Ore d’aria – Quarta Puntata

1104672_mIn questo spazio ci prendiamo un po’ di tempo: quello che si può leggere qui è frutto di un lavoro completamente autogestito da parte di alcuni detenuti all’interno del carcere di Opera di coinvolgimento e di raccolta di scritti e poesie. 

A volte gli autori si firmeranno altre volte no. Ma questo conta relativamente, quello che conta è che delle parole scritte in una prigione avranno una finestra per uscire. E per una volta senza il consueto protocollo di bollettini sulla brutalità delle istituzioni totali o l’assurdità dell’idea che seppellire vivi degli esseri umani serva a redimerli dalle loro colpe.

No, questa volta leggeremo le parole per come arrivano, senza un tema preciso. E per questo ancora più significative perchè parleranno senza filtri. Secondo i codici del linguaggio poetico o del racconto.

Sarà un piccolo spazio che ritaglieremo, periodicamente e senza scadenze fisse, all’interno della vita quotidiana di Milanoinmovimento.

Perchè anche questo per noi è movimento: donne e uomini che non si arrendono all’abbruttimento del carcere e cercano la libertà attraverso la parola scritta e la poesia.

 

Ti cerco

ti cerco in questo grande caos, il nostro amore

impatta contro muri tristi e troppo alti

non c’è spazio per le emozioni

tra questo delirio di sbarre e cemento

tu porgi la tua soffice mano alla mia sofferenza

cerco di prenderla, saldarla in un amore eterno

ma riesco solo a sfiorarla

tra noi squallide mura

evapori lasciandomi tra un fumo triste di ricordi

lacrime solcano il mio viso

l’amaro solca il mio animo

(Pemo)


Rientro in carcere

Così rientro in carcere.

La mente vacilla, mi succedono cose strane che non riesco a capire.

Mi sento chiamare al di là delle mura. Ma non c’è nessuno.

Non so nemmeno io cosa mi è successo.

Sentivo voci che mi chiamavano ma poi non c’era nessuno.

Vedevo ombre… a volte erano persone con cui parlavo… ma non sempre erano reali.

Un giorno l’agente mi dice di preparare la roba: “sei liberante!”

ma era solo una voce nella mia mente.

Non è facile descrivere la pazzia.

Tutto si confonde, la realtà si mischia con il sogno e col desiderio.

Alla fine non distingui la realtà dal sogno.

In carcere non ti puoi permettere la pazzia: o rientri in te o l’alternativa è il suicidio.

Ho scelto, se così si può dire, la vita.

Ho affrontato la realtà del carcere e ho smesso di sognare.

Smettere di sognare in carcere è facile, basta non pensare.

Smettere di essere te stesso, alzare le barriere mentali, diventare quello che altri vogliono che tu sia… tutto diventa possibile.

Così diventi.. o sei? …o appari soltanto? Un nemico della società!

In carcere sono entrato col cartellino rosso: vuol dire che ero una persona pericolosa.

La cosa era dovuta alla tipologia del reato: tentata evasione e aggressione agli agenti.

Il problema si ripercuote sul rapporto con i tuoi compagni di detenzione: sei rispettato, ti considerano uno che sa il fatto suo, non importa che tu quell’azione l’abbia fatta in un momento di poca o tanta lucidità.

Mi avevano arrestato nel ’70 per un qualcosa che non avevo commesso (su cui poi sono stato assolto), doveva nascere il mio primo figlio, di conseguenza avevo perso la testa. In carcere ci sono rientrato quando Alex aveva pochi mesi. In virtù della mia reazione all’arresto precedente.

Il carcere è una scuola di violenza, devi imparare in fretta. La scelta è tra subire o non subire. Diventare un galoppino per tizio o caio, oppure un ragazzo d’azione. Cosa comporta diventare un ragazzo d’azione? Devi essere sempre pronto all’offendere. Sai che dopo uno sguardo di sfida, ci sarà una conseguenza. Non aspetti, agisci per primo. Diventi una persona diversa, fai fatica a riconoscerti. Col tempo il ragazzo che eri non te lo ricordi più. La violenza diventa il tuo mondo.

Diventi uomo?

Cosa provi quando esci dal carcere?

Un senso di smarrimento.

Ti guardi attorno per vedere se qualcosa è cambiato, ma tutto è come l’hai lasciato:

le persone, le cose, i luoghi… l’unica cosa che è cambiata sei tu.

Non ti senti libero, la prigione ti segna per sempre.

È come se ti avessero messo un microchip che ti condiziona la vita.

Rimani prigioniero di un qualcosa che on sai definire.

La casa diventa una prigione. Le persone che ti amano, catene. Diventi un cacciatore di libertà. La caccia è impossibile, l’ambita preda si è estinta. È morta in carcere

(L.P.)


L’evaso

ha scelto di evadere da questa isola felice,

probabilmente non gli interessava il teatro,

della palestra non sapeva cosa farsene,

delle belle parole si era stancato,

ma che voleva costui?

Forse giustizia, speranza, aiuto.

Tutte parole prive di significato in questo luogo!

Capito che cercava l’impossibile, ha scelto di andarsene.

E velocemente lo ha fatto,

ha chiamato l’agente,

e si è aperto la gola… se n’è andato!

Morire così non è di facile comprensione,

vivere in un luogo così perduto non è facile,

probabilmente l’isola felice non c’è!

(L.P.)

Questa è dedicata a un detenuto che ha deciso di togliersi la vita…

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