The Dark Side of the Moon – Quattro mesi di disastro Covid nelle chiamate ai centralini delle Brigate

Sabato 20 giugno, nella piazza sotto la Regione, sono stati letti i testi di alcune delle migliaia di chiamate arrivate ai centralini delle Brigate per l’emergenza in questi mesi di epidemia. Ne emerge uno scenario allucinante e deprimente per un metropoli ricca come Milano fatto di lavori precari, sfruttamento, disoccupazione, abbandono, solitudine, malattia, povertà e un diffuso senso di vergogna nel chiedere aiuto. 

Foto di Giacomo Fausti

Lei ha ottantatré anni, in casa è da sola, lavorava alla Scala di Milano, nei camerini. Dice che la pensione non le basta neanche per pagare l’affitto e che deve aiutare i figli che sono via da Milano e sono senza lavoro da così tanto che non se lo ricorda neanche più l’ultima volta che hanno preso lo stipendio. E che però la cosa che le pesa di più è che lei è sempre sola .

Vive sola, ha 41 anni è in cassa integrazione che ancora non arriva, da marzo non lavora e già prima il lavoro era poco, ma adesso non c’è più. Signorina se venite io non posso alzarmi dal letto, sono sola, con l’ossigeno, però sto al piano rialzato e se potete la spesa me la dovreste portare proprio qui…

L. faceva le pulizie, sua moglie la domestica ma adesso li hanno lasciati a casa. In famiglia sono in 5, c’è anche il genitore anziano, e due figli. Dovrebbero seguire la scuola, ma il computer a casa non c’è e neanche la connessione. La casa è piccola, il nonno non si alza dal letto e nella stanza c’è lui e i due figli e non c’è posto dove stare.

Da tre mesi non lavora, la ragazza è senza documenti, a casa c’è sua mamma che non si alza e non cammina e ha dolori tutto il giorno. Senza documenti adesso un lavoro chi glielo dà? Neanche il dottore si fida a chiamare adesso.

In casa siamo due trans, adesso non si lavora più. Via Arquà, via Clitumno…prima c’era il parchetto di via Mosso. Poi hanno tolto anche quello. Ma ci si spostava. Adesso il lavoro è finito. Tutti hanno paura. Che nome vuole scrivere, quello sulla carta d’identità o quello mio da trans? Quello che vuoi, quello con cui vuoi essere chiamata…

Via Catullo un’altra via che ricorre…le storie sempre le stesse… Famiglia di quattro persone, senza lavoro. Famiglia di sei persone prima lavoravamo, ora aspettiamo la cassa integrazione, mia moglie lavorava in nero faceva le pulizie, adesso in casa non la vogliono più, perché la padrona ha paura… Famiglia di quattro persone nessuno lavora, la moglie incinta…

Mi chiamo S. non lavoro da tre mesi, in casa siamo tanti lavoravo solo io, ho l’asma è difficile respirare…anche mia mamma vive con me.

In casa siamo tre uomini, da dicembre nessuno di noi lavora, lavoravamo nei cantieri a volte sì e a volte no e da quando è scoppiato il Covid siamo a casa tutti e tre. Prima riuscivamo a mandare i soldi a casa, adesso siamo in tre e non bastano neanche per noi. Tre uomini in casa che non lavorano, è triste, ti deprimi e ti senti inutile, una nullità. N. però dice che appena si mette a posto col lavoro anche lui può aiutare e dare una mano…

Sono peruviano, mi chiedi il citofono? Non c’è niente sul citofono, perché io qui ho solo un posto letto, siamo in tanti, prima col lavoro eravamo sempre tutti fuori, adesso siamo tutti qui in casa senza niente da fare, senza lavoro siamo disperati ed è tutto molto triste.

Madre anziana con figlio invalido, sono pensionata, sono vecchia e mio figlio è disoccupato, è una pena vederlo sempre a casa, gli offrivano solo cose in nero e adesso non cerca neanche più, perché alla sua età e malandato com’è non lo vuole nessuno.

Sono invalida civile e vivo sola con mia mamma.

E’ dura ora…è sempre stata dura ma adesso ancora di più. Io sono invalido al 90%, sono solo con mia moglie. Il codice? Aspetti che non ho niente da scrivere, sono per strada chiedo, signore può scrivere lei per me che io non ce la faccio

Siamo in due e una ragazzina di dieci anni. Siamo invalidi tutti e due. Io ho un’invalidità del 78% e siccome sei sotto la percentuale giusta non ho assolutamente nulla, il REI non è ancora arrivata e tiriamo avanti con i 200 euro dell’altra invalidità…

Io ho perso il lavoro, mio figlio è invalido, va al Cps, gli hanno anche sospeso il REI, non ce la facciamo davvero più.

