco lineare delle politiche migratorie di accoglienza e inserimento nella società.
Hanno preferito criminalizzare lo straniero, discriminare i figli e le figlie di genitori non-italiani impedendo loro di diventare cittadini prima della maggior età; hanno isolato le famiglie in quartieri periferici, gli unici luoghi accessibili economicamente a chi non ha redditi alti e accesso diretto al welfare.

Milioni di giovani persone arabe, nere, e in generale di Nuova Generazione in diaspora in EU, non finiscono il percorso di studi e svolgono lavori con contratti in nero, o affidandosi a espedienti per tirare avanti.
Musicalmente e artisticamente, diverse figure trovano lo spazio per esprimersi e per dar spazio alla propria voce lungamente silenziata, ma il vuoto tra queste generazioni e la politica diventa sempre più incolmabile.
Come si possono rappresentare le vertenze di più gruppi all’interno di una politica che ancora oggi si ostina a non riconoscere l’esistenza dei corpi diversi da quello bianco, maschio ricco, etero?
Non è una sorpresa la risposta repressiva messa in campo dalla politica francese, perchè rispecchia la mentalità di chi ha paura di riconoscere che il cambiamento non è in corso, ma è già più che avviato.

Le famiglie arabe sono tipicamente molto numerose, e consuetudinariamente i cugini con età ravvicinate fanno gruppo, e si dislocano per i quartieri della città. Non è anomalo, ad esempio in Marocco, vedere gruppi di bambini di sei o sette anni andare in giro per strada, e quando qualcuno dei cugini (veri o presunti) combina un guaio, tutto il gruppo si difende.
Cerchiamo questo tipo di familiarità anche quando cresciamo, anche fuori dalla nostra terra di origine. Le nostre famiglie, di sangue o per scelta, sono allargate.
La pallottola che ha ucciso Nahel ha provato ad uccidere ognuno di noi. Le botte che hanno dato ai suoi amici, che erano in macchina con lui e che dopo lo schianto sono usciti con le mani alzate ma hanno ricevuto solo pugni e schiaffi, sono botte che hanno dato simbolicamente ad ogni soggetto che esce dai canoni standardizzati imposti dai governi nazionali nati dalle colpe mai riconosciute dell’imperialismo in sud, centro e nord Africa.

Con la morte di Nahel non si contavano più le testimonianze di chi lo conosceva. La rabbia si è dilagata fin da subito, travolgente e decisa su più punti, quasi in maniera militare.
E’ stata quell’idea di far gruppo a rendere dirompente le azioni di guerriglia urbana e espropri in tutta la Francia, dal giorno in cui è stato assassinato Nahel.
In fondo, è possibile accettare la morte di uno di noi quando conosciamo le difficoltà che ha affrontato e le fatiche che ha dovuto sopportare sua madre per crescerlo in un terreno ostile come quello francese?

No, e lo sanno bene anche tutte quelle persone che hanno perso qualcuno o qualcosa per colpa degli abusi di potere da parte della politica e del suo braccio armato.
Dopo tutto quello che gli Stati europei si sono presi dalle nostre terre, dai nostri genitori, dalla nostra storia personale, la rabbia esonda chiedendosi che cazzo vogliono ancora da noi.
Vogliono toglierci anche la vita, come hanno fatto con Nahel, l’ultimo di una triste serie di assassinii di Stato.
Ma spero davvero che con la saggezza della strada capiranno quanto ci è cara, questa vita.

Nassi LaRage

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