Il paese forcaiolo e il carcere preventivo

“Nelle carceri italiane i detenuti in attesa di giudizio sono più di 28 mila (il 42% del totale) e sono troppi”. Così dice il Ministro della Giustizia Severino all’apertura dell’anno giudiziario pochi giorni fa (leggi qui).

Immaginatevi 28.000 persone, poco meno della capienza dello stadio di Bologna, rinchiuse in galere spesso fatiscenti, in cui è difficile solo pensare di alzarsi dal letto perché manca lo spazio, in cui uno dei problemi principali è che fa freddo.

Ecco, tutte queste persone sono detenute preventivamente, senza che via sia ancora stata una sentenza che accerti la loro colpevolezza, sono quasi la metà della popolazione carceraria.

Il Ministro afferma che bisogna riflettere e che occorre valutare con particolare equilibrio e attenzione il ricorso alla custodia cautelare in carcere: “il sovraffollamento delle carceri è la maggiore preoccupazione del governo”.

Gli arresti NO TAV, 26 in totale, rendono queste parole insopportabili ed aumentano la rabbia di questi giorni, per l’ipocrisia delle affermazioni nella migliore delle ipotesi o, ancor peggio, per la loro inutilità e totale incapacità di incidere sulle scelte della magistratura di questi brutti giorni.

Se il carcere di per sé è disumano e degno della nostra imperfetta società, la detenzione preventiva è inaccettabile, anche solo astrattamente, a maggior ragione, quando non soddisfa neanche i requisiti previsti dalla legge che ne permettono l’applicazione.

Il concetto giuridico da incidere nel marmo, anche se alquanto banale, è che l’accusato in attesa di giudizio si presume, fino a sentenza definitiva, non colpevole e dunque non è legittima alcuna limitazione della libertà se non laddove sussistano gravi indizi di colpevolezza e specifiche esigenze cautelari (reiterazione, pericolo di fuga, inquinamento probatorio). Tali esigenze devono essere accertate in concreto, non sono in alcun modo sufficienti mere presunzioni.

In secondo luogo, qualora sussistano tali requisiti le misure cautelari devono essere proporzionate e ristrette al minimo indispensabile. Il nostro legislatore si è “premurato” di prevedere molte e variegate misure cautelari che siano in grado di modulare le restrizioni alla libertà a seconda della gravità delle esigenze che vengono in essere: divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, allontanamento dalla casa familiare, divieto od obbligo di dimora, arresti domiciliari e custodia in carcere.

Anche chi è duro di comprendonio, per essere molto gentili, si renderebbe conto che il carcere è e deve essere, nell’impianto previsto dalla legge, extrema ratio: qualsiasi manuale di procedura penale vi dirà che l’applicazione del carcere preventivo è residuale, qualora le altre misure cautelari non siano sufficienti a soddisfare gli scopi predetti.

Tale breve riepilogo serva a far capire ancor più l’ingiustizia della carcerazione preventiva non solo nella teoria, quale barbaro retaggio di uno stato non democratico, ma ancor più nella sua applicazione ai casi concreti, che dimostrano un abuso da parte delle istituzioni, non giustificato nemmeno dai presupposti legislativi.

Gli arresti NO TAV non sono in alcun modo giustificabili, il rischio della reiterazione di alcune condotte è un inutile giustificativo per prevenire lesioni che ancora appaiono non accertate come conseguenza degli atti contestati.

L’ingiustizia che stanno subendo le persone arrestate è lampante e chiunque si professi contro qualsiasi torto, chiunque si riempia la bocca di democrazia, senta sulla sua stessa pelle l’aberrazione della loro detenzione.

Siamo tutti con voi.

Niccolò libero, liberi tutti.

2 risposte a “Il paese forcaiolo e il carcere preventivo”

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