Sì signora, abitiamo nelle case popolari, siamo in sei in casa, mio marito è in dialisi e il mio bambino è disabile, è invalido.

Siamo in cinque in casa, mio marito è in cassa integrazione che ancora non è arrivata, io ho sessantatré anni, ci sono i miei figli disoccupati e mia cugina che non ha il permesso di soggiorno e adesso ha ancora più paura ad uscire.

Sono pensionata e da me vive un’amica che ha perso tutto…

Sono disoccupata e oltre al lavoro ho perso anche la casa, perché l’affitto non lo potevo più pagare e mi hanno buttata fuori. Adesso vivo da un’amica che quasi non lavora neanche lei.

Ho 80 anni e vivo al Corvetto, io ho fatto un ictus e adesso faccio fatica a camminare. Qual è il mio citofono? Qua son tutti rotti i citofoni non ne va uno, e se metto la targhetta col mio nome il giorno dopo me l’hanno tirata via…la cosa più difficile è vivere da solo adesso è ancora più dura. Bisogna prenderla come viene la vita, io queste qui le chiamo le case del manicomio, è un guaio vivere qui, qui cade tutto a pezzi.

Sono anziana e a casa ho mio figlio disoccupato. Ho sempre vissuto sui Navigli, da giovane ero sempre in mezzo alle situazioni, aiutavo anch’io, adesso è un disastro io son tutta rotta e non posso farlo più…

In casa sono io solo, sono separato, mia figlia la vedo poco, la posso vedere solo se posso darle da mangiare e adesso senza lavoro di cibo non ce n’è.

Abito nelle case popolari, sono sola, mio marito è scappato, se n’è andato via ma non mi interessa niente, tanto non lavorava neanche lui, però adesso io qua non ho niente.

Viviamo nelle case popolari, da quattro anni non lavoro, mia moglie è disabile e a volte c’è anche mio figlio che vive con noi, è separato e un posto dove stare non ce l’ha.

Foto di Giacomo Fausti

A Ponte Lambro è difficile, è un disastro, qui non ci arriva nessuno e cade tutto a pezzi. Io non lavoro, sono separato mia moglie se n’è andata via, vivo con mia figlia una ragazzina di dieci anni, ma come cresce una ragazzina con niente e a vedere tutto questo disastro qui?

Sì, vivo nelle case popolari qui a Ponte Lambro. Lavoravo nelle mense scolastiche e adesso sono a casa, nessun lavoro e chissà quando si riprende.

Case popolari, Ponte Lambro. Una figlia disabile in carrozzina. Nessuno di noi lavora. Citofono? Qui i citofoni sono tutti rotti.

Un signore chiama per la vicina di ottant’anni che non ce la fa più. A Ponte Lambro gli aiuti non arrivano mai.

Il mio nome è O. Ma perché i miei vicini hanno i pacchi e io no? Li portano a tutti tranne che a me…sì lo so che di roba non ce n’è tanta per nessuno, io una volta ero un fiore e adesso…non lo sono più…

Sono vedovo e pensionato, ma adesso in casa siamo in cinque perché c’è mio figlio, la sua compagna che viene dalla Moldavia e suoi figli che erano venuti qui a trovare la madre, dopo tanti anni che non la vedevano. Adesso col coronavirus sono tutti bloccati qui, nessuno si può muovere, di lavoro non ce n’è, la compagna di mio figlio faceva la badante in nero e adesso non la vogliono più. Siamo in cinque nessuno che lavora e in Moldavia non ci possono neanche tornare.

Parla un italiano stentato, è difficile capire nome e cognome. Vivono da un conoscente perché la casa l’hanno persa col lavoro, la moglie è in dialisi e ha preso il Covid ma ancora non le hanno fatto il tampone e in più ci sono i due figli.

Sono una mamma sola con due figli piccoli. Il lavoro vero non lo vedo da tre anni, solo lavoretti in nero sempre meno e sempre più faticosi, ma da quando c’è il Covid sono proprio a casa e me lo dice lei come devo fare?

Un anno e mezzo fa mi hanno fatto un intervento alla colonna vertebrale, poi di lavoro non ne ho visto più, ora anche la disoccupazione è finita e da gennaio non entra più niente.

In casa siamo sette persone, non abbiamo niente, nessuno lavora, potete mandare anche qualcosa per le pulizie perché neanche quello abbiamo. Ci sono due bambini e abbiamo bisogno di pannolini, ma di shampoo mettetene tanto perché qui siamo in sette e ci dobbiamo lavare tutti…

Siamo io e mio marito, mio marito è appena tornato dall’ospedale, l’hanno operato alla lingua, potete mettere nel pacco qualcosa per lui perché non riesce a mangiare niente…?

