“E quando mai un padrone ha rispettato una promessa?” Marchionne e il progetto Fabbrica Italia.

“…E quando mai un padrone ha rispettato una promessa!? Guarda la FIAT, non ne mantiene una dalla Marcia dei Quarantamila!”.
Questa frase ironica, pronunciata da un ex-operaio dell’Alfa Romeo davanti ai cancelli della Innse nel bollente Agosto del 2009 continua a ronzarmi in testa.
Quando uno dice: la saggezza operaia! Qualcuno si ricorda del famoso “Progetto Fabbrica Italia” lanciato dall’amministratore delegato della FIAT Sergio Marchionne nell’Aprile del 2010?

Bene.
Tutto da rifare.
Ieri, con la consueta faccia di bronzo, il Lingotto ha comunicato pubblicamente che il progetto Fabbrica Italia va adeguato alla situazione attuale poiché negli ultimi due anni il mercato dell’auto è crollato.
Bella scoperta! Marchionne sostiene che: “il progetto non è mai stato un impegno assoluto”.
Ma torniamo indietro nel tempo.

Aprile 2010.
La FIAT lancia il Progetto Fabbrica Italia dopo la “scalata” all’americana Chrysler del 2009 e la pioggia di aiuti statali da parte dell’amministrazione Obama.
Una delle clausole dell’accordo però, era “riportare all’ordine” gli stabilimenti italiani.
Il primo ostacolo da affrontare sono i lavoratori di Pomigliano D’Arco, accusati di scarso attaccamento al lavoro ed assenteismo neanche si trattasse dell’Alfasud nel ’77.
La battaglia è dura e la FIAT, come da tradizione, gode di buona stampa.
Coloro (pochini) che difendono i diritti dei lavoratori vengono tacciati di volta in volta di estremismo, vetero-comunismo, luddismo, anti-modernismo e così via.
I massimi esponenti del Partito Democratico per convincere la loro base recalcitrante (quasi una costante storica) ripetono fino alla nausea che tanto si tratta di “un’eccezione”.
Nel frattempo, a furia di eccezioni, negli ultimi 30 anni siamo rimasti quasi in mutande.
Alla fine, nel referendum capestro, la FIAT passa a fatica.
A latere assistiamo al licenziamento discriminatorio di alcuni delegati sindacali della FIOM dello stabilimento di Melfi accusati di fantomatiche “violenze” durante uno sciopero.
Mentre in diverse città, diversi gruppi di solidali con le tute blu prendono parola, Marchionne procede come un rullo compressore.

Il suo scopo è vincere a Mirafiori.
Il valore simbolico di quella fabbrica è altissimo.
Seppur drasticamente ridimensionata la FIAT continua ad essere un campo di battaglia all’avanguardia per misurare i rapporti di forza tra capitale e lavoro.
A Mirafiori la FIAT vince di pochissimo.
Ancora una volta, a determinare la sconfitta operaia, è il voto di quadri, capi ed impiegati…
L’amministratore delegato della FIAT, con il consenso quasi totale ed imbarazzante del mondo politico, ha ottenuto il suo scopo.
Comprimere i diritti del lavoro ed espellere la FIOM dalla fabbrica, cosa che neanche l’ingegner Valletta nei durissimi anni ’50 era riuscito a fare.
Pochi si preoccupano dell’esclusione dalle trattative del sindacato più rappresentativo.
Un po’ come se fosse impedito l’ingresso in Parlamento al partito più votato.
Ma del resto anche Draghi ce l’ha detto chiaro: la democrazia deve essere compatibile con le esigenze del mercato.

Ma torniamo all’annuncio di ieri.
Nel silenzio del Governo Monti che, ancora non si è sognato di convocare la proprietà, Marchionne si accinge a chiudere un altro stabilimento dopo aver sacrificato quello siciliano di Termini Imerese.
Non sarebbe una novità però.
Negli anni la FIAT ha distrutto marchi prestigiosi come Alfa Romeo e Lancia.
Intanto, il Lingotto continua le sue opere di speculazione immobiliare e finanziaria
La triste verità, sotto gli occhi di tutti, è evidente e lampante.
Anche se nessuno ne parla.
Sono anni che la FIAT non produce un’auto decente.
Nulla di più. Nulla di meno.
Ed una casa automobilistica che non produce buone auto ha ben poche speranze di sopravvivere.

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