Lo Spazio Occupato Lambretta, ovvero l’illegalità della legittimità

183 giorni: il tempo per cui quattro villette, in zona Città Studi, sono giuridicamente rimaste in uno stato di illegalità.
Gli abitanti della zona lo ricordano benissimo: tra Via Apollodoro e Piazza Ferravilla, quelle quattro villette vuote da anni, troppi anni, erano ormai alla mercé degli spacciatori e dei consumatori di eroina, che puntualmente vi facevano uso di questa e altre sostanze; e quando ciò non avveniva nelle villette, ecco che gli eroinomani si spostavano nel parchetto della piazza, creando una situazione esasperante per tutto il quartiere. Affacciandosi a pochi metri, su Viale Romagna, ci si trova di fronte alla sede dell’ALER, l’ente pubblico incaricato di gestire le abitazioni in questione, a cui sembra non fossero noti il loro stato increscioso e la situazione paradossale che questo aveva creato. Nel pieno della legalità.

 

Poco distante, nel quartiere di Lambrate, alla fine del 2011 un gruppo di studenti delle scuole superiori e universitari decide di avviare un ambizioso progetto politico: proporre e portare avanti iniziative politiche nella delicata Zona 3 di Milano, che a una storica presenza di forze di estrema destra associa problemi sociali e urbanistici che poche volte vengono presi seriamente in considerazione dalle personalità politiche e dai media. Nasce così il Collettivo Lambretta, dal nome della celebre motoretta che veniva prodotta proprio negli stabilimenti Innocenti di quella zona, e con esso una nuova forza dalle mille risorse: dagli incontri dei suoi membri nei bar di zona e nelle case degli stessi si decide ora la realizzazione di un murales antirazzista, ora una biciclettata nei punti sensibili del quartiere, ora una passeggiata antifascista contro le provocazioni del partito neofascista Forza Nuova.
I destini del Collettivo Lambretta in ascesa e delle quattro villette in rovina si incontrano poco tempo dopo: la decisione di avere una base fissa e stabile da una parte, una situazione esasperata e ulteriormente intollerabile dall’altra, portano i membri del collettivo, il 24 aprile del 2012, a entrare nelle villette di Via Apollodoro, occupandole e ponendovi la propria sede. Inizia qui il loro stato di illegalità.

 

Dal primo giorno, partono gli urgenti lavori di bonifica che lo spazio richiede: viene raccolto un intero secchio di siringhe e scatole di metadone, il giardino dopo anni viene di nuovo curato e ci viene piantato un orto, e gli interni, invasi dalla muffa e in alcuni casi allagati, vengono sistemati e rinnovati. La sorpresa e l’entusiasmo del quartiere sono tali che, prima ancora che si vedano maggiori risultati, alle assemblee pubbliche di quello che ora è lo Spazio Occupato Lambretta partecipano più di un centinaio di residenti: vogliono ringraziare chi è riuscito, finalmente, a liberare il quartiere dal degrado, vogliono esporre propri progetti e dare dei consigli, o semplicemente vogliono conoscere i ‘‘nuovi vicini’’. Gli stessi che, in pochi mesi, metteranno a disposizione del quartiere una palestra, due bar, un laboratorio di falegnameria, un’aula studio e una connessione wireless gratuita, mentre continueranno i lavori per una foresteria e una sala prove.

 