S. dice che in casa sono in sei, quattro adulti e due minori. Da come parla dopo un po’ si capisce che lui è uno dei due, la sua voce è tristissima.

Noi viviamo nelle case popolari, io mio marito e la bambina, non lavoriamo. Vivevamo con la pensione di mia mamma, ma ora è morta e siamo senza niente.

Foto di Giacomo Fausti

Urgente, come tanti ormai. Sono quattro adulti, il papà è invalido, poi sua mamma e suo fratello disoccupato, nessuno lavora. Però chiede un favore, siccome ha problemi ai reni e non riesce a portare i pacchi se la spesa si può portare davanti al portone…

Due adulti e due bambini, lei la mamma è da febbraio che non lavora, faceva le pulizie e faceva la badante. Adesso però la padrona ha paura e non la chiama più, forse qualcosa dopo l’estate chissà. Ma intanto di cibo non ce n’è più. Nessuno si aspettava questa situazione, questa tragedia qua…

La bambina è appena nata, non l’ho mai fatto ma adesso devo chiedere aiuto, mio marito è stato licenziato, siamo rimasti senza niente, ho bisogno di pannolini e latte in polvere che il mio con tutto questo stress mi è quasi andato via. I soldi non li abbiamo più neanche per pagare l’affitto.

La signora piange. Sono in due adulti più la sua mamma e tre figli. Lei faceva la domestica, da febbraio licenziata, suo marito costretto a prender ferie ma uno stipendio non lo vedono da mesi.

Qui di lavoro non ce n’è assolutamente più. L’altra notte alle tre sono andato al mercato, pagano tre euro e cinquanta all’ora per scaricare le cassette, che mi si spacca pure la schiena alla mia età, ma niente neanche quello. La crisi è grande davvero, e mi sale un’ansia terribile che è difficile tenere a freno.

Chiama il signor R. e dice io sono il vicino, chiamo io perché ogni tanto l’aiuto e adesso non so più a chi rivolgermi. Questa mia vicina è una signora marocchina e l’italiano lo sa poco. Il marito non c’è, è in carcere, tre bambini dice che non sono tanto a posto e che l’assistente sociale glieli vuole portare via. Adesso il signor R. è preoccupato perché i bambini fanno sempre confusione e i vicini stanno urlando contro la signora. Per favore bisogna far qualcosa in fretta…

N. viene dal Brasile, è qui da tanti anni e ha sempre lavorato, sempre nei cantieri, sempre in nero. Ora da quando è iniziato il Covid ha chiuso tutto e di lavoro non se ne vede e chissà per quanto e loro che erano in nero ora non hanno neanche la cassa integrazione, non hanno nulla. Non ho mai chiesto niente ma adesso faccio proprio fatica. Però dice ha la patente C e guida i camion e se abbiamo bisogno per le consegne appena si riprende un po’ lui a dare una mano c’è.

Case popolari vicino a piazza Selinunte, lo chiamano il quadrilatero, “se potete consegnare la mattina che il pomeriggio esco per cercare il lavoro che non c’è”. In casa due uomini: un uomo solo che ospita un ragazzo che vive in strada… “ora do anche il suo cellulare nel caso non ci fossi io. Che nome metto? Metti M. lui non si chiama proprio così, ma il suo nome italiano è questo…”

Chiamo dal Giambellino, noi siamo tre adulti, ma soprattutto chiamo per la mia vicina, sono marito e moglie e adesso il figlio a casa agli arresti domiciliari. Son disperati che il figlio a lavoro poi non lo vorrà più nessuno… Mandategli in fretta qualcosa perché loro sono davvero senza niente, io un po’ posso aspettare, ma loro no

Lui queste vicine le conosce da tanto, sono due bravissime signore dice, ma non hanno proprio niente, vengono dalla Moldavia e mi dice i loro nomi che suonano di russo. Chiama lui perché loro sono sorde e quando portiamo la spesa dovremmo citofonare, perché il citofono lo vedono, ma il telefono quello no…

Chiama una signora con accento latinoamericano. Chiama per ringraziare, perché non è solo la spesa è il non sentirsi abbandonati e trattati come persone, non come un peso che sembra che sia colpa tua che non lavori. Adesso però non chiama per lei, ma per la sua amica che è appena arrivata dall’Ecuador e sperava di lavorare e invece con questa pandemia è a casa senza niente.

Sono io e la mia amica anziana, anche lei, e glielo deve dire ad A. che ci porta il pacco, ormai ci conosce, quando lo vediamo arrivare è un amore, c’è tanto di quel bisogno qui…

Il cognome tradisce l’origine brasiliana. Racconta che è qui dal ’93, che non ha mai chiesto niente neanche quando era appena arrivata, mai neanche la disoccupazione. Ora l’ha chiesta a gennaio, ma non è mai arrivata. E io come mangio?

