AND THE WINNER IS…
Mentre in Turchia un intero popolo si batte per difendersi dall’autoritarismo di Erdogan e dai soprusi della polizia, in Italia assistiamo all’esito di una nuova tornata elettorale che segue quella ricca di sorprese e colpi di scena dello scorso Febbraio. Ma che scenario ci consegnano queste elezioni amministrative, a poco più di un mese dal varo del governo delle larghe intese, esperimento politico nostrano in difesa della prosecuzione dell’austerity e dei sacrifici imposti dall’Europa?
Sicuramente di dati su cui riflettere ce ne sono. Partiamo da quelle che possiamo considerare come buone notizie, a prescindere dalla nostra partecipazione emotiva alle sorti dello strampalato centrosinistra italico. Con buona pace dello storico neofascismo romano, Alemanno è stato pensionato dai suoi concittadini, probabilmente stanchi dopo cinque anni di pessima amministrazione del territorio, clientelismo dilagante e solita retorica xenofoba, giusto per non tralasciare un aspetto fondamentale del background della destra italiana (basti ricordare la vergognosa campagna d’odio anti-rom scatenata in sede pre-elettorale nel 2008). Anche Treviso ci riserva una vera sorpresa, con il sindaco-sceriffo Gentilini che viene spodestato in una delle città più rappresentative del potere leghista nel settentrione. Alla realtà trevigiana e a Roma si aggiungono tutte le altre città in cui il centrosinistra si porta a casa la partita, sia laddove poteva essere in partenza più favorito, sia dove il match appariva inizialmente più arduo, o per tradizione o per recenti accadimenti (vedi la piazza senese, scossa negli ultimi mesi dallo scandalo del Monte dei Paschi, legato a doppio filo al Partito Democratico). A una rapida analisi, la vittoria su tutta la linea del centrosinistra potrebbe trarre in inganno, nel senso che potrebbe far credere che, dopo la clamorosa debacle invernale, gli umori politici del paese siano cambiati drasticamente e il PD abbia ritrovato il consenso negatogli a Febbraio dagli elettori. Infatti, a un PDL che era dato da tutti i sondaggi in rapida ascesa, se ne sostituisce uno poco votato e poco seguito da uno storico elettorato evidentemente sensibile solo al “verbo” proveniente dalle labbra di Berlusconi, che questa volta non è però riuscito a tirare la volata ai suoi scudieri nonostante le “bordate” sparate negli ultimi mesi a destra e a sinistra. Sempre nel centrodestra, la Lega rimane immersa nel pantano ingenerato dagli scandali degli ultimi anni e alimentato dalla faida fratricida fra Bossi e Maroni, incapaci di mantenere l’attenzione alta attorno alla loro proposta interclassista intrisa di populismo e becero razzismo. Chi poi esce con le ossa rotte da questa competizione elettorale è il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, vero matador delle politiche e delle regionali (soprattutto in Sicilia) dell’inverno, che risulta pesantemente ridimensionato da queste elezioni che si inseriscono in un momento poco felice per il mondo grillino, paralizzato dalle discussioni sulle diarie parlamentari e dai dissidi che, giorno dopo giorno, emergono in seno al movimento. Che la bolla grillina abbia già iniziato la fase calante? Il tempo ci fornirà le risposte in merito! Il centrosinistra invece, soprattutto il PD, si ritrova nelle mani un esito assolutamente inaspettato. Ora la vera questione sarà capire come questo risultato verrà utilizzato per controbilanciare la strana alchimia governativa dopo che, sin dagli inizi, Berlusconi assieme al Pdl hanno tenuto per le corna Letta e i suoi uomini, paventando ad ogni occasione di scontro fra i partiti governativi la possibilità di una fine immediata del nuovo esecutivo. Provando ad avanzare un’ ipotesi, partendo dal fatto che conosciamo i “nostri polli” del Partito Democratico, è probabile che ancora una volta troveranno il modo di sprecare quella minima boccata di ossigeno che sono riusciti ad ottenere. D’altronde Letta vede in questa vittoria del PD il certificato degli italiani sulla lungimirante idea di un governo di larghe intese…. misteri della politica!
Ma rimane un ultimo fondamentale elemento da considerare, in grado di ridimensionare o modificare qualsiasi discorso che punti ad una disamina completa dell’accaduto: l’assenteismo alle urne. I dati sono eloquenti: più di un elettore su due, il 51,5% su scala nazionale, non si è recato a votare ai ballottaggi. A Roma il dato dell’astensione è addirittura del 55%! E allora molto di quanto detto prima, su chi avrebbe vinto e chi avrebbe perso, si scontra con una realtà che non può essere banalizzata o relegata nell’angolo dalla discussione politica. Se ancora serviva un’ennesima dimostrazione, sembra essere ulteriormente conclamato il fatto che nel nostro paese il sistema della rappresentanza e dei partiti riscuote sempre meno consenso, dopo anni di promesse mai mantenute, dopo governi di tutti i colori, tecnici, formati attraverso alleanze impossibili e giochi di palazzo ben orditi da “abili manovratori” come il Presidente Napolitano. Non sorprende che in un quadro recessivo, con i partiti totalmente asserviti ai diktat antisociali imposti dall’Europa, le persone decidano di non dare più il loro mandato a chi contribuisce a mantenerli nell’oscuro vortice della crisi. Non ci facciamo illusioni, non saranno certo le forze politiche che siedono in Parlamento a intavolare una discussione seria e approfondita sullo stato di salute della rappresentanza, ma è bene che tutti coloro che abbiano a cuore l’idea di un cambiamento forte nel nostro paese, attraverso la partecipazione diretta dei soggetti sociali alle decisioni, ragionino seriamente anche su questo dato, sintomatico della distanza esistente oggi fra le nostre logore istituzioni e le aspirazioni delle persone che non trovano più in esse una risposta ai problemi quotidiani.
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