L’impegno, ovviamente, viene portato avanti anche sul piano politico. Il Collettivo Lambretta non solo promuove diversi eventi all’interno e all’esterno dello spazio, ma partecipa come realtà politica a numerosi cortei,  aspetto favorito anche dalla nascita, nello spazio, di un coordinamento di studenti. E non fa eccezione il rapporto con le istituzioni, per cui si mantiene un continuo dialogo con membri del consiglio di zona e del consiglio comunale, volto alla regolarizzazione del posto e ai chiari benefici che questa comporterebbe. Tuttavia è dopo mesi di progetti, iniziative e trattative che fanno pensare che il Centro Sociale goda di un buon livello di stabilità grazie al suo impegno, che arriva un’inaspettata e temuta doccia fredda.
Le prime notizie riguardo a un possibile sgombero giungono nel bel mezzo dell’estate. Tra luglio e agosto, in una città quasi deserta, grazie alla mobilitazione dell’intero quartiere si riesce ad ottenere il rinvio dello sgombero, che permette anche di fare chiarezza sul perché della sua urgenza del tutto inaspettata. Le sollecitazioni di sgombero provengono principalmente da due entità: l’ALER in quanto proprietaria degli immobili, e Massimo Zambetti, all’epoca assessore alla Casa della Regione Lombardia. Lo stesso Zambetti che, a settembre, sarà sconvolto da uno scandalo che lo vede colluso con la ‘Ndrangheta (con i voti della quale è stato eletto) e che porterà al suo successivo arresto. Ciò nonostante l’iter burocratico necessario per completare lo sgombero non si ferma, e termina anzi, il 23 ottobre, proprio con lo sgombero dello spazio: dopo un tentativo di resistenza parte degli occupanti sale sul tetto di una villetta, mentre per strada si riuniscono diverse centinaia di persone, tra studenti, compagni e abitanti del quartiere, che con numerosi cortei esprimono la propria rabbia e indignazione per l’accaduto.

 

E’ la fine dell’esperienza del Collettivo Lambretta nelle villette di Via Apollodoro. Un finale triste, per certi versi, che lascia l’amaro in bocca per molti dei suoi aspetti assurdi: l’ipocrita e insensata battaglia personale intrapresa da alcune istituzioni, la fiacca, se non assente, presa di posizione da parte di altre, ma soprattutto la condanna bipartisan e a priori di un progetto che non rientrava in un ambito completamente legale. Chi è abituato a frequentare realtà di questo tipo, ma non solo, capisce subito un concetto non scontato e fondamentale: la grande differenza che può sussistere tra legalità e legittimità. La legalità è qualcosa di terribilmente burocratico, insensibile, che può essere legato a un concetto di giustizia arbitrario e personale di chi scrive la legge; ben diverso carattere ha invece la legittimità, legata a quelli che ogni individuo vede come aspetti giusti e diritti inalienabili, e che quindi è spinto a perseguire fin al di là della legalità. Se è illegale che due persone dello stesso sesso si sposino, quanto può essere illegittimo permettere a due persone immature e impreparate di sposarsi, e magari di crescere anche un figlio? Di fronte alla legalità del destinare milioni di fondi pubblici alle scuole private, che legittimità trovano gli incessanti tagli alle scuole pubbliche e ai servizi di base? E se non è illegale che uno spazio sia fatto sgomberare da un ente pubblico che l’ha ignorato per anni e da un politico eletto coi voti della mafia, è davvero illegittimo che un gruppo di persone, indignate dal degrado in cui versava, invece di rimanere a guardare abbiano agito personalmente e l’abbiano trasformato in una risorsa per il quartiere, dal danno che era?
Fatto sta che, dopo 183 giorni di illegalità, le villette di via Apollodoro sono ritornate alla legalità. Finalmente? Al lettore il giudizio.
A fare da sottofondo all’operazione di sgombero, nello scuro pomeriggio del 23 ottobre, quando una foschia invernale faceva passare a malapena i già pochi raggi di sole, probabilmente tra gli ultimi della stagione, erano i versi di una celebre canzone di De André, quasi un monito per tutti i presenti, da entrambe le parti:
 

 

‘‘E se credete ora che tutto sia come prima
perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare la paura di cambiare,
verremo ancora alle vostre porte, e grideremo ancora più forte’’
 
 

 

Perché coloro che si fanno scudo della legalità per ignorare e calpestare la legittimità delle persone e delle loro idee, per quanto si credano assolti, sono per sempre coinvolti.

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