Ci sono quelli con il cognome lunghissimo… Wurnukulasuryia, Mihindukulasuryia, Weerapperruma… Lì il gioco dello spelling improvvisamente si inverte. Ora siamo noi a non capire più e a doverci fare guidare lettera per lettera per scrivere quei nomi che si portano dietro mondi. Ogni lettera è una conquista a trovare una lingua comune, a trovare città che siano immagini e case e strade per tutti e due. Che se L come Livorno suona come un mistero, io mi perdo in S come Sharisabari… L come lavoro, E come Europa…

Una volta la mamma passa direttamente suo figlio, un bambino che al massimo starà facendo la prima elementare. E allora A come albero C come cane… Ma vai a scuola? Sì, la scuola con il telefono, risponde. E che libri ti piacerebbe avere? La Pimpa…

Io sono qui a Milano per il trapianto di midollo per mio figlio. Siamo qui e dovevamo starci per poco e adesso siam bloccati, stiamo spendendo tutto per l’affitto e i soldi stanno davvero finendo e con questa storia del trapianto siamo ancora più a rischio, viviamo nella paura continua… Mi ripete il suo cognome? A come Alghero…. O come Olbia…. Dura essere qui dalla Sardegna…

Vivo da parenti perché una casa io non ce l’ho più. Abbiamo bisogno anche di carta igienica, di detersivi per pulire la casa, per lavare i vestiti In casa cinque persone due adulti e tre minori,

Sono una mamma sola, ho due bambine una di quattro anni e una di diciotto mesi. Non ho mai chiamato, ho sempre dato la priorità agli altri, ma adesso non ce la faccio più, cosa do da mangiare alle mie bambine?

Il bonus spesa non me l’hanno accettato, il comune dice che ho 5.000 euro in banca, ma se li avevo secondo voi mi mettevo a chiedere? Ma non lo sanno quanto è dura chiedere?

È un signore che chiama, chiama per la sorella che è malata, dice che lo rimbalzano tutti da una parte all’altra, che non sa più dove sbattere la testa, che è una pena fare queste chiamate, non sta mica chiedendo l’elemosina, uno ha il diritto di mangiare… Due adulti e tre bambini… dice che si vergogna a chiamare, che non l’ha mai fatto ma che adesso senza lavoro non ce la fanno proprio più e che sta finendo tutto il cibo.

Vivono in un capannone abbandonato, in zona quattro, oltre la ferrovia. Chiama una signora e dice che sono in tanti e che adesso però non chiama per lei ma per altri due signori che vivono qui, che si vergognano a chiamare. Però di portare in fretta il cibo perché loro non hanno proprio niente e anche detersivi e il bagnoschiuma per lavarsi…

Quanti siamo? Siamo in sei, due adulti e quattro bambini. L’indirizzo? Abbiamo perso tutto, lavoro, casa, tutto… adesso viviamo in un camper, il pacco se mi telefonate possiamo prenderlo davanti al vecchio mercato comunale, a fianco della farmacia, però fate in fretta che qui non abbiamo più niente.

Vicino al parcheggio di Romolo, c’è una baracca, vivo lì dentro, vicino a un asilo abbandonato, non c’è luce, non c’è gas, non posso uscire sono in quarantena, qui io non ho niente e non posso mica morire di fame…

* foto in copertina di Giacomo Fausti

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3 risposte a “The Dark Side of the Moon – Quattro mesi di disastro Covid nelle chiamate ai centralini delle Brigate”

  1. Orsola iora ha detto:

    Quando vengo a Milano vedo che in periferia ci sono terreni marginali che potrebbero sfamare molta gente.
    L’umanita’ e’ sopravvissuta fino al secolo scorso autoproducendo il proprio cibo e a questo e’ ricorsa recentemente anche l’ex Unione sovietica dove in molti, dopo il crollo dell’economia degli anni ’90, sono riusciti a sopravvivere gazie a terreni dati loro in comodato dallostati.
    C’e’ anche l’esempio di un paese africano che riesce ad accogliere dignitosamente molti profughi semplicemente assegnando ad ogni famiglia un pezzetto di terreno.

  2. Elettra Munna ha detto:

    È estremamente doloroso,sentire tanta sofferenza senza materialmente fare qualcosa. Se venisse aperta una – passatemi il termine – “sovvenzione a distanza” completamente anonima e privata per sostenere una famiglia in difficoltà per un periodo, in attesa che le attività riprendano aderirei senza riserve

  3. Emanuela ha detto:

    Ma quanta sofferenza!! Il cuore davvero soffre…le realtà di povertà ci sono anche nel mio quartiere. Periferia Nord di Milano. Un abbraccio forte

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