Sulle condanne per il corteo della Festa della Donna del 7 Marzo 2009

1457748_614956365237991_1972798647_nIl 25 Novembre 2013, in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, un considerevole numero di condanne si è abbattuto su un altrettanto considerevole numero di compagne e compagni che nel 2009 si sono resi colpevoli di aver contestato un pacchetto sicurezza tanto ipocrita quanto dannoso e un’iniziativa pretestuosa della signora De Albertis, all’epoca rappresentante di un nascente partito chiamato Nord-Destra (un nome un programma, nel vero senso della parola), che distribuiva fischietti e pepper spray per la difesa delle donne.

Il 7 Marzo del 2009 abbiamo organizzato una manifestazione per portare un po’ di contenuti in una ricorrenza, la festa della Donna, ormai completamente svuotata del suo significato originale, e piena invece di melensaggini e falsa emancipazione fatta di spogliarelli e mimose. Si parlava a gran voce di un PACCHETTO SICUREZZA, proposto dall’allora Ministro Maroni, che avrebbe finalmente riportato l’ordine nelle strade. Non ci è sembrata una forzatura portare questo tema all’interno della manifestazione, perché da sempre sicurezza e donne sono un binomio vincente per le campagne elettorali di destra e di sinistra, e da sempre sembra che l’unica soluzione per “proteggere” le donne dalla violenza maschile sia la repressione, la condanna e la punizione, senza nessun accenno a prevenzione e cultura. Il pacchetto sicurezza di Maroni ovviamente andava esattamente ad inserirsi in quella corrente politica deprecabile e miope che non sa assumersi responsabilità. All’interno del pacchetto sicurezza non si parlava di donne nello specifico, ma si introduceva il reato di clandestinità, venivano inasprite le pene per i graffitari, veniva prolungato il tempo di permanenza nei Cie e reintrodotto il reato di oltraggio. Veniva inoltre reso legale l’uso dello spray al peperoncino come arma di difesa personale, e veniva data la possibilità a cittadini organizzati (meglio se ex appartenenti a forze dell’ordine, esercito e corpi di vigilanza) di formare le “ronde”, in teoria per la sicurezza del cittadino, in pratica per dare la possibilità ad individui repressi di poter esprimere tutto il proprio machismo e la propria arroganza, forti del la nomina data da ministri ancor più presuntuosi.

Il tema della violenza sulle donne è oggi all’ordine del giorno dell’agenda politica grazie alla farsa del “decreto sul femminicidio”, che ben poco parla, ancora una volta, di cultura e autodeterminazione, di responsabilità e rispetto, ma inserisce nei suoi capitoli la repressione della lotta No Tav e altre aberrazioni, che niente hanno a che vedere con l’obiettivo che il decreto si prefigge.

Nel 2009 c’eravamo in quella piazza, e non nascondiamo che ci saremmo ancora oggi, e domani, e fino a quando sarà necessario, fino a quando non cominceremo a sentir parlare di sicurezza in un altro modo, di benessere del cittadino, uomo o donna che sia, di autodeterminazione dei corpi e delle vite, di vivibilità delle città, di responsabilità collettiva e coraggio, quello che per fortuna come noi tanti uomini e tante donne hanno, uomini e donne che quotidianamente combattono contro un sistema che non può che insegnare sopraffazione e violenza per il proprio successo personale, sistema che scarica sui migranti le colpe di una società che non funziona, o che si sfoga sulle mogli, le fidanzate o le donne in nome di un amore che amore non è, o che reprime qualunque tentativo di messa in discussione dello stato di cose, dai centri sociali all’arte di strada, dalla musica per tutti alle manifestazioni.

Le condanne che ci sono state inflitte non hanno nulla a che vedere con gli strumenti di punizione e repressione del dissenso che abbiamo visto utilizzati a Roma o a Genova, dove le vite di giovani uomini e donne sono state giudicate così poco importanti da poter essere sospese, in carcere, per 5, 6, 10 anni. Noi parliamo di alcuni mesi di condanna. Ma ciò che colpisce oggi è che evidentemente dietro a queste condanne, come alle molte altre che abbiamo subito e che mettiamo in conto per il futuro, ci sta una precisa idea politica: accumulare piccole condanne spaventa, fa temere chi le subisce, permette ai tribunali di diventare strumento preventivo per l’ordine pubblico, di cancellare tutto ciò che c’è di senso e di contenuto nelle proteste che quotidianamente vengono mosse da giovani, studenti, lavoratori, disoccupati, donne, in un paese che va a rotoli in virtù della semplice “legalità”, o ne stai dentro o sarai punito.

Vale la pena forse, farci una riflessione su questo, non per fermarsi, ma semplicemente per farsi più furbi. C’è sempre un modo per aggirare le leggi ed evitare i tribunali, si tratta solo di trovarlo.

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